[09/10/2012] News toscana

Emergenza ungulati a Lucca e in Garfagnana: gli agricoltori “abbandonano” le coltivazioni

Bunker e cerchi nel grano: Coldiretti raccoglie le testimonianze esasperate delle aziende

L'emergenza cinghiali, che fino a pochi anni fa in Toscana sembrava confinata all'isola d'Elba, con accuse al Parco nazionale di essere la causa perché non permetteva la caccia, si è rapidamente estesa a macchia d'olio in tutto il territorio regionale. Il nuovo accorato grido di allarme viene dalla Coldiretti di Lucca e della Garfagnana: «O noi, o loro. Se nessuno fa qualcosa resteranno solo i cinghiali, i daini e i cervi perché noi non ce la facciamo più». La maggiore associazione degli agricoltori denuncia: «C'è chi ha smesso addirittura di coltivare, chi si è rassegnato a chiedere il risarcimento dei danni ogni anni all'Ambito territoriale di caccia e chi ha provato con i recinti elettrici che a volte funzionano, ma molto spesso no. Sono tutti esasperati, delusi e, ancora peggio, disillusi dal fatto che qualcuno, a questo punto, possa risolvere una situazione che ha superato ogni confine di pazienza. I cinghiali non sono più un problema, sono un'emergenza di proporzioni enormi da trattare con azioni straordinarie. Mangiano, devastano, distruggono, scardinano strutture, muri a secco, si riproducono a velocità incredibili e non temono più nemmeno l'uomo tanto da spingersi tra le case, nei giardini, a pochi passi dai tavoli della cucina».

Coldiretti Lucca quasi ogni giorno raccoglie la frustrazione degli agricoltori per un'emergenza che nessuno sembra in grado o voler risolvere e la sua presidente, Dina Pierotti, dice arrabbiata e sconsolata: «Resteranno solo cinghiali e cervi nelle campagne perché le aziende agricole si sono stufate di seminare per non raccogliere niente; siamo diventati, senza volerlo, i principali foraggiatori dei cinghiali. E' palese che le azioni fino a qui intraprese non hanno funzionato, oppure, hanno funzionato davvero male. I danni sono in continuo aumento nonostante gli abbattimenti ed i prelevamenti. E' chiaro che così non si può più andare avanti. La devastazione è all'ordine del giorno, gli agricoltori subiscono perdite pesantissime. In alcuni casi hanno deciso di smettere di produrre. E' gravissimo. La presenza dell'uomo e dell'agricoltura sono un elemento fondamentale anche per la sicurezza del territorio e per il mantenimento degli equilibri e della biodiversità. La dove la presenza dell'uomo è assente sappiamo tutti quali sono gli effetti, senza agricoltura anche la valle è a rischio. L'agricoltura presidia il territorio, lo preserva. I cinghiali stanno mettendo in discussione un equilibrio millenario».

E' chiaro ce la situazione è sfuggita di mano ai cacciatori ed alle istituzioni che hanno favorito immissioni e ripopolamenti e che la gestione meramente venatoria degli ungulati si è rivelata un disastro economico ed ambientale. Di fronte a questa visione "sportiva" dell'utilizzo della fauna, Coldiretti rivendica il diritto "di fare impresa" ed un ruolo economico: «Esiste un modo per convivere imprese e cinghiali, mondo agricolo e venatorio, ma serve la volontà per farli coesistere - spiega la Pierotti - i cinghiali sono troppi e sono fuori controllo. Gli agricoltori? Gente con una pazienza fuori dal comune. Se ci fosse stato un problema inverso, pochi cinghiali e troppa agricoltura, si sarebbe trovato rapidamente il modo per risolvere la questione».

L'emergenza non risparmia nessuna produzione, dal farro al fieno, dalle viti al granoturco, e che tocca dalla piana alla Garfagnana. Le testimonianze raccolte da Coldiretti raccontano storie di esasperazione. L'imprenditore agricolo Paolo Bocchi sottolinea: «Non possiamo più seminare niente. Siamo stati costretti a recintare i vigneti per proteggere quel poco di uva che c'era  era l'unico modo per difendersi anche se poi hanno trovato il modo, prima della vendemmia, 3 settimane fa, di entrare. L'ultima volta ho contato una trentina di animali". L'azienda di Bocchi è nel territorio del Comune di Minucciano, e produce anche farro e grano: «Per il farro è andata meno peggio, ma per il grano è stata un disastro: abbiamo avuto una mancata produzione del 50, i danni sono allucinanti. Abbiamo chiesto anche abbattimenti mirati, ma dicono che non si possono fare», cosa ch invece viene fatta all'Elba, anche con abbattimenti selettivi dentro il Parco Nazionale. «Dal 2008 non si vive più - dice Renzo Amari - seminiamo e raccogliamo danni. Il farro è un prodotto importante per la Garfagnana, ma se decidono che i cinghiali lo sono di più che ci diano un bell'incentivo per allevarli. Va bene anche così. Lo scorso anno per la prima volta ho avuto anche danni alla semina: hanno buttato all'aria tutto. Il territorio non può sopportare la pressione dei cinghiali. Me li sono trovati anche davanti all'uscio di casa non ce l'ho né con i cacciatori, né con i cinghiali ma non sono più nemmeno padrone a casa mia. I rimborsi risarciscono la mancata produzione: le ore di lavoro, la fatica, gli attrezzi però non vengono risarciti e nemmeno sono contemplati».

Nella zona di Careggine sono stati trovati addirittura dei cerchi nel grano: "Non è opera degli Ufo - spiega il titolare dell'azienda agricola Matteo Corsi che alleva Corsi alleva bovini da carne - abbiamo trovato situazioni da mettersi le mani ai capelli con ettari di pascolo messi sotto sopra. Sono stati capaci di fare dei buchi anche di 3 metri di diametro per 30 centimetri di profondità. In alcune zone è impossibile andarci con il trattore. Sembra un bombardamento. Siamo riusciti a salvare solo 2 ettari di pascolo accanto alla nostra stalla ciò nonostante hanno trovato il modo di entrarci sono diventati anche furbi. Quest'anno mancano all'appello 700 presse di fieno».

Stessa situazione a Fosciandora: «Ogni anno è sempre peggio - racconta il  titolare del Podere Concori che produce vino Igt - le nostre uve se le mangiano i cinghiali. Siamo scoraggiati ed il rimborso è ridicolo».

Francesco Ciarrocchi, direttore provinciale Coldiretti ci va giù pesante: «Se questa è la situazione, se queste sono le condizioni, cominciamo a pensare ad una Garfagnana senza le produzioni agricole e agroalimentari che hanno concorso a renderla famosa in tutto il mondo e che motivo turistico per migliaia di visitatori ogni anno. Scelte decise non sono più rimandabili».

 

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