[14/05/2012] News

Prodi: «La Merkel è più vicina al Tea Party che alla Dc»

L'ex Premier: «Lo dico in modo scherzoso, ma non sto scherzando»

L'eco della parola "crisi" si trascina nelle nostre cronache da ormai cinque anni. Mentre ancora verso le alte sfere si discute - con vaghi risultati - su come porre fine a questa profonda debacle dell'economia il dibattito, quando va bene, verte su come far ripartire la macchina inceppata della crescita, e quasi mai sul come restituire alle discipline economiche lo studio delle politiche più adatte a creare benessere diffuso e sostenibile tra i cittadini del pianeta.

All'interno del dramma planetario, che ha finito per coinvolgere in diversa misura anche quei Paesi emergenti che inizialmente sembravano immuni al contagio, l'Europa si è trovata ben presto a recitare la triste parte della protagonista. Anche simbolicamente, non è trascurabile che due dei grandi epicentri della crisi siano l'Italia e la Grecia, dove, letteralmente il mito di Europa è nato. Proprio dall'Europa, però, può arrivare la scossa per ripartire imboccando un sentiero diverso dal passato; nel laboratorio politico ed economico dell'Unione europea è possibile ricreare le condizioni migliori per riportare in primo piano e rilanciare in una visione sostenibile quelle idee che - a partire dalla democrazia, ma anche la moderatio degli antichi - in Europa sono nate: perché la crisi in corso, prima ancora che economica, è una crisi d'idee.

A Firenze, sotto il patrocinio della Regione, si è svolto un incontro tra l'economista Simon Anholt, l'ex-premier Romano Prodi e il premio Nobel per l'economia Amartya Sen, ricostruendo un crogiuolo per dibattere sui possibili modelli per uscirne, dal tunnel della crisi. Ne sono uscite posizioni forti contro la voracità del finanzcapitalismo, a partire dallo stesso Sen che ha affermato come l'Unione europea fosse originariamente pensata «non certo come un'unione di banchieri, ma basata su ideali democratici». Proprio sul grande tema della volatilizzazione della sovranità, con la dimensione politica sovrastata da quella finanziaria ed economica, si sono in buona parte concentrati i relatori.

Lo stesso Amartya Sen, parlando di «fondamentalismo del mercato» ha invocato la necessità di restituire valore alle "antiche idee", come il «welfare state» e in particolar modo la democrazia, compresa nella sua declinazione più pragmatica della politica, perché «noi vogliamo un'economia di mercato davvero efficiente per tutto quello che è in grado di dare, ma per averla è necessario stabilire come il mercato possa essere regolato; come ci ha insegnato Keynes, c'è una complementarità di ruoli tra Stato e mercato, ed è proprio su questo punto che qualcosa è andato storto. Senza democrazia abbiamo autoritarismo, e una combinazione di autoritarismo e pensiero provinciale è molto pericolosa». Citando in particolare l'esempio della crisi in Grecia, Sen ha osservato come le decisioni imposte al Paese siano state prese «senza che la popolazione fosse adeguatamente informata, mentre consultare la voce dei cittadini favorisce il confronto e un cambio di rotta».

Sulle stesse corde l'intervento di Simon Anholt, l'economista che ha esordito affermando come ‹‹sia ormai rimasta soltanto un'unica superpotenza mondiale: l'opinione pubblica. Se ben indirizzata, può risultare risolutiva›› per sottolineare poi che «l'Europa sta vivendo un momento di grandi sfide - dall'economia, ai cambiamenti climatici all'immigrazione - ma al contempo è un momento davvero favorevole per decidere che cosa vuole essere».

Il problema principale, ha sottolineato un brillante Romano Prodi, è che agiamo in un contesto di «sovranità limitata, dove si tassa solamente ciò che dalle tasse non può scappare: le politiche dei singoli Paesi hanno come obiettivo primario di evitare attacchi speculativi. Con l'ingigantimento dei mercati finanziari (che muovono cifre cento volte superiori alla dimensione dei beni reali), avvenuto in pochissimi anni, la speculazione ha assunto una forza tale che nessuno Stato nazionale può resistergli tranne Usa e Cina, cani così grandi che nessuno osa ancora morsicare.

Per quanto ci riguarda, riacquistare sovranità significa concederne un po' di più all'Europa. La Merkel è più vicina al Tea Party che alla Dc, ha un pensiero dottrinale; lo dico in modo scherzoso, ma non sto scherzando. È convinta che alla Germania basti se stessa, ma in questo mondo globalizzato nemmeno i tedeschi possono farcela se non hanno attorno il resto d'Europa. La Grecia ha sbagliato falsificando i conti per entrare nell'Unione, ma perché Francia e Germania l'hanno permesso: adesso, non possiamo permetterci di dire che un'uscita della Grecia dalla zona euro avrebbe scarsi effetti sugli altri Paesi che ne fanno parte. Mangiata la Grecia, la speculazione avrebbe ancora più fame: sarebbe il crollo di un castello di carte che riguarderebbe da vicino anche la Germania, che rispetto ad ora esporterebbe ben poco nel resto d'Europa. Ecco perché trovo egoista una prospettiva come questa, incapace di capire la storia: gli eurobond cambierebbero questo corso, ma adesso non sembra esserci il clima politico adatto. Riuscirà Hollande a cambiarlo? Penso voglia farlo, ma il problema sono i tempi. Occorre urgenza».

Il commento di Prodi fa così il paio con quello che ieri Guido Rossi ha scritto sulle pagine del Sole24Ore, affermando che «Esistono oggi alcuni "credo", a matrice quasi religiosa, che governano il mondo e che hanno i loro devoti sacerdoti, i quali anche di fronte alle evidenze contrarie dell'attuale depressione economica, continuano a predicarne le virtù. Tra questi quello più fallimentare, come ormai è noto, è il credo del libero mercato che si autoregola, e della selvaggia deregolamentazione della finanza collegata alla speculazione [...] In conclusione, solo una grande riforma del capitalismo finanziario potrà evitare che [...] le disuguaglianze interne e globali aumentino a dismisura. Non si tratta ovviamente di demonizzare la finanza, che pure nel mercato ha una sua straordinaria funzione [...] bensì di evitare che essa, al di là e al di fuori degli Stati, continui a produrre un'enorme ricchezza di denaro virtuale, l'incredibile contagio e la peste finanziaria fino a diventare, dopo aver soggiogato il potere degli Stati, l'unica sovrana della globalizzazione».

Sono sempre più numerosi i casi di intellettuali e centri di organizzazione e diffusione di pensiero che, a livello più o meno alto (e nel mezzo ci infiliamo anche noi di greenreport), provano ad arare i campi della cultura perché dai semi gettati possa nascere un nuovo, giusto e sostenibile modo di vivere il progresso del genere umano. Siamo ora giunti ad un momento decisivo, è necessario trovare coraggio per riprendere in mano le redini del cambiamento. Perché la semina possa dare i suoi frutti, è necessario collaborare e fare massa critica, per non essere - a dirla con le parole di Giorgio Ruffulo -  «grani di polvere che i venti del populismo (e della globalizzazione, e del profitto a breve a tutti i costi, ndr) sollevano e travolgono».

«Dal 1980 in poi si sono rotti gli equilibri, ed è interessante vedere come le idee e le politiche influenzino direttamente la vita quotidiana: abbiamo infatti avuto un progressivo aumento delle diseguaglianze - ha concluso Romano Prodi. È arrivata l'Europa della paura, che si è divisa inseguendo populismi, ed è giunta l'ossessione del breve periodo. Abbiamo affidato al mercato un ruolo totalizzante: ci siamo affidati ad un mostro e ne abbiamo perso il controllo».

Torna all'archivio