[01/06/2012] News toscana

Tutti i dubbi sul progetto di rimozione della Costa Concordia

Abbiamo ricevuto, insieme ad altri giornali, un corposo dossier realizzato da uno specialista che analizza il progetto Titan/Micoperi di rimozione della nave da crociera Costa Concordia naufragata all'Isola del Giglio, ponendo in risalto aspetti tecnici che sembrano molto preoccupanti e in parte già sollevati dalle altre imprese che hanno partecipato alla gara. Ne pubblichiamo gli stralci più significativi, rimanendo naturalmente disponibili a repliche e precisazioni.

Secondo il documento il progetto adottato è molto impattante e non sicuro, convinzioni che derivano dall'analisi punto per punto del progetto.  

 

Per quanto riguarda la  creazione del "falso fondale" da circa 6.400 metri quadrati in acciaio, su pali trivellati, nello studio si afferma che «Da una stima oggettiva per sostenere queste piattaforme, che dovranno sopportare ingenti forze peso variamente distribuite, occorrono un centinaio di pali del diametro di due metri, pari a circa 1.600 m di trivellazione circa 5.000 metri cubi di materiali da trivellare e calcestruzzo da iniettare, tutto ciò sul fondo del mare. Questa operazione richiede una quantità enorme di attrezzature molto particolari anche in dipendenza della geologia dei luoghi. Il Giglio è costituito da "graniti"/ "dioriti" rocce estremamente dure , difficili da perforare. Le trivellazioni per loro stessa natura producono una gran quantità di materiale risulta difficile da trattare. Nel progetto viene citata la "tecnica a circuito chiuso" della quale non si ha notizia nel settore delle trivellazioni, si conosce quella a "circuito inverso" impiegata per il consolidamento della Torre di Pisa ma non permette di ottenere diametri di perforazione superiori al 70/80 cm.

Quindi quanto citato nel progetto, è tutto da verificare sul campo. Ciò premesso si presume che tal tecnica possa consistere nel: a) calare un tubo forma in acciaio dalla nave appoggio fin sul fondale; b)

sigillare  accuratamente le zone di contatto del tubo; c) introdurre  all'interno le aste di perforazione; d) perforare, prelevare lo "smarino" in sommità; e) allontanare i materiali di risulta; f) introdurre le armature nel cavo, siano esse convenzionali o costituite da profilati; g) iniettare calcestruzzo o altro legante idoneo a costituire il nucleo del palo; h) posizionare sulle teste dei pali  gli elementi meccanici di aggancio per le strutture costituenti il falso fondale.

Con alcune semplici considerazioni è possibile determinare la quantità di materiale da estrarre dalle perforazioni. Supponiamo che la perforazione da eseguire abbia lunghezza di 10/15 metri per due metri di diametro. Ciascun palo darebbe luogo  a circa 30/50 metri cubi di granito "macinato" misto ad acqua e/o polveri sottili per un peso di circa 90/150 tonnellate da espellere e raccogliere in superficie. Tenuto conto dei pesi indicati non è dato sapere nulla sul "come" questo materiale possa essere fatto risalire in superficie, tutto da verificare. Pur ammettendo che si effettui il lavoro a "regola d'arte", rimane valido il concetto per il quale qualsiasi tipo di perforazione presenta numerosissimi aspetti variabili ai quali è impossibile sottrarsi anche quando si opera sulla terra ferma. In altri termini qualsiasi anomalia possa verificarsi alle teste di perforazione, alle aste e ad uno qualsiasi dei meccanismi del sistema di perforazione adottato, darà innegabili complicazioni ancor più gravose nei lavori marittimi. Ad esempio potrebbe incepparsi la testa di perforazione e, ove non si riuscisse a liberarla, si deve abbandonare il foro e passare oltre!». 

Secondo il documento, «Stante la posizione della nave, non è materialmente possibile realizzare pali sotto la verticale del relitto pertanto è stato inevitabile creare un sistema mensola/puntone nella piattaforma che, dalla fila di pali più prossima al relitto, arrivi fin sotto lo scafo. Questo elemento strutturale sarà quello che per primo riceverà carichi in fase di rotazione della nave (lo scafo girerà di "spigolo" e poggerà di chiglia, sul bordo estremo della piattaforma sottomarina)».

Viene ipotizzato che la lunghezza della mensola  sarà 20/30 metri e che sarà il primo elemento  a ricevere i carichi ed a trasmette sollecitazioni al resto della struttura, «Generando delle tensioni elevatissime, alle quali vanno aggiunte quelle provenienti dai punti di ancoraggio degli "strand jacks" (normali martinetti per la tesatura dei trefoli di precompressione nelle strutture in c.a.p.), distanti 40 metri dalle mensole. I carichi sono per loro stessa natura disomogenei, asimmetrici ed applicati su un sistema strutturale che è anisotropo e complesso. Generano da una notevole massa in movimento (nave in rotazione) della quale nulla si può preventivamente ipotizzare tenuto conto dell'estrema imprevedibilità con la quale si svolgeranno le operazioni di rotazione». 

Anche se la strutture proposta è "reticolare" robusta e staticamente determinata, sono però in gioco centinaia di migliaia di tonnellate e  va tenuta in conto anche l'azione dinamica del carico della quale sembra non si sappia niente Nel documento si legge: «Si può ipotizzare (in mancanza di dati è complicato procedere per ipotesi) un generico andamento circa l'applicazione degli sforzi. E' molto difficile determinare  con quale velocità (noi l' abbiamo  calcolata e vale 13,42-48 Km/h al contatto nave/fondale) avvenga la rotazione dello scafo una volta innescato il meccanismo di ribaltamento. La nave sbilanciata procede autonomamente e fuori controllo. Ammettendo una minima azione favorevole dell'attrito viscoso (nave/acqua), un piccolo contributo della spinta idrostatica, in fase di rotazione, si ha trasformazione di energia potenziale, che  calcolata nel punto di equilibrio del baricentro della nave nel momento in cui la risultante delle forze cambia angolo di azione vale 31.392.000  , in energia cinetica sotto l'azione di un'accelerazione costante (gravità) e  con le leggi del moto uniformemente accelerato. Abbiamo svolto i calcoli relativi alle energie in gioco, di cui si deve dar conto nei bilanci energetici riguardati questo tipo di moti, determinando quantitativamente l'energia cinetica finale. Non è risultato soddisfatto il teorema della conservazione dell'energia, per il quale deve essere.

Non essendovi durante il moto dissipazioni importanti di energia, è matematicamente certo che per soddisfare le condizioni imposte dal teorema dovranno attivarsi dei meccanismi di trasformazione delle energie residue in lavoro sia esso elastico, di deformazione o di qualsiasi altro genere. L'ordine di grandezza di queste "entità" fisiche, si intuisce facilmente, è elevatissimo. Ciò lascia facilmente immaginare quali e quante debbano essere le deformazioni elastiche dei corpi in esame (nave/falso fondale) per poter trasformare così tanta energia in lavoro.

La struttura "reticolare" del falso fondale, pur presentando indubbie capacita di carico, è estremamente rigida, al contrario la nave è decisamente elastica. Fatte le debite considerazioni, tenuto conto che oltre al peso proprio la nave è stata caricata con un numero di "accessori" piuttosto ragguardevoli e pesanti (20/30 mila tonnellate) non è difficile dedurre quale sarà il "corpo" che maggiormente trasformerà energia cinetica in lavoro di deformazione. Orbene questo tipo trasformazioni energetiche implicano inevitabilmente stati tensionali istantanei elevatissimi, danni permanenti, estesi,gravi e sollecitazioni istantanee devastanti».

L'estensore dello studio lascia spazio al dubbio: «Ammettiamo per un momento di aver utilizzato dati non propriamente congrui (più alti del vero?), di non aver determinato le sollecitazioni unitarie spettanti al fondale e alla nave a rotazione avvenuta, di non aver effettuato l'analisi modale del sistema, dunque, pur non avendo questi riscontri oggettivi,  è facile intuire che si tratta comunque di variazioni di quantità di moto che avvengono in tempi brevissimi tali da lasciar supporre che l'urto possa avvenire con violenza devastante in virtù delle grandi quantità di energia da dissipare. In altri termini pur imponendo una riduzione qualitativa ai dati di calcolo (minor massa nave, minor altezza baricentrica, maggior contributo dell'attrito viscoso, minore velocità di impatto, maggior contributo della spinta idrostatica ecc.), si avrà comunque a che fare con quantità decisamente importanti. E' incomprensibile il motivo per il quale si debba dar corso a questa operazione della quale  per poco che si sappia, certamente si sa, provocherà danni seri allo scafo. Prima operazione da evitare».

Per quanto riguarda la creazione di ancoraggi sottomarini, tra il lato dritto della nave e terra, per mettere in sicurezza il relitto, «Anche questa fase prevede la realizzazione di pali trivellati  g.d. (sembrerebbe siano svariate decine) sempre in acqua e sempre con le medesime tecniche; da questi, partiranno una serie di tiranti in acciaio (sembra tre per palo) che ancoreranno la nave sul fondo. Si legge che i cavi sono in grado di tenere 18.000 tonnellate ciascuno. Ma il problema non è nei cavi o nei pali, ma nello scafo, per il quale non vi è certezza possa sostenere carichi. Seconda cosa da evitare».

Anche il riporto sulla chiglia di circa trenta strisce di lamiera saldata, larghe 4 metri intervallate di 3 metri con uno spessore 3-4 centimetri presenta dei problemi: «A queste lamiere andranno saldate delle "bitte" alle quali verranno ancorati i cavi di tenuta provenienti dai pali di cui sopra. Si tratta di trenta lastre in acciaio, pesano 1.300 tonnellate per fissarle occorrono 2.300 metri di saldatura. Sembra alquanto improvvida una tale lavorazione in immersione, sotto il relitto (si lavora sotto chiglia, con elementi molto pesanti da saldare sul fondo della nave a 30/40 metri, non è una passeggiata). I criteri di sicurezza da rispettare per i lavori in immersione mal si prestano a certe soluzioni. Le procedure di posizionamento sono laboriose e molto pericolose  per il personale in immersione. Non sembra vi siano grandi possibilità di evitare rischi consistenti di vario genere. Meglio evitare! Terza cosa da non fare».

Per la creazione di un punto d'appoggio sotto la carena, nella parte che attualmente non poggia sul fondo, si spiega che «E' realizzato con 10 cilindri da 4 metri di diametro, lunghi 10 metri entro i quali verrà iniettata una miscela di sabbia e cemento (boiacca). Sono 1.256,00 m3 di miscela cementizia per 3.014 tonnellate poggiate sul fondo del mare. Anche qui non è sembrato che questi oggetti siano un toccasana per i fondali. I cilindri ,sono collocati con la direttrice normale all'asse longitudinale della nave, appoggiati su un piano inclinato. In tale posizione sono, di fatto, rulli di alaggio, quindi piuttosto che trattenere o costituire appoggio per la nave, potrebbero agevolarne lo scivolamento lungo i crinali ove ora la nave si trova. Meglio lasciarla incastrata sui graniti. Questi sono i supporti sui quali si farà affidamento per sostenere lo scafo e collaborare al sostentamento delle lamiere "porta bitte" saldate in precedenza e costituiranno il piano di rotazione  della nave al momento del ribaltamento. Piuttosto singolare. E' questa è la quarta cosa da non fare, perche inutile».

E veniamo a quella che i media hanno presentato come l'operazione più spettacolare: l'applicazione dei cassoni di ribaltamento/galleggiamento. «Si tratta, di 15 cassoni in acciaio da circa 530 tonnellate ciascuno letteralmente "appesi/saldati" sulla murata di sinistra della nave che, una volta riempiti d'acqua, avranno la funzione di costituire una massa tale da "sbilanciare" la nave verso sinistra per favorirne la rotazione sul falso fondale, coadiuvati da "strand jack" e gru a pontone.(vedendo i filmati si può notare, che se si perde il controllo della rotazione  la nave rovinerebbe malamente sui pontoni stessi). Dopo averla raddrizzata, si provvederà ad applicare altrettanti serbatoi (sponsons) sulla dritta della nave. Esaurita la funzione di "pesi" verranno svuotati e costituiranno i mezzi di galleggiamento della nave. Dunque 15 di questi fanno 7.950 tonnellate per lato (dopo il rovesciamento analoga operazione verrà svolta sulla dritta della nave), quindi a fine dell'operazione si avranno altre 15.900 tonnellate. La domanda è: su uno scafo così precario è opportuno collocare ulteriori carichi e fare migliaia di metri di saldatura? Quinta cosa evitare».

L'operazione di ribaltamento verrà effettuata sbilanciando la nave riempiendo i serbatoi di acqua e tirando lo scafo con gru, tiranti e "strand jack" che agiranno sulla fiancata sinistra della nave per farla ruotare. Il rapporto sottolinea che «Questa operazione avviene con la chiglia che ruota in parte sui cilindri riempiti di cemento e sabbia ed in parte sul granito vivo. Non risulta vi siano dispositivi di controllo della rotazione, e se ci fossero dovrebbero agire sulla dritta della nave, ed essere in grado di modularne la velocità a piacere. Tali dispositivi per poter essere efficaci in tal senso, dovrebbero necessariamente avere dei punti aggancio più in alto possibile ovvero dovrebbero essere ancorati saldamente sul ponte  6 o ancora più in alto. Questi ponti non possono in nessun caso dare le necessarie resistenze per contrastare la rotazione autonoma in quanto non hanno alcuna valenza strutturale. In mancanza di tali azioni, la nave da un certo punto in poi girerà per effetto della gravità, quindi girerà secondo le leggi che regolano la "caduta dei gravi"  e toccherà con violenza il falso fondale. (nonostante le ipotesi viscose citate che potrebbero essere favorevoli al rallentamento della rotazione).

Ottenuto il ribaltamento, il fondo dello scafo, nelle zone che hanno ruotato direttamente sul granito, avrà un numero indefinito di falle dalle quali imbarca acqua. Una nave così ricca di falle, immersa per 30 metri, con almeno 10 metri d'acqua oltre il ponte di coperta, completamente allagata, "E' affondata definitivamente" non la si solleva più con niente, non esistono al mondo strumenti adatti a sollevare tanta massa. Tenuto in conto che andrà a poggiarsi di chiglia, sotto alla chiglia non si può installare nulla che possa in qualche modo contribuire al galleggiamento».

Cosa significa?  L'esperto spiega: «Ammesso di riuscire a sollevarla, in una condizione siffatta si otterrà un parziale galleggiamento dello scafo che è dato da: peso della nave + peso delle attrezzature - la spinta idrostatica dei serbatoi laterali. L'unico corpo immerso in grado di generare spinte idrostatiche è materializzato dai serbatoi laterali e forse, non è noto, da qualche compartimento stagno funzionante. Osservando i filmati, a rotazione avvenuta i serbatoi che restano fuor d'acqua vengono smontati, se ne mettono altrettanti a dritta e su questi  (destra e sinistra) un'altra fila, per guadagnare galleggiamento vero, ma si aumenta il peso. Ammesso che sia tutto in ordine, che sia andato tutto bene che non si sia rotto nulla, dovremmo avere circa 70/80 mila tonnellate di nave "appese ai serbatoi saldati" ed un parziale galleggiamento dello scafo.

La nave di fatto non galleggia autonomamente e ci si affida esclusivamente ai serbatoi laterali ed agli organi di attacco saldati sulla fiancata. Da quanto si è valutato la larghezza del convoglio da rimorchiare è di 75 metri, il pescaggio si aggirerà tra i 13 e i 18,50 metri, contro gli 8,20 di norma per quella nave, presumibilmente con uno sbandamento di 7/10 gradi. Un convoglio che pesca 18 metri largo 75 metri dove si porta? Livorno non ha fondo se non intervenendo con dragaggi massicci e rapidi (utopia farlo in poco tempo e smaltire qualche milione di metri cubi di fango portuale), Palermo potrebbe essere il porto giusto, ma dista circa 400 miglia. Se durante il viaggio qualcosa va storto (vento, correnti, mare grosso ecc, il trasferimento, da quanto si legge, si farà in piena stagione invernale) che succede? Che farebbe il RINA se una volta concesso il permesso di navigabilità, si dovesse trovare con un relitto a 1.500 metri di profondità? Che raccontiamo al "mondo"? Bella figura! Per realizzare questo discutibile sistema di galleggiamento,  si dovranno fare chilometri di saldature, ma le saldature per norma devono essere controllate una ad una con metodologie non distruttive. Chi lo fa? Come può operare nel rispetto delle norme in un ambiente così complicato?  In sintesi: il convoglio pesa 70.000/80.00 tonnellate una più una meno (acqua confinata esclusa, di quale e quanta ne resti nello scafo non se ne sa nulla) è largo 75 metri. Molte, troppe per quello scafo, la nave sta messa male e, se le cose stanno così, abbiamo pensato: meno la si tocca meglio è! Che senso ha azzardare un'operazione del genere senza avere la garanzia che se qualcosa và "storto" si può ripensare e riprovare? Con queste premesse, l'operazione di ribaltamento è un bel "terno a lotto" anzi, parte proprio con il piede sbagliato».

Il documento spiega: «Se per ipotesi non tanto remota, la nave dovesse avere un eccesso di rotazione andrebbe direttamente dalla parte opposta in "controsbandata" (definizione di nave ingavonata: "Per raddrizzare una nave ingavonata occorre spostare i pesi verso il basso in modo da riportare il baricentro al di sotto del metacentro trasversale"). Spostando il carico trasversalmente sul lato opposto a quello di inclinazione (in questa è già spostato, a sinistra c'è il serbatoio saldato e pieno d'acqua), si ottiene prima il raggiungimento della posizione verticale che, non appena raggiunta, viene immediatamente lasciata per inclinarsi dalla parte opposta con un angolo di sbandata ancor più grande del precedente.

Quindi se galleggia si comporterà esattamente come tutti gli scafi ingavonati cioè  "contro sbanda" ulteriormente, come già detto, si dovrebbero spostare i carichi verso il basso, ma come se i carichi sono saldati quindi inamovibili? Se non galleggia verrà a contatto con il falso fondale con velocità e potenza impressionanti. A questo punto le cose si complicano e di molto. Se galleggerà "controsbanderà" e si "tirerà dietro" tutto ciò che tenta di trattenere tale azione (con le modifiche pesa circa 80.000 tonn., facendo due conti, si ottiene un momento di circa 1.420.000 tonn*metro applicato a 30/40 metri dal fulcro di rotazione! Non è uno scherzo è un bel numero). Se non galleggia, e sembra certo non possa galleggiare,  per cosa la ribaltiamo a fare in questo modo disastroso e violento, ottenendo con certezza solo seri danni e zero in galleggiamento? Se tutto va bene rimane sul falso fondale, ammesso  il tutto regga un colpo del genere, ma se non regge o la nave gira troppo, affonda. Non ci sono puntelli e cavi che tengano, una nave sbilanciata ed appesantita come questa e con queste grandezze in gioco.

Si può correre un rischio del genere? Se durante la rotazione gli speroni su cui poggia la nave dovessero cedere (uno dei due è già ampiamente lesionato), non riesce difficile immaginare cosa accadrebbe. Se le strutture della nave non poco stressate dall'urto ricevuto, dalla posizione anomala in cui giace, dalle decine di migliaia di metri di saldatura da fare per "appiccicare" lamiere, serbatoi, bitte, turare le falle e via discorrendo, vibrazioni di ogni tipo dirette ed indirette, dicevo se per caso, dovessero collassare? Ci mettiamo il carico da "11" con altre decine di migliaia di tonnellate? Nessuno può sapere quali siano le reali condizioni delle strutture, come si fa a fidarsi? Alla fine dei giochi  resterebbero due o tre "spezzoni" di nave inservibili o peggio affondati e tante scuse? Si può correre questo rischio?». 

Secondo il documento «Questa tecnica non presenta nessun punto di ritorno e nessuna garanzia che la nave si metta esattamente dove si vuole vada a mettersi. Le incognite sono veramente troppe ed incommensurabili, vanno bel oltre il lecito calcolabile! Si legge  da più parti che le perplessità sulla bontà del progetto e sulla sua riuscita siano molto ma molto profonde e di ampia portata. Dunque è il caso di attuare tutto questo senza provare a vedere, prima di buttarsi a capofitto su un progetto a senso unico, se esiste qualche altra cosa che potrebbe funzionare meglio? Qualcuno dirà, anzi l'ha già detto, che c'è piena fiducia nell'operato delle due Aziende (le migliori del Mondo), per carità tutto vero, va tutto bene ma francamente ci sembra che qualche conto non torni affatto. Un progetto presentato in questo modo ha un assoluto carattere "preliminare". Si legge che in sessanta pagine sia spiegato tutto e in 148 sia spiegato tutto sull'ambiente. Si legge in queste ore che il progetto sarà affinato in corso d'opera! Suvvia ma questa è una cosa da affinare in corso d'opera? Per cortesia. O si fa e va tutto liscio o si lascia perdere. Non si può andare per tentativi. O và, e ne siamo certi, o non và e si ragiona diversamente. In corso d'opera al massimo si corregge qualche "svista" irrilevante e non si rivede un intero progetto dal quale ci si aspetta quel che ci si aspetta ma, a quanto pare, già si paventa l'ipotesi che ci sia da rivedere, e perdiamo altro tempo prezioso».

Il tecnico che cui ha inviato il documento evidenzia: «Si leggeva prima del 15 maggio: "La nave non si spezzerà, siamo certi che tutto andrà bene". Si legge dopo il 15 maggio: "Occorre far presto altrimenti la nave si spezza, si stanno correndo grossi pericoli e bisogna correre ai ripari immediatamente", "la prua della nave è sprofondata di 91 cm", insomma se si spezza, e lo sappiamo, meglio cambiar strada. Quindi si spezza o non si spezza?». 

C'è poi l'aspetto delle vibrazioni che non sembra contemplato: «Le macchine da perforazione, sono pesanti e rumorose, hanno bisogno di una gran quantità di attrezzature accessorie per poter funzionare, anch'esse rumorose ed inquinanti. Il materiale che si vuole perforare, ha la capacità di trasmettere vibrazioni e suono a centinaia di chilometri di distanza, nave "in primis".

Detto questo, si grida a gran voce che il relitto versa in precarie condizioni di equilibrio e corre pericoli strutturali, ciò nonostante si decide di mettersi a "martellare" con trivelle a pochi metri? Allora due son le cose, o non è vero che il relitto è precario, oppure lo è davvero e in tal caso non si capisce perché andar a procurare tante vibrazioni ad uno scafo così instabile e molto sensibile. Appena un cenno al fatto che è proprio sui pali che andranno ad ancorarsi i dispositivi di tenuta dello scafo. Perciò prima ancora della messa in sicurezza la nave è, come ora è, libera di muoversi come e quando vuole. Dunque per mettere in sicurezza lo scafo si procede a perforazioni distanti "metri", notoriamente impattanti per vibrazioni emesse senza avere la benché minima certezza che la nave resti immobile e non subisca danni? Poco verosimile anzi improbabile, vedremo perché c'è qualcosa che non torna» .

Leggendo qua e la si apprende: «vi saranno inevitabili disagi ambientali per effetto dei lavori da eseguire; "metteremo dei pannelli fonoassorbenti per attutire il rumore ambientale", e quello sottomarino? Non esistono pannelli fonoassorbenti sottomarini). Secondo lo studio tremerà, la nave, il Giglio e mezzo Tirreno Centrale (...) Nessuno ha pensato ai "pesci" in mezzo a tutto questo "casino" H24? Spariranno nel raggio di 100 miglia e chissà se torneranno mai! (...) Ma questo ben si conosce , nessuno può sostenere che eseguire perforazioni nei graniti, con trivelle di quel diametro armate con teste triconiche utensili diamantati e dimensioni ragguardevoli , non possano non creare vibrazioni importanti e devastanti. Nessuno ha paventato l'ipotesi che le vibrazioni delle trivelle ad ingranaggi (si parla come già detto di pali da due metri di diametro e non sono "stuzzicadenti") a due passi dal relitto, possano provocarne il collasso o addirittura lo scivolamento più in basso?».  

Lo studio si chiede: «La "trave nave" è o non è allo stato, effettivamente in grado di far fronte a tutti questi fastidi strutturali attuali e futuri? Sono stati fatti i rilievi circostanziati per verificare se le strutture della   nave hanno subito danni? Se si, di che entità, dove, quanto rilevanti, di che tipo?».

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