[10/04/2012] News

La morte della crisalide. Sboccerà la farfalla della sostenibilità?

«L'aspetto positivo della mondializzazione è che ormai c'è una comunità di destino di tutti gli esseri umani, ovunque essi si trovino. Siamo tutti di fronte agli stessi problemi fondamentali e alle stesse minacce mortali, sul piano ecologico, climatico, sociale, nucleare, ecc. Una patria è una comunità di destini, quindi la Terra è la patria comune che dobbiamo cercare di salvare in una situazione dove sembra non esserci più futuro e quindi prevalgono l'incertezza, la paura e le logiche regressive».

Il sociologo e filosofo francese Edgar Morin (Nella foto) - in una recente intervista di Gambaro su Il Venerdì de la Repubblica - aiuta a riportare lo sguardo su quei primi gradini che già oggi è possibile salire per ricostruire un'idea nuova e concreta di rapporti sociali ed ecosistemici, oltre il velo cupo col quale l'oggi sembra oscurarci il domani: «Ciò che si profila come probabile - vale dire la crisi ecologica, economica, politica e sociale del mondo in cui viviamo - mi spinge a essere pessimista. L'improbabile è però sempre possibile. Quindi resto ottimista e continuo a credere che si debba e si possa trovare una strada per evitare di finire nel baratro».

Se è più lecito affermare che la crisi - intesa in ogni declinazione citata dal novantunenne filosofo - sia ormai in corso, è altrettanto giusto, fondamentale, affermare che tale crisi non rappresenta affatto una causa persa, ma una sfida da affrontare con coraggio, con la consapevolezza di poterla sfangare. Le prospettive, al momento, sono tutt'altro che rosee. Dovessimo scegliere una forma geometrica per rappresentare questa crisi di civiltà, probabilmente la più adatta sarebbe la forma di una campana: arrampicandoci di gran lena verso la cima - un po' sballottati alla deriva dai venti delle turbolenze finanziarie, un po' esercitando un'ostinata scalata verso quelli che erroneamente consideriamo i vertici dello sviluppo umano - allo sommità della campana non troveremo delle colonne d'Ercole da varcare per poi giungere in quell'oceano di sconfinata prosperità che immaginiamo, ma giungeremo presto alla consapevolezza del brusco e doloroso precipizio che ci attende. È però la nostra società ad aver ideato questa campana, e ad aver scelto l'imbarcazione con la quale percorrere il tragitto: rientra nelle nostre possibilità (e responsabilità) la scelta di cambiare il nostro modello di sviluppo.

«La mondializzazione porta in sé l'occidentalizzazione e il mito dello sviluppo fondato sull'idea di una crescita infinita. È un mito che ci porta dritti contro un muro - scrive ancora Morin [...] Oggi, si parla molto di sviluppo sostenibile, che però mi sembra solo una mezza misura. In realtà, occorre affrontare e spaccare il nocciolo duro, tecno-economico, del concetto tradizionale di sviluppo, per salvarne solo alcuni elementi da mettere al servizio di un altro modello di sviluppo umano. È un problema urgente che riguarda tutti».

Il suo richiamo ricorda da vicino le parole di Giorgio Nebbia, storico ambientalista e politico italiano, che su greenreport si è recentemente scagliato contro la frequente assimilazione della parola "sostenibilità" a puro slogan commerciale, quando la necessità rimane invece quella di un pensiero pulito e concreto da elaborare insieme e seguire per dare una svolta all'attuale paradigma socioeconomico che, da nostra creatura, si è trasformato in soggiogatore delle nostre vite, in nome del dio denaro: «la tesi che all'inizio della crisi economica pareva destinata a esser messa in discussione, ma non lo è, sta tutta nel riconoscimento di astratti e opachi sovrani che vengono chiamati "mercati", e che paiono comandare il mondo››, scrive il giurista Guido Rossi sul Sole24Ore, fustigatore di quei "idoli del mercato" che ‹‹sfuggono alla realtà, ma tuttavia condizionano i comportamenti umani e in modo particolare quelli dei governanti, quei principi ideologicamente indiscussi e a loro volta componenti di una catafratta ideologia».

«Al sistema terrestre minacciato da tutte le parti resta solo la via della metamorfosi - continua Morin nella sua analisi. In natura, un sistema, quando non riesce più a risolvere i propri problemi vitali, se non vuole perire, è costretto alla metamorfosi. Il bruco è capace di autodistruggersi e autoricostruirsi per diventare una farfalla. L'idea della metamorfosi non è una follia, è una realtà che si è già realizzata altre volte nella storia del Pianeta, nella preistoria ma anche nel Medioevo». La sommità della campana della crisi si staglia nostro malgrado sempre più vicina all'orizzonte, e l'unica certezza della nostra società, così com'è oggi strutturata, sembra esser la morte. Come crisalide, dobbiamo prender coscienza di dover morire. Non sappiamo se riusciremo a rinascere come farfalla, ma abbiamo insite tutte le possibilità per riuscire, e per questo slancio creativo dobbiamo lavorare.

«Per salvarsi occorre avere un approccio dialettico, nel tentativo di tenere insieme idee che sulla carta si oppongono - chiosa Edgar Morin. Non credo alla rivoluzione che fa tabula rasa del passato, producendo spesso realtà peggiori di quelle che ha voluto trasformare. Al contrario, abbiamo bisogno di tutte le riforme culturali della storia dell'umanità per trasformare e trasformarci. [...]Insomma, occorre al contempo mondializzare e de-mondializzare a seconda degli ambiti, favorire la crescita ma talvolta la decrescita, tenere conto dello sviluppo ma anche dell'inviluppo, della trasformazione come della conservazione. Questa strategia complessa ci consente di conservare la speranza, che naturalmente non è una certezza. Anzi, visto il contesto, la speranza è perfino improbabile. La storia però ci insegna che a volte l'improbabile è riuscito a prendere il sopravvento».

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