[21/06/2012] News

Green economy, “l’infrastruttura” del nostro futuro per una sostenibilità a tutto tondo

Una grande manifestazione, partecipata intensamente e con tante coreografie. Oltre sessantamila persone che dalla Cupula dos povos si sono riversate nelle strade del centro della città chiedendo a gran voce giustizia ambientale e sociale. Piuttosto lontano dal luogo del vertice delle Nazioni Unite Rio+20, posizionato in uno dei sobborghi più meridionali della città, e dove in molti pensano ad una nuova speculazione edilizia per le Olimpiadi del 2016.

Ma le voci sono state tante, forti e chiare, perché a sfilare sono stati gli ambientalisti con tantissime realtà, prime tra tutte quella della storica SOS Matatlantica, tantissime reti cattoliche, i sindacalisti UGT con i dipendenti pubblici del Ministerio del Medio Ambiente brasiliano, che dopo l'approvazione in Senato delle modifiche al Codigo Ambiental, denunciano la possibilità concreta di aver spianato la strada agli speculatori dell'Amazzonia. Le reti di economia solidale, di commercio equo, gli agricoltori di Via Campesina.

Perché sicuramente i lavori alla Cupula dos Povos sono molto più intensi ed effervescenti, e cinque Assemblee plenarie stanno elaborando contributi per il documento finale che verrà presentato alla fine della settimana. Analisi, denunce, ma anche proposte e strategie per l'articolazione di un'agenda dei movimenti prossima ventura. Sicuramente il tema principale è quello della Green Economy, così come lo è per tutti perché a Los Cabos, in Messico, in occasione del G20 che ha preceduto di poche ore Rio+20 la Green economy è diventata uno degli elementi portanti della crescita prossima ventura e nella stessa dichiarazione dei Capi di Stato si è sottolineato come il prossimo impegno sul tema sarà quello di mantenere un focus sulla "inclusive Green economy", sulla base dell'accordo raggiunto a Rio de Janeiro.

Economia verde che però gran parte del mondo delle realtà sociali riunite alla Cupula dos Povos vedono come "el asalto final a los bienes comunes" (l'assalto finale ai beni comuni, ndr). Un modo per estendere lo sfruttamento delle persone e dell'ambiente a nuovi settori, alimentando il mito della crescita economica infinita. Privatizzare e mercificare la natura, accelerare ulteriormente la concentrazione di controllo sulla natura delle élite globali e nazionali economiche e politiche. Perché parlando di Green economy bisognerebbe parlare anche di equità sociale e prendere in considerazione, per esempio, il problema enorme e drammatico di quei miliardi di persone ai limiti della sopravvivenza, che rischiano di aumentare a causa degli effetti del cambiamento climatico.

Un opportuno sviluppo della Green economy non può prescindere da alcuni dati di fatto. Il primo è la trasparenza delle filiere. Produrre moduli fotovoltaici o componenti per l'eolico in un quadro di sviluppo sostenibile non significa necessariamente che la sostenibilità sia totale. Le filiere produttive, ancora troppo spesso opache ed intangibili, non consentono di conoscere le condizioni di lavoro e di sfruttamento dei lavoratori così come gli effetti ambientali dell'utilizzo di sostanze chimiche nei processi produttivi. Molte tecnologie verdi si rifanno all'utilizzo di alcune componenti, come le "terre rare", fortemente inquinanti al momento della loro estrazione e di limitata disponibilità.

Le politiche di accaparramento di queste materie prime, fondamentali per la green economy (basti pensare ai motori ibridi o ad altre come l'Indio ed il Gallio per le nuove generazioni di moduli fotovoltaici), stanno portando a vere e proprie tensioni internazionali così come a politiche neocoloniali da parte dei vecchi e dei nuovi attori della globalizzazione. Per ultimo la spinta da parte della Wto perché s'accelerino gli scambi all'interno del mercato delle tecnologie verdi, senza intaccare la prevalenza della difesa della proprietà intellettuale e della sua dimensione commerciale, rischia di trasformare la Green economy in un nuovo cavallo di battaglia per le multinazionali detentrici del brevetto, capaci di investire ovunque convenga mantenendo però nella casa madre know-how e competenze.

Questo il clima e i contenuti dei dibattiti e incontri della Cupula dos Povos e non sappiamo se ci saranno sorprese sulle conclusioni di Rio+20 ma è evidente che quegli indubitabili e importanti passi avanti sul piano dei principi presenti nella proposta di risoluzione finale, a partire dalla definizione della green economy come "infrastruttura" fondamentale non solo per affrontare la crisi climatica (ma anche per combattere la povertà), vanno sostanziati e in fretta.

Hollande, già il primo giorno, ha affermato che la dichiarazione finale è il solo compromesso possibile, ma che non è quello che si aspettavano i cittadini francesi e soprattutto non è quello che sarebbe stato doveroso raggiungere per le generazioni future, e allora è necessario che in questa giornata e mezza si osi molto di più.

*Responsabile dipartimento internazionale Legambiente, in esclusiva per greenreport.it

 

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