[07/05/2012] News

Ma quale Europa vogliamo? Qualche idea sostenibile dopo il voto

Che qualcosa stia cambiamo, come dice anche Umberto Mazzantini nel pezzo di apertura di oggi di greenreport.it, lo capiremo solo da oggi in poi. L'Europa è certamente a una svolta, ma che sia sostenibile socialmente e ambientalmente è tutt'altro che scritto. La bocciatura dei risultati elettorali da parte dei mercati potrebbe essere vista come una cartina tornasole in positivo dei suddetti esiti, ma sono così interpretabili gli esiti stessi e le reazioni delle borse da preferire anche qui far scorrere un po' d'acqua sotto i ponti.

Le prime risposte invece potremmo averle dal prossimo incontro tra il neo inquilino dell'Eliseo e Frau Markel, per capire subito il margine di trattativa sul fiscal compact. Se la cancelliera tedesca ha capito l'aria che tira (e che se le va bene in Germania potrà al massimo fruttarle una Gerosse Koalition con la Spd) e torna a più miti consigli sulla sua politica fatta di solo rigore può darsi che quella svolta di cui parlavano all'inizio possa concretizzarsi in tempi rapidi, altrimenti il prossimo passo concreto lo avremo solo dopo le elezioni autunnali teutoniche. In questo secondo caso il tempo sarà più che mai tiranno, perché i mercati sono assetati di sangue e senza interventi forti a livello europeo continueranno il loro strangolamento dei paesi già in crisi e magari cercheranno di contagiare anche gli altri.

Come ha ricordato anche Guido Rossi sul Sole24Ore di ieri, ora pare a tutti chiaro che «l'austerità e il rigore portano la recessione ad avvitarsi su se stessa e a peggiorare», ma «d'altra parte val la pena di ricordare che il maggior attacco ad una miope politica di austerity risale addirittura alla conversazione radiofonica alla Bbc del 4 gennaio 1933 tra John Maynard Keynes e sir Josiah Stamp, dove il primo sottolineava che "la verità fondamentale che non deve mai essere dimenticata è che la spesa di un uomo è il reddito di un altro uomo. (...) Chi si sveglia scoprendo che il suo reddito è stato decurtato o di esser stato licenziato in conseguenza di quel particolare taglio, è costretto a sua volta a tagliare la sua spesa, che lo voglia o meno". E così qualcun altro rimarrà senza reddito e senza lavoro, e "una volta che la caduta è iniziata è difficilissimo fermarla"».

Il fatto dunque che in Francia abbia prevalso democraticamente la linea di Hollande che punta contro il rigore e l'austerity come uniche vie d'uscita dalla crisi, è di per se positivo, ma - sempre per dirla con Rossi - «Ciò che non dobbiamo augurarci è che purtroppo allora nulla cambi e che perciò, con la solita abbondanza di promesse, la disoccupazione, i disagi morali ed economici della povertà e le incredibili disuguaglianze in molti Stati europei continuino, con la triste conseguenza che la politica di rigore, di austerity, di tagli e di aumento delle tasse ci affonderà nel "double dip", la seconda recessione dalla quale risulterebbe poi per anni e anni impossibile qualsivoglia ripresa». Ma anche questo non basta, non basta per l'Europa, non basta per l'Italia, non basta per la sostenibilità. Perché se anche si dovesse trovare una via d'uscita al rigore e si trovasse la strada per crescere, bisogna che questa crescita la si declini, altrimenti si tratterebbe solo di una nuova fiammata per poi tornare esattamente al punto di partenza.

Per questo convincono ancora una volta le parole di Romano Prodi che, in un'intervista rilasciata sempre al Sole24Ore, dichiara alla vigilia del voto: «Il cambiamento in Francia e in Europa è indispensabile. La Francia deve riprendere il suo ruolo di cemento comunitario con l'Italia e con la Spagna. Un asse a tre che non si oppone alla Germania - nessuno fa questo discorso - ma propone alla stessa Germania e all'Europa un progetto di rilancio credibile. Bisogna considerare che continuando con questa politica basata sull'austerità, solo sull'austerità, andiamo a finire in malora». E aggiunge «Io so che il capitalismo basato solo sulla finanza mette fuori gioco l'economia reale. Sono aspetti deteriori su cui ragionare. Se si vuole che la parola crescita abbia un significato bisogna che si passi a un rafforzamento sostanzioso dei poteri della Banca centrale europea e all'emissione dei tanto citati eurobond». E ancora: «Francia, Italia e Spagna devono fare un asse a tre per rilanciare l'Europa, aiutando la Germania a non fare tutto da sola».

Che fare dunque? «Il rigore è necessario ma non sufficiente. Se tu non offri una via di uscita alla crisi, i piani di austerità sono dei rimedi nel breve termine che rischiano di essere strumentali. Curano il malato ma non lo guariscono. Il vero problema è che oggi i singoli Paesi sono troppo esposti davanti ai mercati finanziari, non hanno la forza per opporsi. O sei un pesce grande, come Stati Uniti e Cina, o i mercati ti mangiano. Con la crisi del debito i singoli Paesi europei hanno di fatto perso la loro sovranità. È cambiato il mondo (...). Oggi sembra che la finanza valga di più delle nazioni. Ed è una cosa inaccettabile. Di certo è la fine di un periodo storico e se nessuno vi pone rimedio, l'Europa rischia davvero l'implosione. Bisogna trovare dei freni alle storture dei mercati, al capitalismo malato». Ed ecco la proposta che persuade più di tutto il resto: «Le misure del governo Monti sembrano non essere sufficienti per evitare i rialzi dello spread. Non basta evocarla la crescita perché si materializzi... Il discorso non è solo italiano ovviamente... È vero, le politiche nazionali, pur se fondamentali, non sono più sufficienti. Io dico, insisto, che bisogna rilanciare l'Europa. Un patto per la crescita e per la finanza. Sulla crescita, Italia e Spagna devono chiedere al prossimo presidente francese, chiunque esso sia, di fare fronte comune per sviluppare una politica industriale europea. D'altra parte noi vinciamo la concorrenza asiatica solo se creiamo un grande cluster industriale europeo. Un cluster che avrà certamente come centro la Germania ma che non potrà funzionare senza gli altri partner europei».

Eccoci dunque, una politica industriale europea per vincere la concorrenza asiatica e quale potrebbe essere questa politica se non quella legata alla sostenibilità? Europa 2020, in questo senso, è già un ottimo canovaccio. Risparmio energetico; rinnovabili; lotta al dissesto idrogeologico; edilizia e prodotti ecosostenibili; riciclo (che per un continente come l'Europa scarso di materie prime è a dir poco fondamentale); e ancora ricerca e sviluppo; cultura... qui c'è Pil davvero, c'è lavoro, e c'è un futuro diverso, specialmente se a decidere saranno di nuovo i governi e non i mercati, e con più Europa e non meno Europa, e con più sostenibilità e non meno.

 

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