
[23/07/2012] News
Dalla residenza dell'ambasciatore a Mosca, Antonio Zanardi Landi, il premier italiano cita De Gasperi: «Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni». Un'ottima risposta per spiegare, a precisa domanda su che cosa debba prevalere tra economia e politica, che per queste è necessario «procedere insieme».
Una posizione onorevole, alla quale però una citazione più popolare ribatterebbe che sono le vie lastricate di buone intenzioni che portano all'inferno. Ancora non si sente puzza di zolfo, ma la temperatura misurata dallo spread sale ancora. Stamani sono stati superati i 520 punti base, e il triste picco massimo di 575 si avvicina. Il giorno prima delle dimissioni di Silvio Berlusconi, ricordiamo, eravamo a quota 456 (e possiamo immaginarci che vette avremmo raggiunto adesso, se fosse rimasto in sella).
Il governo Monti, da parte sua, sta facendo il possibile per raffreddare la schizofrenia dei mercati, ma da solo può far poco. Da una parte, i politici europei sembrano rendersi conto che la strada per difendere l'Europa dal crescendo della crisi economica è quella di dotarla di maggiore unione politica ed economica, ma preferiscono barattarne il destino con futili discussioni attorno circa l'entità dello sforzo da mettere in campo. L'economista James Galbraith - figlio del celebre John Kenneth - intervistato da Repubblica esprime oggi una prospettiva tanto chiara della situazione europea che, di fatto, ai vertici politici risulta trasparente: «Non è giusto storicamente, culturalmente, umanamente, che tutta l'Europa debba smantellare i propri stati sociali, con i servizi sanitari, le scuole e le università pubbliche, l'assistenza agli anziani o ai disoccupati, che sono conquiste che il mondo vi invidia. E tutto questo perché ci sono i debiti.
Solo con una dose massiccia di solidarietà l'euro potrà salvarsi. Altrimenti, se il prezzo dovessero essere tutte le rinunce di cui stiamo parlando, allora sì che è meglio tornare indietro e dire: ragazzi, non se ne fa niente. A quel punto vorrei vedere la faccia dei banchieri tedeschi». Al di là delle parole di Monti, politica ed economia non stanno affatto procedendo insieme; semmai, la seconda è da tempo passata dal ruolo di ancella a quello di damigella d'onore, e occupa volentieri tutta la scena. Per prendere tempo, data la pressione dei mercati, la soluzione è ancora una volta tecnica, da declinare in un intervento della Banca centrale europea (come esplicitato anche da Mario Draghi): rendere praticabile un suo acquisto incondizionato dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà sarebbe il vero deterrente contro la speculazione, ben oltre un azzoppato scudo anti-spread. Anche su questo punto, però, equilibrismi politici rendono difficile ogni passo.
Ecco che diventa grande la tentazione di rimanere inermi di fronte all'avvitarsi della crisi, che appare ineluttabile. L'unica speranza, invece, è proprio che inizi a muoversi qualcosa nella direzione giusta, e in fase di grande bonaccia anche un flebile refolo di vento può fare la differenza. C'è bisogno di statisti che guardino «alle prossime generazioni» (anche se un'occhiata alle presenti non sarebbe male), ma occorre molta attenzione nel costruire gli occhiali che indosseranno. Non si tratta soltanto di inforcare delle lenti verdi attraverso le quali guardare l'economia, ma progettare un nuovo modello di sviluppo che abbia come bussola la sostenibilità sociale, economica, ecologica. Per questo c'è da sperare che il governo Monti rimanga coerente con le ultime dichiarazioni del premier, che dalla Russia sottolinea che «Proprio la situazione difficile nella quale versa l'Europa e in particolare l'eurozona è per noi motivo in più per cercare rapporti solidi nell'economia reale, industriale e commerciale».
Non è ancora arrivato il momento di rinunciare a richiedere un palcoscenico di primo piano per il dibattito attorno a questo progetto, per proporre un modello alternativo di sviluppo. A proposito della crisi, sempre su Repubblica l'economista Jean-Paul Fitoussi afferma che «È impossibile prevedere le reazioni per il semplice motivo che i mercati sono totalmente irrazionali. Il guaio è che stanno diventando irrazionali e inconcludenti anche le istituzioni europee», e correre dietro ai matti non è mai una buona strategia di governo.