
[08/11/2012] News
Strani giorni. Viviamo davvero strani giorni ascoltando gli echi delle elezioni Usa e giubilando, con moderazione, della conferma alla Casa Bianca dell'uomo della speranza Obama, simbolo ancora di una qualche forma di democrazia, susseguiti però dal successivo voto dei mercati. Come se le prime fossero solo delle primarie, mentre le seconde il voto determinante.
"La festa di Obama, il gelo delle Borse" per citare un titolo. "Obama presidente Usa. Borse giù" per citarne un altro. Di dittatura dei mercati parlammo già quando furono gli artefici della liberazione dell'Italia da Berlusconi. Sottolineando come fossero riusciti là dove le opposizioni hanno sempre fallito negli ultimi vent'anni. Ma non fu gloria e non può esserla mai se a decidere delle sorti di un Paese non è più il voto dei suoi cittadini, ma di un corpo estraneo alla democrazia come appunto i "mercati". Che poi chi sono i mercati? Le lobby? L'insieme dei "potenti"? Le banche? Le società di rating? Sono tutto questo e molto altro, di certo non hanno un'unica guida "maligna" volta alla distruzione del mondo come lo conosciamo, tuttavia hanno come orizzonte qualcosa che non ha nulla a che fare con l'equità; l'attenzione al sociale; all'ambiente. E sono completamente fuori controllo. Fuori controllo perché non solo hanno in mano le sorti delle nazioni attraverso il gioco degli spread e dei giudizi sulle prospettive di crescita; ma perché hanno anche l'ultima parola sul "pane" e sulle "rose" di tutti noi.
Poter decidere sui prezzi delle materie prime food e non food senza il minimo controllo pubblico, e con mezzi tecnologici in grado di decidere il valore di un bene in millesimi di secondi: è uno scenario reale che fa impallidire ogni distopia di orwelliana immaginazione. La rielezione di Obama in questo terribile frangente di crisi economica, politica e ambientale sarebbe dunque un gancio (debole quanto si vuole) a cui attaccarsi sostenendo proprio nelle battaglie più difficili (che non sono solo banalmente quelle contro le speculazioni) contro il modello e il sistema stesso che ha permesso di finanziarizzare ormai anche l'aria che respiriamo. La speculazione è un aspetto intrinseco della finanza, una cosa non esisterebbe senza l'altra, e dunque la guerra "dell'uomo neozoico dell'era quaternaria" dovrebbe essere per cambiare direttamente il modello di sviluppo. Sottrarre in buona sostanza le materie prime alla finanza che non è in grado di tutelarle.
Serve un controllo pubblico di altissimo livello che noi a suo tempo dicemmo poter essere governato da un organismo tipo Onu, in assenza di una alternativa più credibile. La crisi sta cambiando il mondo giocoforza verso stili di vita più "sostenibili", ma se non cambia il contesto questo si tradurrà solo in miseria. Miseria reale per i più deboli, sempre più deboli; miseria "culturale" per gli altri. Ci hanno fatto credere che il futuro fosse quello di lavorare tutti di meno e avere più tempo libero, un sogno diventato incubo perché quel lavorare di meno si è trasformato nel non lavorare del tutto e nella distruzione del welfare che ha trasformato il tempo libero in una prigione chiamata precarietà. E il lavoro in Occidente è ritornato ad essere a cottimo per una produttività in Paesi satolli ed esausti che non consumano più come prima quei prodotti ad obsolescenza programmata.
Una produttività che mangia lavoro e benessere invece di crearli, un passo indietro verso la prima rivoluzione industriale per quanto riguarda i diritti dei lavoratori. Ma la crisi, dicevamo, porta cambiamenti e una crisi epocale può portare cambiamenti epocali. Passeranno forse recrudescenze protezioniste - caldeggiate anche da Obama e dall'Europa - che se governate potrebbero anche portare benefici per tutti riducendo gradualmente i viaggi delle merci nel mondo. Ma non tutti hanno le chance americane di poter far da sé e allora bisogna riscrivere le regole economiche mondiali secondo nuovi criteri che non possono non essere quelli della sostenibilità sociale e ambientale. Una spinta al cambiamento che abbiamo capito non potrà arrivare dai Paesi emergenti, come Cina ed India, perché li abbiamo allevati con il nostro depauperante modello.
Quindi tocca a noi toglierci dai guai. Far convivere 9 miliardi di persone in un 2050 flagellato dai cambiamenti climatici per trasformarlo in un mondo più giusto di quello attuale è la vera sfida di tutti noi. Ma per fare tutto questo non servono leader; non servono slogan; serve un salto culturale che può nascere dall'alto o dal basso solo se a sostenere questa prospettiva ci sarà un movimento politico in grado di raccoglierla questa sfida.
Non quel partito o quell'altro partito, ma la politica intesa come governo della polis che si pone di fronte alla questione, individua dove intervenire, riprende in mano il bandolo della matassa, sfila - tanto per cominciare - le commodities alla finanza e tiene la barra dritta sulla sostenibilità. Vi pare che nel dibattito italiano o europeo o mondiale questo tema sia all'ordine del giorno? Ecco perché, come cantava Battiato anni fa, continuiamo a vivere strani giorni e a stupirci se un comico ha più appeal di un politico... Quando la politica diventa la tragedia dell'impossibilità, la gente preferisce la farsa.