
[15/06/2012] News
Dalla democrazia alla tecnocrazia, l'illusione è quella di scivolare piuttosto verso una sorta di teocrazia illuminata, incarnata in tecnici-chirurghi specializzati in tagli alla spesa pubblica, vivisezionamento delle (scarse) risorse disponibili, evocatori di scenari dicotomici tra sommersi e salvati. Specialmente in Europa (e in Italia), dove più di ogni altra realtà territoriale "economicamente avanzata" è ora evidente l'avvitamento della crisi economica, questa tendenza è lampante.
Sul piano delle vie d'uscita dalla crisi economica sono stati fatti passi avanti, uscendo dal totale immobilismo che precedentemente vigeva tra i vertici delle istituzioni, ma di soluzioni vere, scenari nuovi e creativi che mettano una volta per tutte in chiaro che non stiamo attraversando una semplice congiuntura negativa del ciclo economico, ma siamo di fronte ad un intero modello culturale e di sviluppo da rifondare su basi sostenibili, ecco, di questo nemmeno l'ombra. Il ruolo dei tecnici è certo indispensabile, ma in situazioni di normalità democratica si limita ad offrire un ventaglio di soluzioni (spesso compresse in una sola possibile soluzione, in ossequio al tatcheriano "non ci sono alternative") sulle quali compiere scelte politiche.
Questo, purtroppo, non sembra essere pienamente compreso. Davanti a questo scenario è possibile chiudere un occhio? Forse, verrebbe da dire, se almeno i tecnici stessero riuscendo a traghettare la barca in secco dal mare in tempesta della crisi. Così non è, ad oggi, e questo in buona parte per l'eccessiva fiducia riposta proprio nel sapere tecnico, che per sua natura rifugge ad un confronto aperto.
«La via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni: se questa massima avesse bisogno di una conferma, potremmo trovarla nella crisi europea», scrive infatti sul New York Times il premio Nobel per l'economia Amartya Sen (Nella foto), tradotto da la Repubblica. «Avremmo molto da imparare da John Maynard Keynes, che aveva ben compreso il rapporto di interdipendenza tra Stato e mercato», continua, precisando poi come già Adam Smith, nel suo "La ricchezza delle nazioni", sostenesse che «un'economia "ha due obiettivi distinti". In primo luogo, "assicurare alla popolazione abbondanti redditi o sussistenza - o più specificamente, porre i cittadini in condizioni di procurarsi tali redditi o mezzi di sussistenza; e in secondo luogo, fornire allo Stato o alla comunità entrate sufficienti per i pubblici servizi"».
Questa consapevolezza sembra andata persa, all'interno dell'unica, retta via proposta come perseguibile dai tecnici. «L'aspetto forse più inquietante dell'attuale malessere europeo - continua Sen - è il fatto che l'impegno democratico è stato soppiantato da diktat finanziari [...] Un dibattito pubblico partecipato - un government by discussion, secondo l'espressione dei teorici della democrazia quali John Stuart Mill e Walter Bagehot - avrebbe potuto identificare riforme appropriate, realizzabili in un lasso di tempo ragionevole, senza mettere a repentaglio le fondamenta del sistema di giustizia sociale europeo».
La supremazia dei tecnici (causa dell'inettitudine politica), portata avanti con le migliori intenzioni, è invece caduta nel paradosso illustrato da Daniel Kahneman - psicologo premio Nobel per l'economia -nel suo ultimo libro Pensieri lenti e veloci, per il quale le persone "intelligenti" (tra i quali dovrebbe certo rientrare l'algida figura del "tecnico") non sono meno inclini a bias cognitivi rispetto a chiunque altro, ma sono piuttosto inclini a ritenere di non commetterne affatto. «Ciò - scrive il New Yorker - ha implicazioni particolarmente tristi per una società che pensa di essere una meritocrazia, quando è in realtà un'oligarchia, perché le persone ai vertici, educate in modo competitivo, credono (erroneamente) di non aver bisogno di sottoporre le loro intuizioni al giudizio dei comuni mortali».
Senza scadere nelle dilaganti forme populiste e dogmatiche che pure pullulano oggi nel Vecchio Continente, ridare alla democrazia la dignità che le è propria - con tutta l'attenzione alla preparazione culturale che questo presuppone - appare una volta di più fondamentale per poter finalmente agire verso la costruzione di un nuovo e sostenibile modello di sviluppo. «La democrazia e la stessa possibilità di una buona politica sono a rischio quando i leader impongono scelte inefficaci e vistosamente ingiuste», chiosa Amartya Sen: chi senta la pressante necessità di un cambiamento non può permettersi di farsi prendere dalla sindrome dello struzzo. Mettere la testa sotto la sabbia non aiuta, mentre accollarsi finalmente la propria fetta di responsabilità potrebbe essere l'unica via per raggiungere l'agognata svolta.