[12/09/2012] News

Una politica per l'industria?

Segnaliamo un editoriale di Fabrizio Forquet su Il Sole 24 Ore dell'11 settembre. Quando dal giornale confindustriale si sente invocare l'esigenza di una politica industriale, non si sa veramente mai se rallegrarsene o preoccuparsene.

I motivi di condivisione stanno nel nocciolo del ragionamento del giornalista. Non si può continuare a inseguire le emergenze delle crisi manifatturiere, come quella dell'Alcoa, casi che rischiano di assorbire quote significative delle scarse risorse pubbliche per difendere situazioni di mercato e produttive indifendibili. I drammi sociali che sono generati dalle crisi produttive non si affrontano né con le cariche di polizia né con salvataggi col fiato corto. Si affrontano con politiche attive del lavoro, con imprese nuove e con investimenti pubblici mirati nella formazione, nella ricerca e nel trasferimento di tecnologie.

Ed è anche condivisibile il richiamo ad un'Europa, che - almeno nei Paesi più avvertiti (tra i quali non siamo) - si sta ponendo la sfida di una reindustrializzazione nel segno della sostenibilità e della produttività fondata sulla tecnologia.

I motivi di preoccupazione stanno invece nelle conclusioni che si traggono dall'analisi, riproponendo - senza purtroppo sorprenderci - i soliti sgravi fiscali per le imprese. E qui il dissenso è forte, perché esiste oggi un problema di riposizionamento competitivo del Paese ed esso non può essere affidato alla mano invisibile di un apparato produttivo che nei decenni passati ha troppo spesso fondato la propria competitività sul basso costo del lavoro, sulla cosiddetta "flessibilità", sul mito del "lavoro manuale" (che rispunta anche nell'articolo ad echeggiare le tante volte in cui le imprese hanno detto che i laureati non servono) e sulla richiesta di poter "evadere" dai vari lacci e lacciuoli. Vi sono scelte di fondo che un Paese avanzato deve compiere (e che i paesi avanzati stanno compiendo), a cominciare da quelle per una manifattura sostenibile, che richiedono volontà collettive forti e decisioni politicamente impegnative.

Difficile immaginare di poterle delegare a qualche mano invisibile... Nei giorni scorsi, in uno dei rituali e consolatori peana ai miracoli della piccola impresa italiana, il Corriere della Sera (19 agosto) giustamente additava alla pubblica attenzione ed ammirazione il caso di due piccole imprese, che insieme alla STMicroelectronics, sono nella lista dei 150 fornitori di Apple. Si tratta del Gruppo Dani e del Gruppo Peretti: medie aziende di conceria pellami di Arzignano, Vicenza, che degli IPad fanno le custodie. Tutto benissimo per queste imprese eccellenti. Ma in questa storia c'è un po' la rappresentazione di dove stanno oggi il nostro Paese e il suo apparato produttivo: non al centro dello sviluppo, ma nella periferia degli accessori.

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