
[15/06/2012] News
Il rischio che il vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Rio de Janeiro sia un flop lo evidenzia lo stesso Sha Zukang, vice-segretario generale per l'economia e gli affari sociali delle Nazioni Unite e segretario generale di "Rio+20": «Il ritmo è troppo lento. C'è una mancanza di urgenza», spiega all'agenzia stampa umanitaria dell'Onu Irin.
I colloqui preparatori del documento finale, iniziati il 13 giugno sono caratterizzati da una forte conflittualità ed è difficile che nei pochi giorni che mancano all'inizio ufficiale della Conferenza si risolvano tutte le questioni in sospeso e che si appianino le divergenze fra governi, Ong e negoziatori prima che i Capi di Stato prendano una decisione definitiva sull'accettazione del documento. Quel che è certo è che nell'ultimo round di colloqui a New York, durante la prima settimana di giugno, si era raggiunto l'accordo solo sul 6% del testo. Ora, secondo l'ambasciatore sudcoreano Kim Sook, co-presidente del comitato preparatorio, si sarebbe intorno al 20% di consenso sul testo e con un accordo possibile su molti punti aggiuntivi sono vicini ad un accordo. Ma le divergenze restano sui principali problemi all'ordine del giorno di Rio+20: green economy, quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile (Ifsd) e i più recenti obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Diversi negoziatori chiedono decisioni concrete e un accordo vincolante, ma Sha ha detto che a Rio de Janeiro un buon risultato sarebbero «Impegni volontari che i paesi sono disposti a prendere per porsi su un percorso di sviluppo sostenibile».
Tara Rao, l'autore principale del documento "Southern perspective of a green economy" del Danish 92 Group, una colazione di 22 Ong danesi, ha detto all'Irin: «Se un giorno i ministri delle finanze e i Capi di Stato partecipassero a questi colloqui... sarebbe un'indicazione del fatto che sono impegnati sul serio. Al momento lo sviluppo sostenibile è ancora visto come una questione ambientale, ed i Paesi sono rappresentati dal loro ministri dell'ambiente o degli esteri».
Infatti, anche se lo sviluppo sostenibile ha molto a che fare con il raggiungimento della crescita economica e dello sviluppo senza compromettere l'ambiente o il benessere delle popolazioni, per molti delegati il 20esimo anniversario del primo Earth Summit a Rio +20 dovrebbe essere visto come «L'inizio del processo per elaborare un percorso di sviluppo sostenibile per i paesi - come conferma Sha - molte questioni, come ad esempio il trasferimento delle tecnologie dai paesi sviluppati al mondo in via di sviluppo, per consentire loro di diventare più verdi, sono rimasti bloccati nei negoziati delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, l'ultimo dei quali si è tenuta a Durban, Sud Africa, nel 2011. Fino a quando non saranno risolti, sarà difficile per i Paesi andare avanti». Saleemul Huq, uno scienziato che si occupa di cambiamento climatico per l'International institute for environment and development (Iied), un think-tank britannico. Non è molto fiducioso: «Rio+20 è più un'aspirazione che non azioni concrete».
Irin ha chiesto a diverse Ong già presenti a Rio de Janeiro di elencare tre cose che il mondo potrebbe ortttenere a Rio+20. Ecco le risposte:
1) Definire la green economy. Secondo Dirk Willem te Velde, a capo dell'International development group dell'Overseas development institute (Odi), «La maggioranza la definirebbe come un approccio verso l'economia che può favorire la crescita, pur essendo socialmente inclusiva e ambientalmente sostenibile. Ci sono opinioni divergenti su dove mettere l'accento. Alcuni Paesi vorrebbero sottolineare il consumo sostenibile e l'efficienza delle risorse, mentre la Corea, la Cina e la Danimarca pongono l'accento sulla politica industriale e la tecnologia verde e i piccoli Stati insulari sulla realizzazione di edifici resistenti agli shock ambientali».
Harjeet Singh, di ActionAid International, ha spiegato che «Ci sono differenze fondamentali tra ricchi e poveri del mondo su come attuare azioni a favore di una "green economy". Nel mondo in via di sviluppo, la tecnologia verde è uno dei modi per avviarsi lungo un percorso di sviluppo sostenibile, ma hanno bisogno della tecnologia dai Paesi sviluppati per far questo. La maggior parte della tecnologia è brevettata e costa denaro, e i Paesi poveri vorrebbero che i ricchi dessero una mano. Ma i Paesi ricchi sostengono che la maggior parte della tecnologia è nelle mani del settore privato e che questo deve essere mobilitato».
2) Il quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile. Per Rao «Questo ha a che fare con chi o che cosa farà in modo che i Paesi seguano il nuovo modello di sviluppo. Tra le proposte sul tavolo c'è la necessità di trasformare organismi come l' Environment Programme dell'Onu in un'agenzia a pieno titolo come l'Organizzazione Mondiale della Sanità, che abbiano i denti per mordere». Te Velde sottolinea che «c'è anche la necessità di sviluppare un organismo globale, ben posizionato per monitorare i progressi verso i nuovi Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, n mettendo insieme gli aspetti economici, sociali e ambientali dello sviluppo. Si tratta solo di riflessione a lungo termine su come i Paesi sviluppati e le organizzazioni internazionali dovrebbero aiutare i Paesi a basso reddito con un'adeguata misurazione del progresso». .
3) Definizione degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sdg). Il dibattito gira intorno al fatto se questi nuovi obiettivi debbano essere affrontati subito o dopo la scadenza, nel 2015, degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Mdg). Tom Bigg, che guida la delegazione Iied a Rio+20, è convinto che «Un elemento di questa complessità è che gli Mdg definiscono il rapporto tra donatori e riceventi, mentre gli Sdg riguardano tutti i Paesi, compreso il gran numero di Paesi a medio reddito che erano marginali rispetto agli Mdg. C'è una reale preoccupazione tra i Paesi meno sviluppasti che questo nuovo focus sposterà l'attenzione dai loro problemi immediati e permanenti. E' una priorità fare in modo di trovare come affrontare questi problemi insieme, senza indebolire il significato di entrambi. Ci vorranno anche diversi anni per tradurre gli obiettivi generali dichiarati in obiettivi dettagliati e misure di progresso che siano utili a livello globale, regionale, nazionale e sub-nazionale. E un accordo su un insieme condiviso di limiti, con l'impegno implicito di una maggiore equità nell'accesso alle risorse scarse, è estremamente difficile politicamente, quindi questo non sarà un processo semplice».
Ma nonostante gli ostacoli colossali che si profilano le Ong presenti a Rio de Janeiro sperano ancora. Secondo Bigg le tre cose principali sono: «1. Il senso del cambiamento dell'ordine mondiale: i Paesi a reddito medio devono essere più decisi nel definire ciò che vogliono dal sistema multilaterale. 2. Il senso di quanto non è possibile senza un consenso globale: così come nell'United Nations framework convention on climate change a (Unfccc) c'è un'enorme quantità di cose che può essere appresa da altri Paesi/contesti e Rio dovrebbe fornire uno spazio in cui possa avvenire questo tipo di apprendimento e condivisione. 3. Il senso di quanto c'è da fare prima che i drivers radicati dell'insostenibilità possano essere sfidati e modificati, ma anche che c'è un programma per il cambiamento che può crescere in forza e influenza, non da ultimo perché le conseguenze dell'insostenibilità riguardano sempre più tutti noi»
I tre punti di Harjeet Singh, di Action Aid International, sono: 1. Ribadire i principi di Rio 1992, come le responsabilità comuni ma differenziate, l'equità e responsabilità storica, che nell'Unfccc i Paesi sviluppati stanno cercando di buttare fuori dalla finestra. 2. Riconoscere che l'attuale sfruttamento del modello economico guidato dal mercato sta interessando tutti e tre i pilastri (sociale, economico e ambientale) dello sviluppo sostenibile e che abbiamo bisogno di un cambiamento di paradigma dall'approccio business-as- usual e di adottare/rafforzare l'approccio allo sviluppo basato sui diritti umani. 3. Ribadire e ricordare ai Paesi ricchi la responsabilità e l'obbligo di fornire "strumenti attuativi " (finanza, tecnologia e capacity building) ai Paesi in via di sviluppo per adottare un percorso di sviluppo sostenibile low carbon ed affrontare/adattarsi agli impatti del cambiamento climatico».
Il più ottimista è te Velde: «In una certa misura Rio è già un successo, dato che aiuta i Paesi e le persone a pensare a lungo termine», per questo chiede: «1) Rendersi conto della minaccia rappresentata dai problemi ambientali, che metterà a repentaglio la crescita inclusiva e sostenibile. 2) Cominciare a formulare gli Sdg 3) Politiche economiche di progettazione in grado di realizzare le opportunità per andare verso un nuovo modello di crescita inclusiva e sostenibile, ad esempio, aumentando i pagamenti per i servizi ecosistemici nei casi in cui siano operativi».
Sameer Dossani, Advocacy Coordinator, ActionAid International, conclude: «In questa fase, abbiamo aspettative molto ridotte in termini di risultati ufficiali. La maggior parte dei Paesi sembrano intenzionati a garantire che continui lo status quo. Rio+20 può servire come una sorta di campanello d'allarme per i cittadini, che dovrebbero essere arrabbiati che non sia stato fatto abbastanza nei 20 anni da quando c'è stato il primo Vertice della Terra . Quando i cittadini inizieranno a chiedere che i loro governi rappresentino i migliori interessi di tutti sul pianeta, non solo gli interessi economici nazionali, poi inizieremo a vedere il cambiamento».