
[26/09/2012] News
Per gli italiani consumi al livello del ’97: ritratti apocalittici usano i colori sbagliati
Ad allontanare l'ottimismo economico di montiana memoria arrivano i dati della Confcommercio. Secondo la confederazione, «il 2012 dovrebbe presentare la peggiore variazione negativa della spesa reale pro capite della storia della Repubblica». Andando ad osservare l'andamento dei vari settori di spesa, si scopre che qualcosa che tiene c'è: soltanto telefonia ed informatica continuano a reggere il livello del fatturato reale prossimo a quello del 2011. Questa precisazione, probabilmente, svela la duplice faccia di questa "crisi dei consumi". Com'è possibile che, contemporaneamente, calino gli acquisti di carne e pesce (tornati a livello del 1988) o frutta e verdura (a quello del 1997), e al contempo si sottolinei come uno dei comparti che meglio risponde alla crisi è quello della telefonia e dell'informatica?
Significa che la crisi morde a piani alterni. Gli strati sociali più deboli ne risentono in modo molto maggiore di quelli che abitano (per ora) ai livelli più alti della scala sociale. Già all'inizio della crisi, nel 2008, l'Ocse scriveva che «tra i 30 Paesi Ocse oggi l'Italia ha il sesto più grande gap tra ricchi e poveri». Un problema radicato nel tessuto sociale italiano, che la crisi non sta facendo altro che acuire. Andando a ben vedere, di per sé, anche l'allarme lanciato da Confcommercio potrebbe apparire eccessivamente gridato. La «peggiore variazione negativa della spesa reale pro capite della storia della Repubblica» è ancora abbastanza contenuta: si tratta di un -3%. Non significa, come il richiamo storico potrebbe suggerire al lettore meno attento, che il livello dei consumi è tornato all'anno 1946. La quota media di reddito che le famiglie italiane destinano ai consumi è, piuttosto, tornata ad un livello equiparabile a quello del 1997.
E qui la domanda sorge spontanea. Guardando al 1997, possiamo dire che i consumi italiani suggerissero una situazione emergenziale? Gli italiani, erano forse una massa di infelici? Ancora dei freddi numeri sembrano suggerire di no. Spulciano documenti governativi è possibile trovare il documento La povertà in Italia, anno 1997. Questo il quadro riportato: «L'incidenza della povertà, ovvero il rapporto tra il numero di famiglie povere e il totale delle famiglie residenti, è risultata pari all'11,2 per cento».
Gli ultimi dati Istat, che tratteggiano un Italia nel pieno dell'era della crisi, non sono poi così diversi. Nel 2011 è l'11,1% delle famiglie italiane residenti ad essere relativamente povero. La percentuale rimane pressoché invariata, ma al tempo non pare di ricordare noi italiani ci crocifiggessimo per essere un popolo in declino. Almeno, non più di quanto siamo solitamente abituati a fare.
Questo non significa che ci agitiamo inutilmente davanti alle conseguenze della crisi, ma solo teniamo in debita considerazione solo una prospettiva, quella psicologia che ci fa riflettere sull'abbondanza perpetua dei consumi come metro perfetto della felicità. Ma non sembriamo renderci conto dell'insostenibilità di tale metro di giudizio. Un sistema economico non può crescere per sempre, è sottoposto a limiti fisici che ci rifiutiamo di riconoscere.
I fantasmi della crisi sono altri, non i consumi medi tornati al livello del 1997. Sono piuttosto i 2,7 milioni di disoccupati all'interno del Paese, un numero sconosciuto dal 1990. Sono le disparità ricordate dall'Ocse: il calo medio dei consumi riportato da Confcommercio nasconde una triste storia a la Trilussa, con la statistica del suo famoso pollo. È nell'incapacità di vedere nei consumi il termometro del progresso di una civiltà. Piuttosto che preoccuparci soltanto di quanto spendiamo, sarebbe l'ora di preoccuparci di più della grande ineguaglianza con cui questa capacità di spesa è distribuita all'interno della nostra società. E, per fare un passo in più, l'intero pianeta ci sarebbe grato se riflettessimo finalmente su cosa compriamo, se sono realmente necessarie (e sostenibili) le spese che segnano il nostro stile di vita. Vedi mai che anche la crisi possa essere utile a qualcosa.