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Una caporetto venatoria assoluta. Peraltro non senza precedenti. Non può altrimenti definirsi la sconfitta incassata davanti alla Corte Costituzionale dell'estremismo calibro 12 che purtroppo, nonostante i chiarissimi insegnamenti della magistratura amministrativa, di legittimità e soprattutto costituzionale continua a muovere l'agere politico ed amministrativo di moltissime amministrazioni regionali, quale che sia il loro colore politico.
Nelle sentenze in rassegna, il Giudice delle Leggi è tornato ancora una volta a ribadire due importantissimi principi, a cui da sempre noi della redazione di Diritto all'Ambiente abbiamo dedicato ampi spazi sulle pagine di questa rivista.
Vediamo in dettaglio.
Per tramite della sentenza n.105/12, il Giudice delle Leggi ha ribadito il principio, già espresso in occasione della recentissima sentenza n.20/12 che abbiamo diffusamente commentato, dichiarando  l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, lettere A) e B), della legge della Regione Liguria 1° giugno 2011, n. 12 (Calendario venatorio regionale per le stagioni 2011/2012, 2012/2013 e 2013/2014. Modifiche agli articoli 6 e 34 della legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 - Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio - e successive modificazioni ed integrazioni), ed in via consequenziale dell'articolo 1, commi 1, lettere C), D), numero 1), E), F), G), H), I), L), M), 2 e 3, della legge della Regione Liguria n. 12 del 2011, nel giudizio promosso dal Governo che aveva impugnato, in partibus quibus, la legge ligure ai sensi dell'art.127 Cost.
Come noto, la disciplina generale sulle specie cacciabili e sui  periodi  di attività venatoria è contenuta  nell'art.  18  della  legge  dell'11 febbraio 1992, n. 157. Secondo principi  costantemente  affermati  dalla Corte Costituzionale, già ripetutamente oggetto di illustrazione sulle pagine di questo sito, la disciplina sulla caccia ha  per  oggetto  la fauna selvatica, che rappresenta  «un  bene  ambientale  di  notevole rilievo, la cui tutela rientra nella materia "tutela dell'ambiente  e dell'ecosistema",  affidata  alla  competenza  legislativa  esclusiva dello Stato, che deve provvedervi assicurando un livello  di  tutela, non "minimo", ma "adeguato e non riducibile"» (Corte Cost., sent.  nn. 61/09 e 193/ 2010. Si veda anche, sul punto, Tar Lazio, ordinanza n.4908/10). 
In particolare, il citato art. 18, che garantisce «nel rispetto degli obblighi comunitari contenuti n. 79/409/CEE,  standard minimi ed uniformi, di  tutela  della  fauna  sull'intero  territorio nazionale,   ha   natura   di   norma   fondamentale    di    riforma economico-sociale, in quanto implica il nucleo minimo di salvaguardia della  fauna  selvatica,  il  cui  rispetto  deve  essere  assicurato sull'intero territorio nazionale ... (sentenze n. 227 del 2003  e  n. 536 del 2002)» (Corte Cost., n. 233 del 2010).    
Da ciò  consegue  che  le  norme  statali  rappresentano  limiti invalicabili per  l'attività  legislativa  della  Regione,  dettando norme imperative che devono essere rispettate sull'intero  territorio nazionale per primarie esigenze di tutela ambientale.   
Ciò posto, si è ulteriormente osservato che  il  comma  2  dell'art.  18  della predetta legge n.  157  del  1992  prevede  che  le  Regioni  possano autorizzare modifiche alle norme generali sui  periodi  di  attività venatoria  per  particolari  specie,  tenendo  conto  della   propria situazione  ambientale,  a  seguito  di  apposito  procedimento   che contempla l'acquisizione del parere dell'Istituto  Nazionale  per  la Fauna Selvatica (nelle cui competenze è successivamente  subentrato  l'ISPRA in base al DL  25 giugno 2008, n. 112,  convertito  in  legge,  con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008). Il  successivo  comma  4 stabilisce che, sulla base dei  parere  dell'ISPRA,  le  Regioni pubblichino, entro il 15 giugno di ogni anno, termine che la Corte, nella pronuncia in rassegna, pare considerare perentorio, e non già ordinatorio, come a volte affermato, in passato, dalla giurisprudenza amministrativa, «il calendario regionale ed il regolamento relativi all'intera annata venatoria, nel  rispetto di quanto stabilito dai commi 1, 2 e 3 ...». 
Le norme primarie emanate  dal  Legislatore  statale  nell'ambito della sua competenza esclusiva in materia,  sono pertanto chiare nel fare  riferimento  ad  una attività regolamentare che deve essere adempiuta dalla Regione entro il termine del 15 giugno di ciascun anno, a seguito di uno specifico procedimento che  contempla  l'acquisizione  di  un  parere obbligatorio dell'Istituto  specificamente  preposto  alle  verifiche tecniche finalizzate alla tutela degli interessi ambientali. Interessi che peraltro, nel corso degli anni, ben possono essere mutevoli, stante che la consistenza numerica e/o lo stato di conservazione delle singole specie interessate dal prelievo venatorio. Tanto è vero che  i pareri resi dell'ISPRA risultano sovente mutevoli negli anni, anche in relazione alla medesima specie e/o realtà territoriale.
Non a caso, in numerose occasioni, allorquando sono stati chiamati a scrutinare taluni calendari venatori correttamente emanati dalle Regioni di volta in volta interessate con provvedimento amministrativo, i Giudici Amministrativi hanno avuto modo di chiarire che "i piani di prelievo devono essere predisposti per ciascuna stagione venatoria e i dati utilizzabili non possono che riferirsi alla presenza degli animali in un periodo prossimo alla stagione venatoria cui il piano di prelievo si riferisce" (TAR Piemonte - II - 15.11.06 n.584)
 
 L'interpretazione letterale e logica  delle  citate  disposizioni induce in primo luogo  a ritenere (e la giurisprudenza sia amministrativa che di legittimità è consolidata in questa interpretazione della norma)  che il parere debba essere richiesto in relazione ad ogni singoli piani di prelievo, con cadenza annuale, ed in secondo luogo che la legge statale abbia inteso riferirsi in  via necessaria ed esclusiva ad una attività destinata a concludersi  con un atto di natura amministrativa a contenuto generale, escludendo  la possibilità di far ricorso al diverso strumento della legge, specie allorquando non si versi neppure nell'ipotesi della legge provvedimento, ma di una legge ordinaria, destinata a rimanere in vigore per un numero pressoché indefinito di anni.
 Ciò è dimostrato, in primo luogo,  dall'espressa  dizione,  del quarto comma del citato art.18, che prevede esplicitamente  l'obbligo di pubblicare «il calendario regionale  ed  il  regolamento  relativi all'intera annata venatoria». L'endiadi fa evidente riferimento ad un unico atto di natura regolamentare, contenente  le  specifiche  norme applicabili nel territorio regionale nel periodo venatorio  preso  in considerazione. 
 Ad analoghe conclusioni conduce il carattere temporaneo (annuale) del provvedimento previsto dalla  legge,  che  ben  si  concilia  con l'adozione di un atto amministrativo  riferibile  ad  un  determinato arco temporale, da compiere entro un termine di scadenza definito,  e che non sembra invece compatibile con un preteso obbligo  di  analogo genere a carico del legislatore regionale. 
In ultima analisi,  la  natura  amministrativa  (e  non  legislativa) dell'attività provvedimentale di  cui  trattasi  è  dimostrata  dal significato  della  disposizione  del  secondo  comma,  che   prevede l'obbligo di acquisire il parere  dell'Organo  consultivo  competente nella materia. E' evidente infatti che tale parere acquista rilevanza solo se si ritiene che la Regione  sia  tenuta  ad  esaminarne  ed  a valutarne il contenuto,  giustificando  con  congrua  motivazione  il proprio   eventuale   dissenso   attraverso   un   atto   di   natura amministrativa adottato nel rispetto dell'art. 3, primo comma,  della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modifiche ed  integrazioni.
Di contro,  il parere sarebbe invece sostanzialmente inutile (e la  norma che lo prevede sarebbe priva di effettivo valore precettivo), qualora si ritenesse che la Regione sia arbitra  concludere  il  procedimento con un atto di natura legislativa, che oltretutto - per il disposto del  secondo comma del  citato  art.  3  -  si  sottrae  al  predetto  obbligo  di motivazione. In sostanza, qualora fosse  ipotizzabile  l'adozione  del calendario venatorio con legge regionale, anziché con provvedimento, amministrativo,  risulterebbe  pregiudicato  l'esito  della  verifica tecnica affidata all'ISPRA  sullo  stato  delle  specie  interessate, così come prescritto dall'art. 18, commi 2 e 4, della  citata  legge n. 157 del 1992. 
Tale verifica si tradurrebbe quindi in una specie di non previsto (quanto inutile ed inefficace) controllo  preventivo  di legittimità della legge regionale da  parte  del  competente  Organo Tecnico dello Stato. 
 Questi principi direttivi risultano violati sia dalla Regione Liguria che dalle altre Regioni, che negli anni si sono determinate ad  approvare i propri calendari venatori mediante   provvedimento   legislativo, anziché con atto amministrativo. 
Queste  Regioni, infatti, eludendo  lo  strumento procedimentale  prescritto  dalla  legge  statale,  hanno sostanzialmente   eluso   i passaggi procedimentali inderogabili stabiliti dalla legge quadro, e che prevedono espressamente, come si accennava poc'anzi, che per ogni singolo piano di prelievo venga posta in essere un'istruttoria tecnica, che tenga conto, nell'interesse primario della tutela della fauna, delle condizioni ambientali e dello stato di conservazione delle singole specie. 
Peraltro, nella sentenza in rassegna la Corte Costituzionale ha fatto ancora notare come il Legislatore ligure, non solo avesse illegittimamente attratto a sé la competenza provvedimentale, ciò che è in ogni caso precluso, ma si fosse  spinto, addirittura,  fino a irrigidire nella forma della legge il calendario per tre stagioni, indebolendone ulteriormente il "regime di flessibilità",  che, come già ripetutamente rappresentato anche dalla giurisprudenza amministrativa,  deve assicurarne un pronto adattamento alle sopravvenute diverse condizioni di fatto.
E' appena il caso di soggiungere, sul punto,  che il  ricorso  allo  strumento legislativo serve anche  a  precludere  ai  cittadini  ed  alle  loro organizzazioni rappresentative, la possibilità di tutelare  i  propri interessi legittimi innanzi  al  competente  giudice  amministrativo, mediante rituale impugnazione  del  calendario  venatorio  approvato. 
Siamo di fatto di fronte ad  una chiara ipotesi di eccesso di potere legislativo, in cui le Regioni sono andate a  comprimere gli interessi di soggetti titolari di un diritto azionabile innanzi al Giudice Amministrativo ex artt. 24 e 113 Cost.,  in un contesto in cui, peraltro,  accade di sovente che le Regioni varino leggi in contrasto con le previsioni della legge quadro,  che, come detto, costituisce per tutte le Regioni, ivi comprese quelle a Statuto speciale, un limite invalicabile, derogabile unicamente in melius, vale a dire in senso più conservativo.
Passando alla rassegna della sentenza n.106/12, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47, comma 5, della legge della Regione Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), aggiunto dall'art. 10 della LR 3 settembre 2001, n. 28 (Disposizioni per lo svolgimento della stagione venatoria 2001/2002. Modificazioni alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 recante norme in materia di caccia).
Con ordinanza del 17 febbraio 2011, il TAR Liguria, chiamato a scrutinare un ricorso amministrativo proposto dalle Associazioni WWF e LAC,  ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo 47, comma 5, della LR Liguria 1° luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), aggiunto dall'art. 10 della legge regionale 3 settembre 2001, n. 28 (Disposizioni per lo svolgimento della stagione venatoria 2001/2002. Modificazioni alla legge regionale 1° luglio 1994, n. 29 recante norme in materia di caccia), in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
In particolare, la disposizione censurata stabilisce che le Province possono, sulla base di specifiche e motivate esigenze, autorizzare la caccia agli ungulati in deroga al generale divieto di procedervi su terreni coperti in tutto o per la maggior parte da neve, posto dal precedente comma 4.
Innanzi al tribunale rimettente era stato appunto impugnato l'atto amministrativo con cui la Provincia di Genova aveva  autorizzato tale attività venatoria per la stagione 2010/2011.
Deve innanzitutto ricordarsi come non solo la giurisprudenza amministrativa e di legittimità, peraltro in più occasioni, ma la stessa giurisprudenza costituzionale, sin dal 1993, nella sentenza n.289, abbiano  avuto modo di chiarire come la presenza di terreni innevati o allagati e specchi d'acqua ghiacciati costituisca causa  già di per sé idonee a determinare un divieto assoluto, ed immediatamente operativo,  di esercizio della caccia.  
Come efficacemente rilevato dal TAR Liguria, la  legge quadro 11 febbraio 1992 n. 157 pone all'art. 21 una serie di divieti di caccia in punto di luoghi e modalità e tra questi, alla lettera m), proibisce a chiunque di cacciare su terreni coperti in tutto o nella maggior parte di neve, salvo che nella zona faunistica delle Alpi, secondo le disposizioni emanate dalle Regioni interessate. 
Sulla portata generale del divieto, come abbiamo più volte sottolineato anche sulle pagine di questa rivista, nonché nel corso degli eventi seminariali organizzati da Diritto all'ambiente,  non vi possono essere dubbi, vista la chiarezza esemplare della norma e le disposizioni da emanare da parte delle Regioni interessate non possono che riguardare le singole discipline delle modalità di caccia nella zona alpina.
 Se si vieta a chiunque di cacciare su terreni innevati senz'altra specificazione, con l'eccezione di un'area del tutto peculiare del territorio nazionale secondo le disposizioni regionali, è evidente che queste ultime devono concernere necessariamente tempi e criteri relativi a questa area e non possono riguardare deroghe a fronte di un principio indicato dalla legge nazionale. 
Ciò nonostante, l'art. 47 comma 4 della LR 1° luglio 1994 n. 29, riproduceva il suindicato divieto della legge nazionale, tra l'altro senza specificare l'eccezione della zona alpina e quindi introducendo una previsione di maggior rigore, mentre il seguente comma 5, inserito dall'art. 10 LR 3 settembre 2001 n. 28, recitava letteralmente "Le province, sulla base di specifiche e motivate esigenze, possono autorizzare la caccia agli ungulati in deroga a quanto previsto dal comma 4".
Come si vede, l'art. 47 comma 5 LR  n. 29/94 nella versione introdotta dall'art. 10 LR 3 settembre 2001 n. 28 aveva introdotto  una deroga, oggi caduta rovinosamente sotto i colpi di scure della Corte Costituzionale,  rispetto ai generali divieti nazionali, dato che essa vale palesemente per tutto il territorio regionale, ivi compreso quello non ricadente in Zona Alpi.
Del resto, come si è diffusamente illustrato poc'anzi, i generali divieti nazionali fissati dalla legge statale n. 157/92 ed in questo caso dall'art. 21 di detta legge sono stati configurati da un ormai pacifica giurisprudenza costituzionale come fonti di standard minimi ed uniformi di tutela della fauna selvatica e come limiti assoluti all'esercizio della cacciagione, la cui determinazione appartiene in via esclusiva alla competenza del legislatore statale ex art. 117 co. 2 lett. s) della Costituzione (da ultime Corte Cost. 29 maggio 2009 n. 165; 22 dicembre 2006 n. 441; 27 luglio 2006 n. 313).  Inevitabile, pertanto, questa ennesima caporetto venatoria. Con il vivo auspicio che sia, finalmente, di lezione.
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