[29/05/2012] News

Lo tsunami giapponese di Fukushima e il Great Pacific Garbage Patch, mito e realtà

Il pericolo non sono i detriti dello tsunami ma i rifiuti che ogni giorno finiscono nei nostri mari

Usha Lee McFarling, premio Pulitzer 2006 per "Altered Oceans", racconta sul Los Angeles Times come da mesi gli abitanti della West Coast Usa e canadese si stiano preparando ad un'invasione di oggetti alla deriva  provenienti dal terremoto/tsunami dell'11 maggio 2011 nel nord-est del Giappone, che ha spazzato via  interi quartieri, automobili ed infrastrutture portuali trascinandoli nell'oceano Pacifico. 

Sulle coste occidentali statunitensi sta arrivando l'avanguardia di questi detriti: ad aprile una nave fantasma  giapponese, la Ryou-un Maru, è arrivata nel Golfo dell'Alaska; una Harley Davidson arrugginita è stata portata dalle correnti dalla prefettura di Miyagi fino ad una spiaggia remota della British Columbia; un pallone da calcio con dedica è stato trovato su un'isola dell'Alaska e restituito al suo giovane proprietario che vive nella città di Rikuzentakata devastata dallo tsunami. «Come sogni, o incubi - scrive Usha Lee McFarling  - questi frammenti di vita ribelli di altre persone ci avvicinano al disastro lontano. Rendono il mondo più piccolo».

Negli Usa diverse associazioni hanno avviato progetti per restituire i beni recuperati ai loro ex proprietari e una città costiera dell'Oregon spera che la "caccia al tesoro" dello  tsunami diventi un'attrazione turistica, ma a predominare è la preoccupazione. La gente si chiede se i detriti giapponesi siano radioattivi, oppure se un'ondata di spazzatura ricoprirà le spiagge americane e qualcuno chiede che il governo giapponese si accolli i costi della pulizia delle coste. Reazioni che rivelano una discreta ignoranza frutto di una cattiva informazione. Nell'oceano Pacifico non esiste nessuna isola gigante di detriti che si sta lentamente dirigendo verso l'America. Subito dopo lo tsunami c'erano grandi ammassi di legname (soprattutto tetti di abitazioni e imbarcazioni, che inglobavano altri elementi, ma queste "zattere" si sono disgregate rapidamente. Solo cinque settimane dopo lo tsunami, la National oceanic and atmospheric administration Usa comunicò che gli ammassi di detriti galleggianti non potevano più essere rilevati dai satelliti). 

Quello che la risacca dello Tsunami ha trascinato in mare è attualmente disperso in un'area dell'Oceano Pacifico lunga 4.500 miglia di lunghezza e Jan Hafner, del Pacific international research center dell'università delle Hawaii,  spiega sul Los Angeles Times che è «Molto scarsa, molto irregolare», altri esperti sottolineano che è improbabile che ci siano detriti radioattivi, visto che la grandissima parte del materiale è finita in mare prima che il terremoto/tsunami innescasse la catastrofe nucleare di Fukushima Daiichi e lo sversamento di acqua radioattiva. L'imbarcazione di 20 piedi ritrovata alla deriva nell'autunno 2011 a nord dell'atollo di Midway non conteneva tracce di radiazioni. 

Ma quanti sono i detriti dello tsunami che galleggiano ancora sull'oceano? I media statunitensi parlano di uno "staggering mess", un gigantesco "bolb" di spazzatura da 20 milioni di tonnellate che potrebbe riversarsi sulle spiagge delle Hawaii. Alcuni rapporti dicono che i detriti dello tsunami sono 100 milioni di tonnellate e che stanno arrivando sulla West Coast. Secondo la Lee McFarling, «Questi numeri sono ampiamente gonfiati. Il governo giapponese stima che quasi 5 milioni di tonnellate di detriti siano stati dilavati in mare durante lo tsunami. Secondo la Noaa, circa il 70% di questi è affondato. Il che ha lasciato 1,5 milioni di tonnellate di oggetti galleggianti come boe, fusti di petrolio, legname e barche. Più di un anno dopo, alcuni di questi detriti sono affondati o si sono degradati. E' ancora una quantità impressionante di materiale, circa quanto 100.000 camion della nettezza urbana ma, grazie alle correnti ed ai venti, è improbabile che una qualsiasi area o litorale vedrà onde di detriti». 

I tecnici che stanno monitorando gli effetti del post-tsunasmi dicono che la maggior parte del materiale dello tsunami sta passando a nord delle Hawaii e che pochi detriti approderanno sulle coste balneari della California, la maggior parte finirà più a nord.  Già ora a Beachcombers in Alaska e nello stato di Washington è segnalato un aumento dei ritrovamenti sulla costa di boe e dei segnali di pescherecci giapponesi. Inoltre molti rifiuti che vengono attribuiti allo tsunami sono in realtà etichettati con scritte in cinese o coreane e molto più recenti  rispetto al disastro del 2011. 

La gran parte dei detriti del terremoto/tsunami del Giappone non arriverà mai sulle coste americane: sarà risucchiato dal vortice di rifiuti del Great Pacific Garbage Patch che accumula macro e micro plastica  rimpinguando una enorme discarica oceanica che senza interventi si degraderà solo in qualche secolo. Il Great Pacific Garbage Patch è così ampio che è difficile da misurare e le stime della sua attuale capienza vanno da centinaia a milioni di tonnellate di rifiuti galleggianti.

Un recente studio ha rivelato che la plastica si è spinta in profondità nella colonna d'acqua molto più di quanto si credesse e un altro studio pubblicato questo mese (del quale ha già riferito greenreport.it)  indica che negli ultimi 40 anni la quantità di plastica nella Great Pacific Garbage Patch è aumentata di 100 volte. 

Purtroppo la colossale quantità di detriti prodotti  dallo tsunami giapponese è solo una piccola parte dei rifiuti di origine antropica che scarichiamo negli  oceani. «I nostri mari hanno già più spazzatura di quella che potrebbe essere prodotta da decine, se non centinaia, di tsunami - scrive la Lee McFarling - E ogni giorno se ne aggiunge di più». L'associazione Ocean Conservancy spiega che «Uno tsunami di spazzatura nell'oceano viene prodotto ogni anno semplicemente con le cose usa e getta che compriamo». Si tratta in gran parte di plastica: bottiglie d'acqua, piatti e posate usa e getta, sacchetti che finiscono nei mari e negli oceani dopo essere stati buttati dalle imbarcazioni, trascinati in mare dalle spiagge e dalle discariche mal gestite o dagli scarichi urbani. E' il frutto del non riciclo della plastica, di un ciclo dei rifiuti che non viene chiuso e che rimane al primordiale e barbaro livello dell'usa e getta. 

Queste discariche galleggianti stanno richiedendo un orribile pedaggio alla fauna marina: «Ora si ritrovano accendini di plastica nello stomaco dei pulcini degli albatros di Laysan morti e foche  che sono state soffocate da attrezzi da pesca abbandonati - scrive il Los Angeles Times - Gli scienziati sono anche preoccupati perché le sostanze chimiche provenienti dai frammenti di plastica ingeriti dai pesci stanno risalendo la catena alimentare e entrano nelle nostre diete». 

Le statistiche sulla spazzatura oceanica, alla quale in qualche modo contribuiamo tutti, sono sconfortanti e molto meno curiose dell'ultimo modello di forno a microonde, del divano o del pallone da pallavolo che  fluttuano  nel Pacifico ed arrivano sulle coste Usa come souvenir del Giappone. E' sulla vita e sul riuso dei prodotti, sulla gestione della spazzatura quotidiana, sulla sua produzione, sul successivo riciclo e smaltimento che dovremmo concentrarci. «Non abbiamo modo di controllare gli tsunami e la devastazione che scatenano tra gli abitanti della costa e dei nostri mari - conclude Usha Lee McFarling - Quello che possiamo controllare è la quantità di rifiuti ai quali ogni giorno consentiamo di scivolare nei nostri oceani». 

 

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