[25/09/2012] News

L’archeobatterio mangia-uranio del Vesuvio. Come la vita si adatta agli ambienti estremi

La diversa risposta alla tossicità dell’uranio di microrganismi geneticamente quasi identici

Secondo una nuova ricerca della North Carolina State university e dell'università del Nebraska, «la vita in ambienti estremi - acidi, caldi e con metalli pesanti, ad esempio - può rendere molto diversa la reazione agli stress di organismi apparentemente molto simili»,

Lo studio "Uranium extremophily is an adaptive, rather than intrinsic, feature for extremely thermoacidophilic Metallosphaera species" parte da un organismo unicellulare, Metallosphaera sedula, che vive in punti caldissimi del nostro Vesuvio, in un ambiente altamente tossico che affronta direttamente  nutrendosi del metallo pesante e ricavando da esso l'energia necessaria alla sua sopravvivenza. Un altro organismo unicellulare, Metallosphaera prunae, che vive in un "mucchio fumante" vicino ad una miniera di uranio abbandonata in Germania affronta invece la tossicità dell'uranio indirettamente: «In sostanza chiudendo i suoi processi cellulari per indurre una sorta di coma cellulare quando i livelli tossici di uranio sono presenti nel suo ambiente - spiegano i ricercatori statunitensi - È interessante notare che queste risposte molto diverse a stress ambientali provengono da due organismi che sono geneticamente identici al 99,99%».

Lo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) dimostra che questi organismi in grado di vivere in condizioni estreme - le forme di vita più primitive chiamate Archaea che non hanno nucleo e che sono così piccole che possono essere viste solo al microscopio - possono insegnarci molto su come gli esseri viventi utilizzino meccanismi diversi per adattarsi al loro ambiente. I ricercatori sottolineano su Pnas che «data la natura del loro habitat, questi microrganismi devono fare i conti con l'effetto potenzialmente tossico di metalli pesanti» e che i risultati indicano che si tratta di due diversi comportamenti adattivi all'uranio, frutto di fattori ambientali, «piuttosto che di una caratteristica intrinseca alle specie Metallosphaera». . 

I ricercatori, guidati dal dottor Robert Kelly, professore di chimica molecolare alla North Carolina State university, hanno esposto questi due Archaea termoacidofili strettamente imparentati, che  vivono in ambienti molto acidi con temperature di oltre 70 gradi Celsius, all'uranio puro. Quello "italiano", Metallosphaera Sedula , ha metabolizzato l'uranio per sostenere il proprio fabbisogno energetico, cosa che è stata strabiliante per Kelly ed il suo team, dato che era la prima volta che si vedeva che un organismo utilizzare direttamente l'uranio come fonte di energia.  Secondo Kelly, il  Metallosphaera Sedula potrebbe rappresentare «un nuovo percorso per gestire le miniere di uranio, utilizzando microrganismi per liberare il metallo dai minerali: un processo denominato biolisciviazione».

Il suo gemello genetico "tedesco", Metallosphaera prunae, ha reagito in modo molto diverso: di fronte all'esposizione all'uranio puro, è andato in uno stato di "coma" bloccando i suoi processi cellulari necessari alla crescita. Quando la minaccia tossica è stato rimossa, l'archeobatterio ha riavviato i suoi processi cellulari ed è tornato alla normalità. Che le ricadute dello studio possano essere enormi lo si capisce anche dai finanziatori: la Defense threat reduction agency del Dipartimento della difesa Usa ed il National institutes of health statunitense.

Kelly ipotizza che «M. prunae sia un ramo di M. Sedula  con solo un piccolo numero di mutazioni o modifiche al suo genomam che gli permettono di reagire diversamente di fronte alla tossicità del  metallo pesante. I risultati potrebbero avere implicazioni per la comprensione di come si sviluppa la resistenza agli antibiotici e opera negli agenti patogeni. Abbiamo incontrato un nuovo modello di come gli organismi imparano a vivere in un ambiente che altrimenti sarebbe mortale per loro».

Ma Kelly solleva anche un'altra questione: «Lo studio mette in discussione i modi in cui gli scienziati hanno classificato gli esseri viventi prima dell'avvento dell'era genomica. Come facciamo a classificare i microrganismi, ora che siamo in grado di confrontare i genomi così facilmente? Non si tratta di specie diverse per la definizione classica, perché i loro genomi sono praticamente identici, ma di fronte allo stress hanno fenotipi o stili di vita molto diversa».

Torna all'archivio