[22/05/2012] News
Gli esteti dei mercati finanziari e le domande sul valore in economia
Una volta di più, dopo l'isteria del primo momento, a Wall Street c'è già un nutrito gruppo di investitori che si mangia le mani: sono coloro che hanno preso al balzo la palla della quotazione del gigante blu della rete, Facebook, col risultato di scottarsi subito. Dal 18 maggio scorso, giorno dell'attesissima Ipo (Initial public offering) del social network più famoso al mondo, i titoli in borsa sono crollati di circa il 12%.
«Per essere ancora più chiari: i gonzi che hanno comprato i titoli del social network al prezzo dell'Ipo di $38 hanno perso il 20% in 48 ore dal top di $45, adesso che il titolo non è più sostenuto dagli acquisti fasulli delle banche del consorzio di collocamento (tra cui Morgan Stanley)», è il sarcastico commento di Wallstreetitalia. I pesci più furbi nello stagno, tra i quali il guru Warren Buffet, hanno da subito affermato come non fosse loro intenzione investire sul social network, ma in molti altri hanno abboccato all'amo, per poi ricredersi subito dopo: indipendentemente da come proseguirà la compravendita dei titoli a marchio Fb, un'ennesima dimostrazione dell'estrema volatilità di intenti e quattrini sui mercati finanziari, soprattutto quando questi vengono abbagliati dalla presenza di elementi che niente hanno a che fare con la costruzione dell'economia reale, l'unica che rimane a produrre veramente ricchezza. Nel XXI secolo come ai tempi di Oscar Wilde e del suo celebre Dorian Gray, verrebbe da dire, «Oggigiorno la gente conosce il prezzo di tutte le cose e non conosce il valore di nessuna».
Niente infatti, ovviamente, vieta né sconsiglia a Facebook di sbarcare in borsa, ma tutto dipende dai presupposti con i quali ci si approccia alla decisione dei vertici di Palo Alto; partendo proprio dal modus operandi rilevato nel corso di un'attesissima operazione-simbolo come questa, il comportamento degli operatori finanziari permette di cogliere un riflesso particolarmente interessante di come si muovano questi razionalissimi homo oeconomicus che scorrazzano per i mercati finanziari.
Innanzitutto, dietro il picco della quotazione borsistica di Facebook, seguito da un suo pressoché immediato crollo, è possibile scorgere l'importanza decisiva dell'esagerata attenzione mediatica rivolta all'Ipo in questione, nei giorni e mesi che hanno preceduto l'evento. Gli animal spirits dei potenziali investitori sono stati drogati da quest'informazione morbosa e ridondante, inducendo un'escalation che è un classico esempio dell'effetto framing descritto in neuroeconomia, ovvero la determinante rilevanza della cornice col quale viene impacchettato un particolare evento reale, indirizzandone la percezione in un senso piuttosto che in un altro. È dunque probabilmente tramite l'effetto framing che è possibile spiegare una buona fetta della corsa (e seguente fuga) dei mercati finanziari verso Facebook. Non è altrimenti spiegabile come esperti (e razionalissimi, di nuovo) investitori abbiano deciso fidarsi di un contesto dove «il prezzo dell'Ipo valuta ciascuno dei 900 milioni di utenti di Facebook 110 dollari, quando ogni utente genera (attualmente, ndr) circa 4 dollari», come riportato su un blog del Sole24Ore.
Se questi sono i "razionalissimi", c'è da rabbrividire su quale sia la reputazione verso chi di mercati e indici borsistici proprio non ne mastica. D'altronde, è anche vero che i frequentatori di Wall Street non possono fortunatamente essere presi a modello dell'uomo medio, dato che - scrive la Repubblica - secondo una ricerca di Sherree DeConvy (riportata da Cfa Magazine e New York Times) ‹‹il 10% dei banchieri di Wall Street sono "clinicamente psicopatici" (contro l'1% della popolazione generale)››. Eppure, quel che accade a Wall Street è sovente molto più importante delle decisioni che vengono prese all'interno dei Parlamenti o delle pubbliche agorà - dove ne è rimasta traccia - delle scelte democratiche; poterlo capire per riprenderne il controllo, sfuggito di mano, è dunque fondamentale.
I mezzi finanziari in se possono infatti rivelarsi eccezionali lubrificatori dei meccanismi delle nostre "democrazie di mercato", a patto che tornino ad operare all'interno di norme chiare, certe e democraticamente determinate: a questo punto, la metafora smithiana della mano invisibile sarà certamente più vicina alla verità. La presenza di liquidità sui mercati finanziari è infatti enorme, e sarebbe doveroso dirigerla verso i settori in cui la crescita è ancora necessaria, volta a raggiungere un orizzonte sostenibile che non può essere solo evocato in pubblici proclami. In questo senso, stavolta in positivo, l'effetto framing può risultare determinante ad orientare le scelte degli investitori, e qui il ruolo e la responsabilità dei media torna in primo piano.
Che poi questi, in occasione dell'Ipo di Facebook non abbiano generalmente ritenuto necessario sottolineare che la sostanza dell'atteso evento consistesse nell'impacchettare ed esporre al ludibrio del mercato delle relazioni umane, nella mercificazione di privacy ed emozioni, è solo un'ulteriore conferma della deriva etica alla quale sono soggetti gli attori della comunicazione, come risvolto della società intera. Ma questa è un'altra storia.