[12/10/2012] News

I Penan del Sarawak bloccano la strada per la diga di Murum: «Siamo stati ingannati dal governo»

Il piano di reinsediamento di 8 tribù tenuto segreto. 12 dighe e surplus di energia nel Borneo malese

Centinaia di Penan, un popolo autoctono di 10 - 12.000 cacciatori e raccoglitori che vivono nelle foreste pluviali del Sarawak, uno dei due Stati malesi del Borneo, continuano a presidiare la barricata eretta ed a bloccare il traffico di betoniere e camion carichi di materiale da costruzione sulla strada che conduce alla controversa diga di Murum,   impugnando cartelli con scritte come "Vogliamo giustizia", "Rivendichiamo i nostri diritti" e "Alt alla diga di Murum".  Il blocco dei Penan, formato da uomini, donne e bambini di 8 comunità coinvolte, è iniziato il 26 settembre. Alcuni dormono in baracche abbandonate della compagnia, mentre altri hanno costruito le capanne provvisorie dei Penan nomadi, le sulaps, a lato della strada.

La rabbia dei Penan è esplosa dopo che l'Ong Sarawak Report ha reso noto il "Resettlement Action Plan" delle comunità  Penang che dovranno essere sfollate a causa dell'inondazione causata dal bacino artificiale della diga. Un piano di reinsediamento tenuto segreto e che invece avrebbe dovuto essere reso noto prima di iniziare la costruzione dell'infrastruttura. Nel 2013,  quando sarà stata ultimata, la diga di Murum inonderà le terre ancestrali dei Penan e 1.300 di loro si sono sentiti dire che devono spostarsi per far posto alla diga, che sarà solo la prima delle 12 nuove dighe progettate nel Sarawak.

Nel Piano si legge: «Poiché l'ambiente circostante è stato degradato a causa del taglio del legname e dello sviluppo delle piantagioni, oggi i Penan devono dedicarsi maggiormente alla semina di prodotti destinati al sostentamento e alla vendita», quindi gli indigeni devono essere trasferiti «in una terra sufficientemente adatta alla coltivazione (...) per favorire la transizione verso un'agricoltura redditizia», nonostante sia noto che i  Penang per i loro mezzi di sussistenza dipendano per il 75% dalle risorse della foresta.

Sarawak Report sottolinea che «secondo i protocolli internazionali per i diritti umani, i Penan avrebbero dovuto essere pienamente consultati ed essere in accordo con i dettagli di ogni mossa e dovrebbero aver ricevuto garanzie in anticipo riguardo a terre, denaro e servizi comunitari che potevano aspettarsi dalla nuova sistemazione. Tuttavia, pochi mesi prima della prevista inondazione delle loro terre queste informazioni erano ancora tenute segrete. Non c'è stata alcuna trattativa, nessuna spiegazione, nessun accordo, nessuna garanzia e nessuna informazione di sorta sul destino che attende questi antichi popoli indigeni della regione che Taib Mahmud ha deciso di sfruttare e poi distruggere. Fondamentalmente non c'è stata un'analisi vera del perché una diga sia necessaria proprio a Murum! La nuova diga di Bakun significa che ci sarà  un forte surplus di energia nel Sarawak, che lo Stato non sarà in grado di utilizzare per il prossimo futuro».

Sarawak Report denuncia anche un altro trucco: «Lo stesso rapporto afferma che è disponibile per tutti da vedere sul sito web del governo dello Stato. Tuttavia, non è mai stato reso disponibile e sul sito attualmente si afferma che questa sezione è "in fase di aggiornamento"!».

La divulgazione del "Resettlement Action Plan" ha fatto capire ai fiduciosi Penang che il governo del Sarawak e quello federale malese stanno  strumentalizzando gli effetti negativi del dilagare del disboscamento nelle foreste dei Penan per giustificare il reinsediamento della tribù che ora denuncia di essere stata "manipolata" e "truffata" per fare spazio alla diga.  Un manifestante ha detto: «Siamo stati truffati dal governo. Gran parte di quanto speravamo di avere e che il governo ci aveva promesso, non c'è mai stato dato e questo ci fa infuriare».

Madai Salo, capo del villaggio dei Penan di Long Luar, ha detto: «Le nostre parole sono state manipolate dal governo e dai ministri, noi non abbiamo mai detto che avremmo appoggiato la diga, non siamo mai stati interpellati a riguardo e non l'appoggeremo mai». E un altro Penan che partecipa al blocco stradale ha sottolineato: «Che si tratti di due settimane, di un mese o di un anno, resteremo barricati qui fino a quando le nostre richieste non saranno state accolte».

Survival International denuncia: «I Penan Murum confermano di essere stati tenuti "Completamente all'oscuro" sui progetti di reinsediamento nonostante la costruzione della diga sia cominciata quattro anni fa e manchino solo pochi mesi prima che le loro terre ancestrali siano interamente sommerse».

Il governo va avanti e non lascia alternative: «Non prenderemo in considerazione alcun progetto alternativo perché la costruzione di Mdhep (la diga di Murum) è già cominciata», ma i  Penan continuano a bloccare la strada che conduce alla diga insistendo sul fatto che non se ne andranno fino a quando non saranno stati coinvolti in trattative per raggiungere un accordo equo.

In un comunicato Surang Alung, presidente della commissione Affari dei Penan Pelieran-Murum (Pemupa) aveva già scritto che «Il governo non ha consultato i Penan su tutti gli aspetti del progetto. Dobbiamo difendere e far valere i nostri diritti  perché il governo ha già trascurato troppo a lungo i nostri problemi, le nostre questioni e le nostre richieste».

Per Stephen Corry, direttore generale di Survival, «Il governo del Sarawak sta ignorando i diritti dei Penan da troppo tempo. Spinti al limite delle loro foreste dai taglialegna, oggi i Penan di Murum stanno per essere cacciati dalle loro terre per far posto a una diga che produrrà elettricità di cui nessuno in Sarawak ha bisogno. Malgrado questo surplus di energia, il governo progetta di costruire altre undici dighe. Quanti Penan dovranno ancora essere cacciati dalla loro terra prima che le loro voci siano ascoltate? La scoperta di questi piani dimostra l'ambiguità con cui il governo del Sarawak gestisce il progetto della diga di Murum. Apparentemente non si fermerà davanti a niente e cercherà di tenere nascosto ogni piano. La barricata eretta dai Penan dimostra la loro determinazione a non cedere. Meritano di essere ascoltati e, quanto meno, di essere coinvolti nel processo di reinsediamento».

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