
[03/08/2012] News
La pressione dell'intervento umano sui sistemi naturali continua a crescere provocando un incremento della loro vulnerabilità e intaccando le loro capacità di resilienza e resistenza. Questo stato di crescente sofferenza dei sistemi naturali si ripercuote, purtroppo, sulla stessa vitalità e salubrità delle società umane, come hanno cercato, ancora una volta, di dimostrare i ricercatori del grande programma internazionale TEEB (The Economics of Ecosystems and Biodiversity vedasi www.teebweb.org) in una serie di iniziative pubbliche a cominciare dalla prima Conferenza TEEB, tenutasi a Lipsia dal 19 al 22 marzo scorsi (vedasi http://www.teebweb.org/MeetingsandEvents/TEEBConferencePlenaries/tabid/104383/Default.aspx per scaricare le presentazioni) e agli eventi TEEB che si sono svolti in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno scorso (www.uncsd2012.org) .
I dati che i ricercatori hanno raccolto su alcuni indicatori molto interessanti, relativi alle pressioni che esercitiamo sui sistemi naturali ci aiutano a comprendere meglio la situazione complessiva.
Come abbiamo già visto nelle pagine di questa rubrica, sempre in occasione della Conferenza di Rio, è stato reso noto il primo atlante mondiale dell'utilizzo delle risorse presentato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale (United Nations Industrial Development Organization, UNIDO) e commissionato a noti esperti di fama internazionale sui flussi di materia, del prestigioso SERI (Sustainable Europe Research Institute) dal titolo "Green economies around the world? Implications of resource use for development and the environment" (il rapporto è scaricabile dal sito www.seri.at/green-economies) .
Come ho già ricordato in una precedente rubrica è la prima volta che viene realizzato un atlante mondiale dell'uso delle risorse e dei livelli di efficienza con cui le risorse vengono per tutti i paesi del mondo, con un'analisi che copre l'arco degli ultimi 30 anni. Lo studio si concentra sulle risorse abiotiche, come i combustibili fossili, i minerali e i metalli ma anche sulle risorse biotiche, come quelle provenienti dall'agricoltura, dalle attività forestali e dalle attività di pesca. Ferro, oro, sabbia, carbone, petrolio, legno, riso e molte altre risorse costituiscono, come ben sappiamo, la base del benessere economico delle moderne società consumiste.
Tutti i nostri processi di produzione scaturiscono dall'estrazione di materie prime dalla natura: i raccolti di biomassa (come i prodotti dei campi coltivati, il legname, il pescato che derivano dagli ecosistemi terrestri e marini), l'estrazione dei combustibili fossili (come il petrolio, il carbone e il gas) o le produzioni che provengono dalle attività estrattive di metalli e minerali dalla crosta della Terra. Oggi l'economia mondiale usa almeno 250 differenti tipologie di materie prime. L'estrazione e l'utilizzo di queste risorse sono tutti aumentati nell'arco degli ultimi 30 anni, in qualche caso di un fattore 5 o più. Mentre ciascuna sottrazione o modifica dei suoli, del territorio ecc. provoca in ogni caso un impatto sui sistemi naturali per tonnellata ricavata, prese nella loro globalità queste crescenti quantità hanno provocato una crescente pressione sui già tanto alterati ecosistemi planetari.
Il risultato di questo studio, come abbiamo già visto nelle precedenti rubriche, indica che attualmente gli esseri umani stanno estraendo risorse dai sistemi naturali del pianeta al livello più elevato che si sia mai verificato in tutta la storia del genere umano e che il sistema economico odierno dipende fortemente dall'input delle risorse naturali, come è dimostrato dal fatto che il consumo mondiale dei materiali si è quasi raddoppiato nel periodo dal 1980 al 2008 (incrementando di quasi l'80%) raggiungendo i 70 miliardi di tonnellate circa l'anno nel 2008.
Nel mondo siamo passati da un consumo diretto di materiali (DMC, Direct Material Consumption) di 8.5 di tonnellate pro capite nel 1980 a 10.2 tonnellate pro capite nel 2008.
Ma vediamo ora alcune situazioni puntuali riferite ai diversi paesi. Gli Stati Uniti hanno registrato, in questi quasi tre decenni, una diminuzione complessiva dei flussi di materia pro capite, passando dalle 30.9 tonn. pro capite del 1980 alle 27.8 del 2008. La cifra di quasi 28 tonnellate pro capite statunitensi, considerando anche il fatto che si tratta di una nazione che continua a crescere demograficamente (secondo il sito dell'United Nations Census Bureau www.census.gov, visto il 29 luglio scorso nel pomeriggio, la popolazione statunitense risulta essere di 314.050.009 a fronte di una popolazione mondiale ad oggi di 7.029.387.291) continua ad essere una cifra veramente impressionante.
Vi sono altri paesi che hanno raggiunto cifre vertiginose di consumo diretto di materiali, come il Qatar, passato da 34 tonnellate pro capite nel 1980 addirittura a 114 nel 2008, o agli Emirati Arabi Uniti, passati da 28.1 tonn. pro capite del 1980 a 43.7 del 2008.
La Cina è passata da 3 tonnellate pro capite del 1980 a 14.2 del 2008, mentre l'India è passata da 2.4 a 4 tonnellate pro capite annue nel 2008.
Il Brasile è passato da 11.3 a 14.4 tonn. pro capite annue. L'Europa nel suo complesso è scesa di poco passando da 14.7 a 14.5, sempre nel 2008. Vediamo un po' in dettaglio alcuni dei paesi europei: l'Italia innanzitutto che è passata da 15.8 tonn. pro capite annue del 1980 a 11.4 nel 2008, segnalando quindi una flessione nel proprio consumo diretto di materie prime. La Germania è passata da 21.3 a 14.8, la Francia da 16.3 a 14.5, il Regno Unito da 13.9 a 11.1, la Svezia da 20.9 a 21.7, la Finlandia da 33 a 38.6, la Danimarca da 21.8 a 25.3, l'Olanda da 13.8 a 12, la Norvegia da 20.8 a 21.5.
I dati relativi ai flussi di materia sono ormai molto preoccupanti. Proprio in uno dei documenti preparatori del primo World Resources Forum, organizzato nel 2009 a Davos , tre importanti studiosi come Paul Ekins, Bernd Meyer e Friedrich Schmidt-Bleek hanno indicato come un obiettivo da perseguire entro il 2050 quello di una società a 5-6 tonnellate pro capite annue di flusso di materia (vedasi il lavoro "Reducing Resource Consumption. A Proposal for Global Resource and Environmental Policy scaricabile dal sito http://www.worldresourcesforum.org/files/file/gws-paper09-5-versionDavos.pdf ). Il grande studioso dei flussi di materia Friedrich Schmidt-Bleek è tornato sull'argomento nel suo bel libro "The Earth. Natural resources and human intervention" pubblicato da Haus Publishers.
Se affianchiamo gli interessanti dati pro capite relativi ai consumi diretti di materiali dei vari paesi in questi ultimi tre decenni con i dati relativi alle emissioni di anidride carbonica, abbiamo un quadro un po' più completo delle nostre pressioni crescenti sui sistemi naturali,
Sempre sulle pagine di questa rubrica la scorsa settimana mi sono soffermato sul rapporto che il Joint Research Centre della Commissione Europea, tramite il suo Institute for Environment e Sustainability (IES) e la Netherlands Environmental Assessment Agency (PBL), hanno pubblicato dal titolo ""Trends in Global CO2 emission: 2012 Report" (che è scaricabile dai siti http://edgar.jrc.ec.europa.eu/CO2REPORT2012.pdf e www.pbl.nl/en ).
Il rapporto fa il punto sulla situazione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, principale causa del riscaldamento globale, dovute all'intervento umano.
Il dato complessivo delle emissioni di anidride carbonica riportato per il 2011 è certamente preoccupante: le emissioni globali sono incrementate del 3%, raggiungendo la cifra più alta delle emissioni annuali antropogeniche sin qui prodotta, di ben 34 miliardi di tonnellate. Nel 2009 si era verificato un declino delle emissioni dell'1% e nel 2010 invece un incremento del 5%.
I maggiori paesi emettitori sono (parlo sempre di dati del 2011) : Cina per il 29%, Stati Uniti per il 16%, l'Unione Europea per l'11%, l'India per il 6%, la Federazione Russa per il 5% e il Giappone per il 4%.
In Cina il paese più popoloso del mondo, abbiamo oggi una media di emissioni di anidride carbonica pro capite di 7.2 tonnellate. Nel 1990 era di 2.2 tonnellate pro capite, mentre la media di emissioni pro capite nell'Unione Europea a 27 paesi, era di 9.2 ed ora, al 2011, è scesa a 7.5 e, negli Stati Uniti nel 1990 era di 19.7 tonnellate pro capite scese oggi a 17.3 che fanno comunque mantenere il livello di grande emettitore di anidride carbonica a questo paese, per quanto riguarda il dato pro capite.
Vediamo, di seguito, le emissioni di altre importanti nazioni: Germania 9.2 tonn. pro capite nel 1990 e 9.9 nel 2011, Regno Unito, 10.3 nel 1990 e 7.5 nel 2011, Italia 7.5 nel 1990 e 6.7 nel 2011, Francia da 6.9 a 5.7, Polonia da 8.2 a 9.1, Spagna da 5.9 a 6.4, Olanda da 10.8 a 9.8, Federazione Russa da 16.5 a 12.8, Giappone da 9.5 a 9.8, Canada da 16.2 a 16.2, Australia da 16 a 19, Corea del Sud, da 5.9 a 12.4, Indonesia da 0.9 a 2, Arabia Saudita da 10.2 a 16.5, Brasile da 1.5 a 2.3, Messico da 3.7 a 3.9, Iran da 3.7 a 5.5, Sud Africa da 7.3 a 7.2, Tailandia da 1.6 a 3.3.
Anche per le emissioni di anidride carbonica l'obiettivo più serio sarebbe quello di raggiungere entro il 2050 le 2 tonn pro capite annue (anch'esso citato nel testo di Ekins, Meyer e Schmidt-Bleek.
Ma e qui sta il problema numero 1, stiamo mettendo in piedi un sistema politico ed economico che ci consenta realmente di ottenere riduzioni significative nei nostri flussi di materia ed energia entro il 2050?
Alla 18° Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione Quadro sui Cambiamenti climatici che si terrà tra novembre e dicembre prossimi a Doha, si misurerà la reale volontà politica di avviare finalmente un percorso di sostenibilità del nostro sviluppo con un nuovo Protocollo che si ponga l'obiettivo di ridurre significativamente le emissioni di gas che modificano il sistema climatico. Ma i negoziati come sappiamo sono lontani dal farci ben sperare.