[22/10/2012] News
Quattro contadini nigeriani della regione del Delta del Niger potrebbero costare molto caro alla Royal Dutch Shell. Il prossimo 30 gennaio, infatti, un tribunale de L'Aja emetterà la sentenza per la causa intentata nei confronti della multinazionale petrolifera dai cittadini nigeriani, originari dell'Ogoniland, con l'aiuto dell'associazione ambientalista Friends of the Earth.
A consentire l'avvio del processo è stata una decisione della magistratura olandese, che nel 2008 si era dichiarata competente sul caso nonostante la oil corporation sostenesse che le responsabilità ricadessero unicamente sulla sua sussidiaria locale.
La Shell è accusata di aver inquinato campi coltivati e corsi d'acqua presso i villaggi ogoni di Goi, Oruma e Ikot Ada Udo a causa di una serie di fuoriuscite avvenute fra il 2004 e il 2007. Qualora fosse dichiarata colpevole, si stabilirebbe un importante precedente per molti altri casi analoghi.
Il processo dell'Aja non è l'unico a chiamare in causa la multinazionale anglo-olandese per le sue attività in Nigeria. Nel marzo scorso un procedimento analogo è stato avviato a Londra e anche in questo caso l'accusa è aver privato di mezzi di sostentamento interi villaggi.
Non sappiamo come andranno a finire questi processi, però conosciamo bene i danni che l'estrazione petrolifera della Shell e delle altre oil corporation, tra cui c'è anche l'italiana Eni, provocano sul territorio per averli visti dal vivo. Lo scorso anno abbiamo partecipato a una missione internazionale che ci ha permesso di visitare l'Ogoniland - dove abbiamo incontrato uno dei quattro ricorrenti - e zone dove opera l'azienda del Cane a Sei Zampe. Che la situazione sia tragica lo hanno certificato anche gli esperti delle Nazioni Unite, recatisi in Ogoniland negli anni scorsi. Durante la loro missione hanno visitato oltre 200 località, visionato tratti di oleodotti per un totale di 122 chilometri, letto 5mila cartelle cliniche, incontrato 23mila esponenti delle comunità e condotto analisi approfondite delle acque e del suolo in ben 69 siti. In tutto hanno coperto un'area di circa 1.300 chilometri quadrati.
I risultati lasciano senza fiato (vedi anche lo splendido e terribile documentario di Luca Tommasini). Ci sono casi incredibili, come quello della comunità di Ogale, dove il livello di un elemento altamente cancerogeno come il benzene eccede di 900 volte il limite previsto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma sono decine i pozzi d'acqua in cui l'inquinamento ha abbondantemente superato i livelli di guardia. Un po' ovunque le riserve ittiche sono sparite del tutto e in 49 siti il terreno è così saturo di idrocarburi fino a una profondità di cinque metri che non vi si può coltivare più nulla.
Nel loro rapporto datato agosto 2011 gli esponenti dell'Onu hanno stabilito che serviranno fra i 25 e i 30 anni per ripulire il territorio degli Ogoni dalle lordure delle compagnie petrolifere. Solo per iniziare i lavori andrebbe stanziato un miliardo di euro.
Dopo poco più di un anno l'acqua, la terra e l'aria sono ancora estremamente inquinate. La Shell non ha fatto nulla per porre rimedio alla situazione. Anche nel resto del Delta del Niger, ridotto in condizioni simili all'Ogoniland, le altre multinazionali non si stanno certo dannando l'anima per ripulire i continui sversamenti di greggio o far cessare il gas flaring - ovvero il gas connesso al processo d'estrazione del greggio e bruciato in torcia. Secondo l'Ong nigeriana Environmental Rights Action per una bonifica completa del territorio servirebbero oltre 100 miliardi di euro. Per quanto tempo ancora le oil corporation continueranno a fare orecchie da mercante? Forse finché non subiranno condanno pesanti da tribunali dei loro Paesi...
*Re:Common per greenreport.it