[04/04/2012] News

Randagismo canino nelle aree protette

La presenza nei territori dei Parchi, in particolare di quelli appenninici, di branchi di cani che si possono genericamente definire come "vaganti", è nota da tempo. Parlare di vagantismo non è affatto semplice, in quanto il fenomeno presenta diverse sfaccettature, tant'è che questa categoria generale di cani può essere suddivisa un ulteriori sottocategorie: a) cani da lavoro impiegati nelle aziende zootecniche (generalmente, almeno nei parchi abruzzesi, di razza pastore maremmano-abruzzese o derivati). Abbastanza consistenti dal punto di vista numerico, si tratta di cani a seguito degli allevamenti soprattutto ovicaprini, ma anche equini e bovini.

Alcune osservazioni effettuate (ad esempio nel Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise), indicano come la gestione di questi cani da parte delle aziende presenti alcune criticità quali lo scarso controllo del loro numero, la non regolare somministrazione degli alimenti, scarsa o nulla gestione sanitaria, spesso la mancata registrazione all'anagrafe canina, il fenomeno dell'abbandono sui pascoli estivi delle cucciolate oppure dei cani vecchi. Soprattutto gli individui abbandonanti, se in buone condizioni fisiche e in grado di reperire cibo a sufficienza, possono arrivare a costituire branchi organizzati anche se soggetti ad una forte selezione naturale. b) la categoria maggiormente consistente dal punto di vista numerico è quella dei cani vaganti nei centri abitati che dipende dalla non corretta gestione dei cani da affezione (proprietari che se ne curano limitatamente) e dalla spregevole pratica dell'abbandono.

Generalmente utilizzano un territorio apparentemente abbastanza limitato e rappresentano anche un serbatoio di base per le altre categorie, ad esempio con i fenomeni di aggregazione con altri individui. c) i cani rinselvatichiti, che sono animali che hanno perso ormai qualsiasi caratteristica comportamentale riferita al cane domestico. Utilizzano un territorio ampio e si alimentano sia di carcasse, sia predando bestiame domestico che fauna selvatica (ungulati essenzialmente). Il problema del randagismo canino determina dei fattori negativi per le aree protette: in ordine all'economia degli Enti Parco, con danni da liquidare spesso attribuiti ai lupi e invece operati da cani vaganti; sotto un fattore culturale e sociale che continua ad alimentare dubbi sulle predazioni attribuendole ai lupi e confermandone timori ancestrali in realtà ingiustificati; non ultimo, il problema della tutela delle specie protette.

Si può citare ad esempio il caso dell'aggressione a dei cuccioli di orso tra Scanno e Villlalago, in provincia de L'Aquila, poco meno di due anni fa da parte di cani vaganti o, ancora, il caso dell'annegamento di un cervo femmina in un fiume dopo un'aggressione, nei pressi del lago di Barrea. Quest'ultimo punto, comprende inoltre sia il rischio di diffusione di gravi malattie tra la fauna protetta, sia alcune deprecabili azioni di autotutela degli allevatori tramite il ricorso ai bocconi avvelenati tecnica che, per nulla selettiva, rischia di colpire direttamente la fauna selvatica in generale, non solo il lupo.

I due tipi di randagismo canino di impatto sulla fauna presente nelle aree protette, sono costituiti da: 1) i cani vaganti, padronali e non, che sono più comuni nelle vicinanze dei paesi i quali possono trascorrere del tempo nei pressi del centro abitato ma che poi, sul territorio circostante, tendono a raggrupparsi e predare sia gli animali domestici che i selvatici. Sono spesso guidati da un vero e proprio individuo Alfa con tipiche dinamiche da branco di predatori. 2) i cani pastori che, pur di proprietà e vivendo presso gli stazzi, sono in pratica liberi di muoversi a loro piacimento potendo predare quando non impegnati con il gregge, oppure se non nutriti a sufficienza dal pastore. Questi animali che rientrano nella categoria sopra citata dei cani da lavoro impiegati nelle aziende zootecniche, abitano un territorio abbastanza vasto, si muovono alla ricerca di cibo potendosi nutrire di carcasse rinvenute, predando spesso anche la fauna selvatica e, casi non isolati, possono costituire anche un serio pericolo per gli escursionisti potendo avere atteggiamenti aggressivi verso le persone. Se è vero che il fenomeno in generale è costituito sia da individui abbandonati dall'uomo sia da animali nati senza aver avuto alcun contatto con le persone, in tutti i casi questi cani si possono riunire in branchi, uccidere il bestiame domestico e talora, sfruttando il loro "opportunismo", nutrirsi di rifiuti. Soprattutto, le ripercussioni a livello ecologico più gravi si hanno quando, una volta spezzato il legame con l'uomo, tali cani possono entrare in competizione con i lupi sia per le risorse trofiche che spaziali. Questi ultimi, a loro volta, soffrono le conseguenze di un inasprimento dei conflitti con gli allevatori, che talora si traduce in azioni di bracconaggio, quando l'impatto dei cani vaganti sulle attività zootecniche locali si sostanzia in predazioni sul bestiame da parte dei cani vaganti attribuite erroneamente al lupo (Infatti tali canidi, possiedono capacità predatorie, ai fini alimentari, con caratteristiche anatomopatologiche distintive ben evidenziabili e rilevabili su carcasse fresche) o, ancora, quando i cani avvistati nei pressi dei centri abitati vengono scambiati per lupi anche quando presentano caratteristiche morfologiche molto differenti. Di grande rilevanza inoltre è il rischio dal punto di vista sanitario in quanto tali popolazioni costituiscono dei serbatoi di virus e batteri pericolosi anche per specie selvatiche. Il problema però più attuale legato al fenomeno del randagismo canino e su cui recentemente, affrontandolo da diverse prospettive, si concentra maggiormente il dibattito è legato all'inquinamento genetico che si può verificare quando i cani vaganti si incrociano con i lupi. Del resto, la presenza di individui ibridi derivanti dall'incrocio tra lupo e cane è stata già ampiamente documentata. Su questo argomento va rilevato innanzitutto che l'ibridazione (il fenomeno per il quale si verificano accoppiamenti tra individui appartenenti a popolazioni geneticamente distinte) e l'introgressione (il flusso genico che si determina tra popolazioni distinte interessate da ibridazione) sono in realtà due fenomeni del tutto naturali che possono verificarsi spontaneamente. Le cose cambiano quando l'ibridazione introgressiva è originata da un'interferenza di tipo antropico ed è questo il caso in cui si verifica l'accoppiamento tra selvatici ed animali domestici. Il lupo infatti, rispetto all'animale vagante sconta in primis una questione di deficit numerico data l'alta densità dei cani che, con esso, possono entrare in contatto. E' opportuno infatti ricordare che a differenza del lupo, i cani vaganti hanno un elevato potenziale riproduttivo non rispettando, all'interno del branco, le gerarchie riproduttive; le femmine hanno l'estro due volte l'anno e potenzialmente tutte si riproducono. La disparità è ulteriormente aggravata dai fenomeni di persecuzione cui è soggetto il lupo e situazioni di questo tipo sono ormai da tempo diffuse ad esempio nei paesi dell'est Europa (Ucraina, Bielorussia ecc.) e tutto questo non solo determina i problemi già ricordati, ma aggrava ovviamente anche il rischio, non solo teorico, di ibridazione. Se è vero inoltre che in vari contesti si cerca di attuare programmi che mirano a ridurre le popolazioni di cani vaganti, è altrettanto evidente che questi programmi spesso nascono come reazione al problema piuttosto che come attività di prevenzione. Per questo è importante diffondere consapevolezza e conoscenza delle problematiche, approfondire attentamente i termini della questione che vede, da un lato una forte dicotomia sul territorio nazionale in base alla quale il fenomeno del randagismo canino, inteso come cani vaganti con padrone e non randagi in senso stretto, è molto più spinto nelle regioni del centro-sud, dall'altro la mancanza di una procedura standard di indagine, a livello nazionale, sulle caratteristiche anatomopatologiche delle lesioni da predazione. Solo grazie ad alcuni progetti specifici, come alcuni Life impostati su queste tematiche (vedasi ad esempio il Life Wolfnet) si cerca di dare risposte unitarie a tali esigenze cercando di standardizzare metodi e procedure di indagine, oltre che di prevenzione del danno da fauna selvatica e di contrasto delle mortalità illegali, su areali quanto più ampi possibili (esempio dorsale appenninica). Si è appreso, alla luce delle recenti ricerche che, per esempio, un uso separato dei marcatori genetici e di quelli fenotipici (melanismo, sperone e molti altri che sono tracce di ibridazione) è meno efficace rispetto al loro uso combinato nell'esatta risoluzione dei casi di sospetta ibridazione con o senza introgressione. Ma, a questo punto, in alcuni casi i pareri divergono sulla destinazione dei sempre più esigui fondi da dedicare alla ricerca. Da un lato chi ritiene che travestire il problema del randagismo da problema degli ibridi sia fuorviante rispetto alla reale questione da affrontare e cioè i cani vaganti con padroni incontrollati sul territorio. Dall'altro chi, al contrario, pensa che il problema sia complessivo comprendente pertanto entrambi gli aspetti senza sottovalutare dunque la questione ibridazione che, nel far tornare in auge il problema del randagismo, rischia di vanificare e compromettere a sua volta anni di conservazione nei confronti del lupo.

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