
[09/07/2012] News
Il protocollo frutto del lavoro dell’Università di Padova e dell’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste
Lasciare spazio ai fiumi, non costruire nelle aree di pertinenza dei corsi d'acqua: è un imperativo che dalle pagine di greenreport più volte è stato lanciato. Purtroppo il territorio del nostro paese è molto urbanizzato e per proteggere il "costruito" dalle acque sono stati realizzati argini talvolta addossati ai fiumi anche là dove erano possibili alternative a minore impatto ambientale.
La casistica è molto varia e ci sono zone in cui una difesa arginale è indispensabile, ma una cosa è certa: gli argini costruiti devono essere resi efficienti e funzionali. A tal fine l'Ogs (Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste) e il Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova, hanno messo a punto un sistema di valutazione dello stato degli argini. Lo studio si basa sull'analisi congiunta di dati geofisici del corpo dell'argine e di dati ottenuti mediante telerilevamento sull'interazione tra l'argine stesso e i sedimenti sottostanti presenti nella pianura alluvionale. Si tratta di un esempio positivo di come gli Enti di ricerca possano lavorare per offrire servizi ai cittadini, in questo caso a quelli che vivono in zone a rischio idraulico.
«Il protocollo che l'Ogs ha messo a punto, collaborando con il gruppo del professor Aldino Bondesan del Dipartimento di geoscienze dell'Università di Padova - ha sottolineato Roberto Francese, geofisico dell'Ogs - permette di studiare e descrivere la struttura complessiva degli argini, dalla superficie, cioè dal piano-campagna, a una profondità di 6-7 metri». L studio serve a capire se l'argine è argilloso e quindi garantisce una buona tenuta all'acqua, oppure se sono presenti sabbie e limo, ma anche scavi di roditori (vedi il caso delle nutrie), che destabilizzano l'intera struttura creando fenditure dove l'acqua può filtrare.
Il protocollo chiamato Emar hanno spiegato i tecnici, integra l'uso di onde radar, che individuano cavità e cunicoli presenti in superficie, con l'induzione elettromagnetica, che analizza l'intero spessore dell'argine evidenziando la presenza di zone sabbiose. A questa prima fase del rilevamento viene abbinata la tomografia elettrica in corrente continua, che precisa meglio le anomalie rilevate permettendo agli esperti di progettare l'intervento di risanamento.
«L'apparecchiatura che svolge il rilevamento - ha aggiunto Francese - viene montata su mezzi motorizzati permettendo di esaminare decine di chilometri di argini al giorno. Un intervento generico di diaframmatura (messa in sicurezza di un argine) costa decine di milioni di euro al chilometro. Applicando il protocollo messo a punto dall'ente si può intervenire solo nei punti in cui effettivamente serve, con notevole risparmio di risorse pubbliche» ha concluso Francese. Ad oggi il protocollo è stato testato sui fiumi Piave, Serraglio, Chiampo, Ceresone e Aldegà, che in anni recenti sono stati teatro di piene. Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'Ogs ha sottolineato l'importanza della ricerca: «con le sue attività di ricerca che, spesso, si traducono in servizi, l'Ogs dimostra che la scienza può e deve diventare uno strumento al servizio della popolazione. Lo studio degli argini a fini di risanamento ma, soprattutto, di prevenzione conferma che gli investimenti nella scienza sono indispensabili e fa dell'Ogs un ente sempre presente sul territorio nazionale, in linea con il pensiero del ministro dell'Istruzione, Profumo». Questo lo auspichiamo, invece ci risulta che proprio l'Ogs sia uno degli Enti di ricerca che il Governo vuole accorpare dimostrando come non ci siano idee chiare su dove si voglia investire per il futuro.