[10/05/2012] News

Appalti pubblici: criteri di assegnazione di natura ambientale e sociale e la direttiva Ue

Per un appalto pubblico l'amministrazione di uno stato membro può richiedere che alcuni
prodotti da fornire provengano dall'agricoltura biologica o dal commercio equo e solidale, ma
l'amministrazione aggiudicatrice deve utilizzare specifiche dettagliate e non deve fare riferimento a
ecoetichettature o a marchi determinati.

Questa è la decisione della Corta di Giustizia
europea che - con sentenza di oggi e accogliendo il suggerimento dell'avvocato generale - condanna
il Regno dei Paesi Bassi per essere venuto meno ai suoi obblighi e per la violazione della direttiva
relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di
forniture e di servizi (2004/18).

La questione riguarda la provincia Noord-Holland, il
procedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico per la fornitura e la manutenzione di
macchine automatiche per il caffè e il riferimento ai marchi di qualità "Max Havelaar" e "EKO".
Entrambi marchi di qualità privata che mirano, il primo a favorire la commercializzazione dei prodotti
del commercio equo e solidale e il secondo dell'agricoltura biologica.

Il bando della
provincia ha sottolineato l'importanza data dalla provincia stessa all'aumento nell'impiego di prodotti
biologici e del commercio equo e solidale nelle macchine automatiche per il caffè. Peraltro, ha
specificato che "la provincia Noord-Holland impiega, nel consumo di caffè e tè, i marchi di qualità
Max Havelaar e EKO" e che gli ingredienti diversi dal caffè e dal tè, quali il latte, lo zucchero e il
cacao, dovessero essere conformi, per quanto possibile, ai due marchi di qualità. Successivamente
ha precisato - in una nota informativa - che gli altri marchi di qualità sarebbero stati parimenti
accettati "a condizione che essi si fondino su criteri equiparabili o identici".

In base a tali
elementi, la Commissione europea ha proposto un ricorso per inadempimento contro i Paesi Bassi
per violazione della direttiva sugli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.

La
direttiva del 2004 ammette che le amministrazioni aggiudicatrici in sede di concessione degli appalti
possano prendere in considerazione anche aspetti di natura ambientale e sociale. Anche se
rimangono controversi i requisiti e la forma in cui concezioni di politica ambientale e sociale
dell'amministrazione aggiudicatrice possono confluire in una concreta procedura di aggiudicazione.

Relativamente a ciò, la Corte sostiene che un'indicazione pertinente è fornita dalle norme
della direttiva che riguardano l'impiego di un'ecoetichettatura nell'ambito della formulazione di una
specifica tecnica. Il legislatore europeo, infatti, ha autorizzato le amministrazioni aggiudicatrici a
utilizzare i criteri sottesi a un'ecoetichettatura per stabilire alcune caratteristiche di un prodotto. Ma
ciò non autorizza a elevare un'ecoetichettatura al rango di specifica tecnica. Perché l'ecoetichettatura
può essere utilizzata solo a titolo di presunzione relativa al fatto che i prodotti sui quali è apposta
soddisfano le caratteristiche così definite (fatto esplicitamente salvo ogni altro mezzo di prova
appropriato).

Quindi l'assegnazione di un determinato punteggio nell'ambito della selezione
dell'offerta economicamente più vantaggiosa a taluni prodotti muniti di marchi di qualità determinati,
senza aver elencato i criteri sottesi a tali marchi e senza aver ammesso la possibilità di fornire con
ogni altro mezzo appropriato la prova che un prodotto soddisfaceva tali criteri, risulta essere un
criterio di aggiudicazione incompatibile con la direttiva

Inoltre e in relazione al principio di
trasparenza, tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione devono essere
formulate in modo chiaro, preciso e univoco, nel bando di gara o nel capitolato d'oneri. Ciò
consente, da un lato, a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di
comprenderne l'esatta portata e di interpretarle allo stesso modo e, dall'altro, all'amministrazione
aggiudicatrice di essere in grado di verificare effettivamente se le offerte presentate rispondano ai
criteri che disciplinano l'appalto in questione.

Quindi - secondo la Corte -  i requisiti relativi
al rispetto dei "criteri di sostenibilità degli acquisti e di responsabilità sociale delle imprese" nonché
all'obbligo di "contribuire al miglioramento della sostenibilità del mercato del caffè e ad una
produzione del caffè responsabile sotto il profilo ambientale, sociale ed economico" non presentano il
necessario grado di chiarezza, di precisione e di univocità.

 

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