
[20/04/2012] News
«Il rischio di una generazione perduta in Europa è una mia grande preoccupazione». Christine Lagarde (Nella foto), direttore del Fondo monetario internazionale, esprime amare e condivise preoccupazioni in merito al Vecchio continente, che si conquista a pieno titolo «l'epicentro di potenziali rischi» per la situazione economica mondiale. La disoccupazione morde con violenza, e per la maggioranza dei giovani dell'Unione aprire lo sguardo alle profondità del proprio futuro è solo un abisso di oscurità.
Al di là del possibile uso senzionalistico dei dati, l'uscita della Lagarde fa il paio con gli ultimi dati diffusi dall'Istat sulla disoccupazione italiana, che ufficialmente accomunano circa 5 milioni di persone, i 3/5 dei quali ormai "inattivi", gli scoraggiati nel cercare un'occupazione: si tratta dell'11,6% della forza lavoro totale, una percentuale tripla rispetto alla media Ue.
Di fronte a questo che è uno strazio sociale, prima che economico, la risposta del governo nazionale - che ha solo spiegato la vela per seguire il vento dell'austerity che soffia imperioso nel continente e proprio da istituzioni come il Fmi - contenuta nel Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri si concretizza quasi esclusivamente, al di là delle parole, in tagli e liberalizzazioni: «l'insieme delle manovre del 2011 - si legge nel documento - comportano una correzione strutturale di 48,9 miliardi nel 2012, pari al 3,1% del Pil, che sale a 81,3 miliardi nel 2014, pari a circa 4,9% del Pil».
Con questo salasso, al contempo, secondo l'esecutivo si produrrà «un effetto cumulato sulla crescita del 2,4% tra 2012 e 2020»: una dose forse eccessiva di ottimismo per quella che, in fondo, è la firma di una "cambiale pagherò" che si rivela basata solo su di una fiducia ideologica nelle proprietà taumaturgiche del libero mercato.
È forse un caso che la Lagarde parli proprio di "generazione perduta", ma il rimando alla definizione resa celebre dal Nobel per la letteratura Ernest Hemingway è automatico: richiama gli orrori della Prima guerra mondiale, e gli orrori che ne seguirono e portarono alla Grande depressione. L'aspetto ciclico della storia fa si che oggigiorno i richiami agli anni '30 siano nostro malgrado fiorenti, con Paul Krugman (un altro Nobel, stavolta per l'economia) che oggi - ripreso da la Repubblica - afferma come quella sia un'epoca le cui dinamiche «l'Europa moderna sta iniziando a ricalcare in modo sempre più fedele». Vistosi errori nella governance macroeconomica, col rifiuto ideologico a procedere con vigore in politiche fiscali e monetarie espansive, il rifuggire alla solidarietà tra nazioni, il diffondersi sempre più marcato di derive populiste e/o destrorse in ambito politico, la presenza ridondante e sfacciata di una condotta economica puramente speculativa, l'ancora latitante implementazione di una nuova idea di sviluppo: con i dovuti distinguo rispetto ai due contesti temporali, e senza cadere in allarmismi, l'offuscata paura di un ritorno dei fantasmi della prima metà del secolo scorso inizia a farsi sempre più distinta. Probabilmente, il rischio che stiamo concretamente correndo è più frivolo, ma non meno grave: il ritorno della tragedia, lo sappiamo, mette in scena la farsa.
Quel che c'è di positivo è che se i nostri padri e i nostri nonni sono riusciti a risollevarsi dalla tragedia, noi possiamo scrollarci di dosso la farsa. La 42esima ricorrenza dell'Earth Day - un evento mondiale sostenuto dalle Nazioni unite, lanciato nel 1970 e che questa domenica coinvolgerà più di 190 nazioni - questo 22 aprile ci aiuta a focalizzare su qual è il nuovo e imprescindibile obiettivo da centrare per la rinascita, rispetto agli anni '30 del secolo scorso: la riduzione delle diseguaglianze deve di nuovo combaciare con una diversa idea di sviluppo, ma questa non potrà trascurare i vincoli ecologici entro i quali sia l'economia che la società si trovano a muoversi. Anzi, proprio su questi vincoli dovrà trovare la leva archimedica per risollevarsi e svoltare, e per questo la creazione e la diffusione di una nuova sensibilità verso il mondo dell'istruzione e della conoscenza sarà fondamentale.
Come si domanda l'antropologo Marc Augè - oggi ripreso e tradotto ancora dal quotidiano di via Colombo - ‹‹come sfuggire al sospetto di voler garantire il futuro dell'uomo in generale dimenticando una parte dell'umanità, di voler garantire il futuro della società a venire trascurando gli individui che la compongono? [...] La finalità di quello che chiamiamo sviluppo, il cui prezzo ecologico è talvolta pesante, dev'essere sociale prima che economica. La lotta contro la povertà è una premessa e una condizione per qualsiasi sviluppo autentico. Bisogna riuscire a mettere fine allo sviluppo concepito come produzione di ricchezza senza attenzione alla ripartizione della stessa. Il divario fra gli individui più ricchi e gli strati sociali più poveri oggi continua ad allargarsi. È il motore del sistema ed è questo sistema che inquina la natura, perché non la rispetta allo stesso modo in cui non rispetta gli individui. È il motore che va cambiato››. Ed è proprio per questo che solo un'evoluzione culturale, prima ancora che economica e politica e potrà garantirci un futuro, ed un futuro in cui poter sperare, da costruire a partire dal presente. La sostenibilità (economica, sociale ed ecologica) sarà il fulcro della rinascita, se rinascita sarà.