[06/04/2012] News toscana
In questi giorni in Toscana, dove da tempo non piove in maniera consistente e siamo alle porte di un'emergenza siccità per la prossima stagione estiva (in particolare per il bacino dell'Arno), si stanno attuando opportuni interventi di regolazione della risorsa idrica per posticipare o mitigare la fase emergenziale, si stanno invitando i comparti produttivi e i cittadini alla riduzione dei consumi e si sta parlando anche di interventi strutturali. L'accenno a nuovi invasi è venuto da vari soggetti istituzionali e si è parlato finalmente anche di riuso delle acque reflue depurate, settore in cui il nostro paese non è certo tra quelli virtuosi.
Lo sviluppo di questa pratica, ad esempio in ambito agricolo, intanto è limitato dalla normativa in vigore, il decreto del ministero dell'Ambiente 185/2003 (è in fase di revisione da tempo) che prevede limiti alla carica batterica 1.000 volte più restrittivi rispetto a quelli proposti dall'OMS.
Fatto salvo alcune produzioni specifiche, non si capisce come mai sui campi si possa spandere letame, anche con presenza di batteri fecali, mentre le acque depurate devono essere affinate a livelli tali (attraverso trattamenti costosi) per cui non possono essere più competitive dal punto di vista economico con le acque primarie che continuano ad essere sovrautilizzate. Senza considerare poi i vantaggi economici e ambientali che possono derivare dal recupero in agricoltura di azoto e fosforo contenuto nelle acque reflue.
Alle motivazioni normative se ne aggiungono altre che impediscono a questa "buona pratica" di essere diffusa. Proprio ieri per quanto riguarda il comprensorio fiorentino, il presidente di Publiacqua Erasmo d'Angelis ha fatto un importante accenno alla necessità di riutilizzo dell'acqua che esce dal depuratore di San Colombano. Sarebbe l'ora sottolineiamo noi.
Secondo studi condotti dalla facoltà di Ingegneria civile ed ambientale dall'Università di Firenze, (Caretti C., 2009) l'impianto di San Colombano è localizzato proprio dove è maggiore l'entità di prelievo sia a scopo irriguo che industriale (dove è quindi forte la competizione per la risorsa primaria), ed è in grado di fornire una portata annuale di quasi 60 milioni di m3 (una parte ovviamente deve essere restituita al fiume perché anche i corsi d'acqua sono in sofferenza dal punto di vista della funzionalità bio-ecologica).
Inoltre l'effluente di San Colombano (senza considerare affinamenti particolari) ha caratteristiche tali da soddisfare i parametri del decreto 185/2003. Quindi sarebbe sufficiente un Piano di riuso in cui indirizzare le acque depurate verso le attività idroesigenti che come detto sono abbastanza concentrate, il che diminuisce i costi delle infrastrutture legate al sistema di distribuzione. Infine, da quello che è dato sapere, l'impianto di San Colombano per distribuire risorse idriche non convenzionali è quasi ultimato.
Cosa manca quindi per dare il via all'operazione? La volontà politica che aiuta anche a superare le difficoltà di natura economica. E' necessario trovare un compromesso tra le esigenze del soggetto gestore (Publiacqua) e quelle dei comparti produttivi (in particolare il settore tessile pratese) che continuano a prelevare acque primarie piuttosto che acquistare acqua reflue depurate. Sono in gioco interessi contrapposti di natura economica, che guardano a legittime logiche di profitto, ma è necessario considerare l'interesse generale ed il valore della materia prima (l'acqua) che è sempre più elevato considerata anche la ridotta disponibilità. In questo contesto la Regione Toscana (con l'ausilio dell'Autorità di bacino), che con la nuova normativa si assume un ruolo più cogente in materia di pianificazione e controllo sulla risorsa idrica, deve mettere la parola fine a questa fase di stallo che va avanti da troppo tempo.