[16/04/2012] News

Cambiare paradigma per uscire dalla crisi

La crisi dei sistemi finanziari ha messo in luce le contraddizioni di un modello economico che sta compromettendo il benessere dell'umanità e l'ecosistema terrestre. Per questo è in atto un diffuso dibattito sulle soluzioni possibili per uscire dell'empasse. La ricetta illusoria più gettonata è quella della crescita, auspicando la ripresa dell'occupazione e dei consumi, attraverso un rilancio della competitività. Secondo alcune frange marginali invece bisogna puntare sulla "de-crescita", uno slogan utilizzato da settori sociali e culturali, sullo stimolo di una visione critica della nostra economia, tra cui le più recenti opere di Serge Latuoche.   

Chi scrive ha vissuto da protagonista una lunga stagione sul fronte della difesa della natura, della biodiversità e dell'ambiente umano, dico "difesa" perché le aggressioni agli ambienti naturali sono sempre all'ordine del giorno.  Tuttavia, credo che la cultura ambientalista sia ancora carente di una solida base di conoscenze, attraverso cui costruire strategie per promuovere e garantire più equità sociale e un rapporto benefico con la natura.  Seguo con interesse gli articoli e le interviste su Greenreport e apprezzo lo sforzo per contribuire a un dibattito attento e puntuale.  In particolare faccio seguito alle riflessioni emerse nell'intervista a Giorgio Nebbia del 2 aprile,  a proposito della rivisitazione critica del concetto di sviluppo sostenibile; nonché alla successiva intervista all'antropologo Cristiano Viglietti il quale giustamente, afferma che in Occidente si sia poco consapevoli della contraddizione tra le ideologie della crescita e la limitatezza dei mezzi naturali a disposizione dell'uomo.  Giorgio Nebbia, da par suo, sostiene che «l'ecologismo sia diventato la proposta di qualche piccolo rimedio ai guasti ambientali nella logica del potere liberista», pertanto invita a rileggere le pagine scritte «nella breve primavera che andò dal 1965 al 1975, disinquinate dal chiacchiericcio della sostenibilità» e aggiunge che «bisogna ripartire dai libri di ecologia, quella vera.... quella del primo anno di biologia e riscoprire le leggi della vita che sono leggi di solidarietà e di collaborazione fra esseri viventi, compresi gli esseri umani».

Anche se la mia formazione è stata all'origine biologica e medica, ho sempre ritenuto che una solida formazione culturale e sociale, debba tener conto delle fonti scientifiche e metodologiche da cui deriva il nostro senso comune e la nostra intelligibilità, per questo ho sempre accettato con diffidenza postulati di verità, abbracciando interessi culturali allargati, alla fisica quantistica, alle scienze naturali, alle scienze della terra, alle scienze umanistiche tra cui l'economia e, in particolare,  l'epistemologia.   Come afferma, l'illustre sociologo e filosofo contemporaneo E. Morin nella sua opera "I sette saperi necessari all'educazione del futuro" «è sorprendente che l'educazione, che mira a comunicare conoscenze, sia cieca su ciò che è la conoscenza umana» .  Tutta la cultura occidentale è intrisa, ancora a distanza di trecento anni, del metodo cartesiano- galileiano, che ha codificato un'immagine meccanicista del mondo, che ha staccato l'uomo dalla natura che, attraverso il metodo sperimentale, decontestualizza ciò che  pretende di conoscere, che riduce la conoscenza a una sommatoria matematica di elementi, che separa l'osservatore dalla realtà osservata.  Di conseguenza tutta la nostra formazione, sin dalla scuola primaria, si fonda su tale paradigma, per cui sia l'insegnamento scientifico che quello umanistico poggiano «sulla convinzione che esista una realtà oggettiva regolata da leggi eterne, immodificabili e strutturali».  Di fronte ad essa il soggetto conoscente, dotato di ragione, è in grado di coglierne le "leggi". La razionalizzazione genera una sorta di "immunologia ideologica" che impedisce una discussione critica, producendo una disattenzione selettiva e la normalizzazione del pensiero. Morin precisa che  «L'intelligenza parcellizzata, compartimentata, meccanicistica, disgiuntiva, riduzionista rompe il complesso del mondo in frammenti disgiunti, fraziona i problemi, separa ciò che è legato, unidimensionalizza il multidimensionale ... Distrugge in embrione tutte le possibilità di comprensione e di riflessione, eliminando così tutte le opportunità di un giudizio correttivo e di una vita a lungo termine. Così, più i problemi diventano multidimensionali, più c'è l'incapacità di pensare la loro multidimensionalità; più progredisce la crisi, più progredisce l'incapacità a pensare la crisi; più i problemi diventano planetari, più diventano impensati».   Il premio nobel Ilya Prigogine, in una fondamentale opera, la cui prima edizione risale al 1979 ma che andrebbe riletta con attenzione, dal titolo significativo "La Nuova Alleanza: uomo e natura in una scienza unificata", evidenzia la sorpresa racchiusa nel paradigma galileiano-cartesiano nel fatto che «esso ha rivelato all'uomo una natura passiva e morta, una natura che si comporta come un automa che, una volta programmato, segue eternamente regole scritte sul suo programma. In questo senso il dialogo con la natura ha isolato l'uomo dalla natura, piuttosto che metterlo a contatto con essa».   Nel famoso saggio "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" del 1962, Thomas Kuhn ha definito il paradigma «una costellazione di concetti, percezioni, consuetudini e valori che creano una particolare visione della realtà» per cui i paradigmi rappresentano il frutto dell'educazione delle persone, «gli occhiali attraverso cui vediamo la realtà ... essi hanno il potere di rendere ciechi verso tutto ciò che non è ipotizzabile al di fuori del paradigma stesso».  Il paradigma materialistico della scienza moderna ha, quindi, contaminato ogni nostro pensiero e ogni nostra attività sociale ed economica, diffondendo un'idea di una natura priva d'intelligenza, plasmabile e addomesticabile per ogni uso e consumo, investendo persino la sfera più intima della vita, quella dell'informazione genetica. Infatti, con l'ingegneria genetica la scienza moderna pretende di piegare al proprio arbitrio strutture che contengono "il tempo della propria storia filogenetica" modificando per fini utilitaristici i genomi delle diverse specie viventi.  A tal proposito  il medico igienista e scienziato Aldo Sacchetti, nella sua ultima opera "Scienza e coscienza"  scrive: "Le certezze e la prevedibilità che erano fondamento e vanto della scienza manipolatrice sono venute meno". Urge prendere atto che la complessa realtà in cui viviamo non è sotto il nostro controllo"

Nel campo dell'economia, cattedratici ed economisti di fama internazionale, tra cui Henry Minzberg e Gary Hamel, hanno scritto che il management è in piena crisi e una delle cause principali della crisi economica e finanziaria è dovuta proprio alle prassi manageriali. «Tuttavia le cause di questa crisi sono legate all'utilizzazione delle classiche ricette manageriali oppure - come afferma l'economista Alessandro Cravera - sono le ricette derivate dalla cultura del management che andrebbero riviste?». Bisogna dire che la cultura del management è tuttora orientata alla ricerca ossessiva di produttività, utilizzando i classici principi della programmazione, della procedurizzazione e del controllo delle molteplici variabili in gioco.  Eppure da quando Taylor, alla fine del 1800, ha coniato i principi del management, la società è molto cambiata ma le organizzazioni - sia private che pubbliche - si comportano ancora come macchine che rispondono a una razionalità assoluta, figlia del paradigma secentesco cartesiano e newtoniano, fondato sui quei principi di causalità e di separazione, che hanno regolato la nascita e l'evoluzione della società industriale. 

Un'altra parola "magica", che circola quotidianamente negli ambienti del management e della politica,  è "innovazione", collegata in modo riduttivo al miglioramento tecnologico di un prodotto con il fine di potenziare ipertroficamente la competitività, fino a un'inevitabile saturazione. Bisognerebbe, invece, restituire al concetto d'innovazione il suo vero significato, cioè quello dello sviluppo della creatività intellettiva del singolo e della capacità strategica dell'impresa di produrre conoscenza in una rete sociale ed economica dinamica, in grado di interagire in modo sistemico.  

Sulla spinta dei grandi cambiamenti sociali e culturali, dagli anni '80 del secolo scorso, si va quindi affermando un nuovo paradigma, quello della complessità, evolutosi dalle più moderne acquisizioni della fisica quantistica, della cibernetica, della biologia, delle scienze della terra, dell'antropologia, della filosofia e della psicologia, a seguito delle ricerche di scienziati e premi Nobel tra cui Murray Gell-Mann, Ilya Prigogine, Norbert Wiener, John von Neumann, Heinz von Foerster, Humberto Maturama, Francisco Varela, Stuart Kauffmann, Gregory Bateson, Jean Piaget, Edgar Morin.  In tale contesto resta famoso l'articolo "More is different" scritto da Philip Anderson, premio Nobel per la fisica nel 1977, protagonista dell'avventura scientifica del celebre Istituto  Santa Fe, secondo il quale si può analizzare ogni singolo elemento del sistema fisico, sociale o economico ma, quando molti elementi stanno insieme in un rapporto d'interdipendenza, il risultato è completamente diverso; come lo stesso Anderson scrive «E' evidente che l'intero diviene non solo qualcosa di più, ma anche di molto diverso della somma delle parti». 

Evidentemente, i profondi mutamenti negli scenari sociali ed economici, globalizzati e interdipendenti, che hanno prodotto una crisi di sistema e un conseguente senso di smarrimento verso il futuro, richiedono un cambiamento culturale profondo, che potremmo definire epistemologico e paradigmatico. In tal senso, la scienza della complessità, o meglio la cultura della complessità, muove un nuovo approccio metodologico nella conoscenza delle discipline scientifiche e umanistiche, a partire dalla scuola dell'obbligo.

A tal proposito vorrei  citare il progetto lanciato qualche anno fa dall'ENEA, un'iniziativa molto interessante per le scuole pubblicata sul web, dal titolo "Educarsi al futuro",  affiancata da un pregevole proposta destinata ai docenti,  realizzata dal Centro Studi di Filosofia della Complessità "Edgar Morin" dell'Università di Messina,  che contiene molti elementi culturali e metodologici  per "un insegnamento dedicato all'epoca planetaria in cui viviamo" e per formare una società che sappia riconciliare la propria appartenenza e la propria economia al mondo della natura.

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