[30/08/2012] News

Sulcis: con i lavoratori, ma non prendeteli (e non si prendano) in giro con il Ccs

Domani a Roma si terrà la riunione del tavolo tecnico per cercare di evitare la chiusura della Carbosulcis (società controllata dalla regione Sardegna per gestirne la privatizzazione). La situazione è drammatica e noi siamo senza tentennamenti dalla parte di lavoratori sardi che da giorni occupano i pozzi di Nuraxi Figus, massacrati da anni di pessima ed inesistente politica industriale e poi abbandonati  alla globalizzazione ipercapitalista che non conosce diritti e pietà. Alla riunione del tavolo tecnico ha annunciato la sua presenza anche il commissario europeo all'industria, Antonio Tajani, che dopo un incontro con il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, ha annunciato su twitter: «Studio un'azione dell'Ue».  

Tajani, che qualche responsabilità per quel che è accaduto alle industrie e alle miniere sarde ce l'ha, visto che il suo Partito (prima Forza Italia e poi il Pdl) è stato al governo del Paese e lo è a quello della Sardegna mentre la crisi del modello industriale decotto gonfiava e poi deflagrava,  pensa ad un rilancio della Carbosulcis molto simile a quello proposto dai disperati minatori sardi: riconversione dello stabilimento, che si trasformerebbe in una centrale termoelettrica in grado di produrre energia dal carbone tramite stoccaggio geologico della Co2, il famigerato e contestatissimo Carbon capture storage (Ccs).  Un progetto che lascia perplessa la stessa Unione europea (che pure è disposta a finanziare il Piano Sulcs con quasi 350 milioni di euro), soprattutto per i costi. Perplessità condivise anche dal  governo che giudica la cosa enormemente costosa e la stessa Ue non vede di buon occhio la proposta della Regione di intervenire sulle bollette elettriche, come per le energie rinnovabili, per finanziare il Ccs, perché questo lederebbe la libera circolazione dell'energia elettrica nel mercato comunitario.

Ma Tajani dice che tra le priorità dell'incontro del  31 agosto ci saranno  «Gli approfondimenti sull'iter istruttorio riguardante il progetto integrato Ccs Sulcis e le ulteriori opportunità per la Sardegna di utilizzare fondi regionali europei. Per difendere e rafforzare la propria base industriale e posti di lavoro, l'Europa e la Sardegna in particolare, hanno necessità di un accesso sicuro e competitivo a fonti energetiche e materie prime. Per questo, la promozione di una industria mineraria europea sostenibile e competitiva e un migliore accesso alle risorse utilizzando il potenziale delle nuove tecnologie, è una priorità del mio mandato».

E' molto strano che i giornali e le televisioni italiane parlino di progetto di estrazione mineraria "verde" riferendosi al Ccs come ad una tecnologia ecologica: il Carbon capture storage è una tecnologia ancora sperimentale, realizzata in "prototipi" finanziati con denaro pubblico e che nemmeno i suoi più accesi sostenitori dicono sia ancora pronta per un utilizzo commercialmente percorribile. Eppure, su l'Unità, Massimo Franchi scrive: «I minatori protestano perché da mesi attendono il "via libera" al finanziamento del progetto per riconvertire la produzione di carbone in senso ecologico. Al centro del piano c'è un innovativo metodo per stoccare l'anidride carbonica prodotta dalla combustione del carbone e dallo zolfo e, su queste basi, costruire una centrale termoelettrica» e poi attacca l'economista e storico Giulio Sapelli che, su Corriere della Sera, ha scritto che il progetto Ccs del Sulcis  «Non è praticabile per gli alti costi».  

E' anche molto preoccupante che la giusta rabbia degli operai e sindacalisti sardi arrivi a contrapporre un Ccs diventato miracolosamente ecologico, applicabile e  buon mercato, all'eolico ed al fotovoltaico che, come abbiamo sentito dire ieri al Tg3, «Non danno nemmeno un posto di lavoro». Se si va verso una guerra tra poveri, tra le centinaia di  minatori sardi e le migliaia di lavoratori italiani delle energie rinnovabili, trovare una via di uscita alla crisi diventa difficile ed è improbabile che sia quella del Ccs sperimentale.  

I lavoratori sardi sono stati presi in giro per troppo tempo ed ora rischiano di prendersi in giro da soli se pensano di risolvere il problema del carbone con il miracolo del Ccs, una tecnologia immatura, che "nasconde" sotto terra l'inquinamento, che fornisce scuse per continuare ad produrre gas serra in impianti e con materie prime obsoleti e che spesso nasconde altri intenti produttivi "collaterali", mentre non sono ancora chiare le sue possibili conseguenze future sull'ambiente e la salute

I lavoratori sardi avrebbero bene a diffidare della solidarietà pelosa di chi ha raccontato loro che il mondo dell'energia sarebbe rimasto immutato e che la globalizzazione era un benefico raffreddore passeggero, farebbero bene ad ascoltare le parole dure ma sincere del senatore del Pd Francesco Ferrante che traccia un quadro della situazione realistico: «I minatori del Sulcis e la loro valorosa battaglia in difesa del lavoro non meritano di essere presi in giro. Per anni chi li rappresentava e  una classe politica incapace e miope, sono stati complici nel tenere in vita un'attività insostenibile dal punto di vista economico e ambientale. Si sarebbe dovuta avviare la riconversione, puntando su un cambiamento radicale abbandonando le attività estrattive già vent'anni fa. Quel carbone non lo compra più nessuno non per un qualche strano complotto internazionale, ma semplicemente perché fa schifo. Lo sanno e lo sapevano tutti ed è stato criminale far finta di nulla. Oggi non si perpetui l'atroce presa in giro di centinaia di lavoratori proponendo improbabili sperimentazioni legate allo stoccaggio della CO2 e si imbocchi finalmente la strada della riconversione puntando sulla formazione dei lavoratori che permetta loro di impegnarsi e avere un futuro in iniziative industriali quali quelle legate alle rinnovabili e al turismo, sfruttando le potenzialità straordinarie di archeologia industriale e a quant'altro il territorio vorrà mettere in campo».

Ma Franchi su l'Unità scrive che «La soluzione prospettata per loro dal professor Sapelli è tanto beffarda quanto umiliante. "Un'alternativa più praticabile esiste ed è (...) la trasformazione dei siti in complessi culturali ed espositivi secondo i canoni dell'archeologia industriale (sic), disciplina in cui noi italiani siamo maestri". Ecco come ti sistemo i minatori. Insomma, siete degli zombi (questi, sì, reali), siete sorpassati. Vi esprimiamo solidarietà ma, più di far di voi e della vostra professione un fenomeno da baraccone, non si può fare. Con tanti saluti alla politica industriale, all'innovazione ecologica. Più in generale, l'idea è che in Sardegna si possa fare solo e soltanto turismo. E poco male se gran parte è già in mano agli emiri o ai russi. Questa è l'idea d'Italia che è in voga, che il governo dei tecnici non si sogna minimamente di cambiare. Solo quei testardi di minatori (e di operai dell'Alcoa, dell'Erallumina, della Vinyls) sardi possono ancora pensare di fargli cambiare idea. Chissà che non ci riescano».

Ma un'alternativa all'operaismo di ritorno condito di improbabili miracoli tecnologici c'è, a cominciare dalle altre ipotesi contenute nel piano regionale in 7 che nel complesso prevede uno stanziamento di quasi 350 milioni di euro: oltre alla semi-bufala del Ccs ci sono la metanizzazione e il progetto del gasdotto Galsi (anche questo contestato in Sardegna), la bonifica delle aree minerarie dismesse, le infrastrutture per lo sviluppo locale, il rilancio del turismo, la valorizzazione di attività legate all'ambiente, alla nautica, alla filiera agro-alimentare e a quella agro-energetica.

Forse i sostenitori dell'improbabile "innovazione ecologica" a base di Ccs e carbone farebbero bene a leggersi quanto scriveva il  26 luglio Legambiente Sardegna, che con i lavoratori delle imprese sarde in crisi ha ottimi rapporti ed un'estesa rete di solidarietà. Criticando duramente la cementificazione prevista  dalle linee guida per la revisione del Piano paesaggistico regionale, approvate dal  Consiglio Regionale della Sardegna, il Cigno Verde sardo sottolineava: «Il paesaggio non può più essere stravolto in nome dell'economia. La crisi economica drammatica che investe tutti i territori con la progressiva chiusura di tutto il comparto industriale e soprattutto del petrolchimico impone una riflessione sullo scambio operato cinquant'anni fa: trasformazione del territorio in cambio di lavoro. Ora che rimangono le macerie, come a suo tempo si è verificato per le miniere, le popolazioni non sono più disposte a stravolgere il proprio ambiente. Insomma diventa senso comune che il  paesaggio è uno dei pilastri della storia e dell'identità di un  popolo. In questi anni, in tante assemblee  svolte nei centri isolani, si è percepita in generale una condivisione per l'opera di tutela. E' sempre più diffusa la convinzione che l'ambiente, il paesaggio, i territori di qualità costituiscono le materie prime per il futuro della Sardegna e possono innescare un nuovo sviluppo. La Sardegna può competere in Europa se punta alla esaltazione delle risorse ambientali e paesaggistiche, cioè se punta sulla qualità e decide della "quantità" avendo sempre presente la capacità di carico dell'ambiente naturale. Il vincolo di inedificabilità nella fascia dei 300 metri appare un patrimonio consolidato». 

Un'altra industria ed un altro turismo sono possibili.

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