
[04/12/2012] News
Il rischio è veder approvato un nuovo periodo di Kyoto nei fatti fortemente indebolito
Proseguono i lavori alla COP18, e al Qatar National Convention Center aumentano i delegati ed il profilo risulta più politico dopo una prima settimana segnata soprattutto da caratteristiche tecniche e un sostanziale stallo sul futuro del secondo periodo d'impegno del Protocollo di Kyoto. Canada, Russia, Giappone, Nuova Zelanda e Turchia si sono aggiunti agli Stati Uniti nella lista dei paesi che non vi aderiranno, e la palla sta in mano ad Unione Europea, Cina e Australia, con quest'ultima però che presenta un obiettivo di riduzione delle emissioni irrisorio dello 0,5% al 2020.
Prosegue il lavoro anche sulla Durban Platform (ADP) con lo scopo di raggiungere un accordo entro il 2015 per un nuovo trattato globale che possa entrare in vigore dal 2020, mentre continuano ad esserci enormi difficoltà ad individuare le risorse per il Green Climate Fund, sia per via della crisi economica che per l'incertezza della modalità di gestione dei fondi stessi. Anche se non si esclude la possibilità di accordi per lo sblocco di finanziamenti in favore dei Paesi più poveri, da utilizzare per mitigazione, adattamento, e per far fronte ai danni causati dalle manifestazioni dei cambiamenti climatici, pensiamo solo a tempeste e inondazioni. Perché contemporaneamente l'urgenza incombe o dovrebbe, pesantemente su questa Conferenza. Negli Stati Uniti la siccità ha messo in ginocchio gli Stati agricoli e l'uragano Sandy ha prodotto dai 50 ai 70 miliardi di dollari di danni. El Salvador a causa delle pesanti siccità perderà più di un milione di quintali di mais, corrispondente al 5,5% della produzione totale. Un andamento che se confermato potrebbe causare per Paesi come El Salvador, Honduras, Guatemala e Nicaragua la perdita di oltre 350mila tonnellate di mais e di fagioli nel decennio 2020-2030, per un totale di 120 milioni di dollari all'anno evaporati.
La rielezione del Presidente Obama garantisce la continuità del suo Paese nel rispettare la riduzione delle emissioni del 17% rispetto al 2005 entro il 2020, ma che significa un misero 3% rispetto al 1990, riferimento usato nel Protocollo di Kyoto, mentre da tempo la comunità scientifica denuncia che per mantenere l'aumento della temperatura sotto il limite dei 2°C la riduzione dovrebbe essere almeno del 25-40%.
Il tutto qui sembrerebbe molto in bilico sull'accordo della scorsa COP17 di Durban, e cioè lo scambio tra un secondo periodo di impegni di Kyoto che dovrebbe partire dal 1 gennaio 2013, e l'accordo globale che dal 2015 dovrebbe rilanciare ad un nuovo regime di lotta al cambiamento climatico dal 2020. Niente Kyoto, niente accordo. Ed il rischio è veder approvato un nuovo periodo di Kyoto nei fatti fortemente indebolito a causa delle varie strategie di aggiramento che alcuni Paesi industrializzati stanno cercando di mettere in campo. Una di queste riguarda i crediti di emissione non utilizzati, perché in eccesso, che potrebbero essere utilizzati per evitare una reale politica di mitigazione. Tra questi Paesi la Russia e la Polonia, che si è distinta anche negli ultimi summit dei ministri dell'ambiente nell'ostacolare posizioni comuni sul contrasto al cambiamento climatico.
Sempre qui a Doha è stato presentato il rapporto Germanwatch, che vede quest'anno Danimarca, Svezia e Portogallo, rispettivamente al 4°, 5° e 6° posto della graduatoria dei 61 paesi presi in esame, e anche quest'anno non assegnati i primi tre posti perché nessun paese ha messo in campo azioni virtuose in grado di contribuire a limitare le emissioni al disotto dell'obiettivo dei 2°C. I quattro parametri presi in considerazione sono il livello delle emissioni, il trend delle emissioni nei principali settori (elettrico, industria, costruzioni, trasporti, e abitazioni), l'uso di energia rinnovabile, l'efficienza energetica, e la politica per il clima. Quest'anno poi per la prima volta sono stati presi in considerazione anche i dati sulle emissioni provenienti dalla deforestazione determinando una discesa in classifica di paesi come Brasile e Indonesia, dove la deforestazione ha un forte impatto sulle emissioni globali.
Dato interessante è che in tutti gli stati dell'Unione europea inclusa l'Italia, dal 1990 al 2011 si è registrato un disaccoppiamento strutturale tra riduzione delle emissioni e crescita del PIL. Secondo la Commissione europea infatti, tra il ‘90 e il 2011 nei ventisette paesi dell'Unione si è avuta una riduzione del 17,5% delle emissioni e un aumento del 48% del PIL.
Le attività dei movimenti e delle ONG questa volta sono praticamente soltanto all'interno del luogo della Conferenza ma lo scorso sabato c'è stata la prima marcia della storia del Qatar, con il neonato Arab Youth Climate Movement, protagonista il mese scorso di una giornata di mobilitazioni simultanee in 14 paesi tra medio oriente e nord africa, a guidare quella che magari potrebbe diventare la "primavera green" del mondo arabo.