
[04/12/2012] News
La lunga marcia dello spread si fa in discesa. Il minimo di giornata ha segnato a 296 punti base il differenziale tra Btp italiani e Bund tedeschi: sembrano adesso molto lontani gli ultimi giorni di Silvio Berlusconi al governo, quando lo spread arrivò all'allarmante soglia di 574 punti base. Adesso il premier Monti ha buon gioco a dichiarare di voler raggiungere la metà di questa soglia di guardia (287 punti), ormai a portata di mano. A meno che l'altalena non riprenda presto a salire, e questo - purtroppo - non è escluso.
L'operazione credibilità messa in campo dall'esecutivo sembra comunque dare i suoi frutti sui mercati, anche se è lecito domandarsi quanto il calo dello spread sia da imputare all'azione del governo Monti piuttosto che a fattori esogeni, come la discesa in campo - quest'estate - della Bce a deterrente per gli attacchi speculativi contro la moneta unica. Fatto sta che un risultato positivo è comunque stato raggiunto: lo spread a questi livelli significa meno interessi da pagare, un "risparmio" in tre anni di 50 miliardi di interessi sul debito italiano, che ormai ammonta a circa 2mila miliardi di euro.
Non c'è comunque molto di cui star allegri. I dati duri dell'economia reale ci ricordano come la crisi sia più che presente. In Italia la disoccupazione non solo non si assottiglia, ma aumenta a livelli record. I disoccupati ufficialmente catalogati come tali dall'Istat sono ormai 2 milioni 870 mila, con un aumento su base annua pari al 28,9% (644 mila persone in più); tra questi numeri è nascosto il 36,5% dei giovani non ha un lavoro. Non è per loro di molta consolazione apprendere che lo spread sta calando, quando le porte dell'occupazione continuano a rimanere chiuse. E le prospettive per l'immediato futuro non aiutano di certo: per la Cgil «il 2013, sul piano occupazionale, sarà ancora più pesante del 2012, che già è stato l'anno pesante della crisi».
Se il governo su questo punto cruciale continua a gigioneggiare, in Europa qualcosa di nuovo si muove. La consapevolezza di un danno sociale ed economicamente enorme (-150 miliardi di euro all'anno) comincia a farsi pressante. Il commissario Ue agli affari sociali, Làslò Andor spinge «un piano che prevede - riporta l'Unità - di "garantire" un posto di lavoro o un corso di formazione professionale a tutti i giovani con meno di 25 anni entro quattro mesi dalla conclusione del ciclo scolastico o dal licenziamento da un impiego precedente». Un impegno che, in ogni caso, si profilerebbe come non vincolante, ma con alle spalle la possibilità di finanziamenti europei a conferire più concretezza alla proposta.
Non esistono generazioni perdute, a meno che non sia questo ciò che vogliamo: la vera conquista sarà la risalita del tasso di occupazione (soprattutto giovanile), e non la discesa dello spread. È un imperativo quello di approfittare della necessità di ricostruire dalle macerie della crisi un nuovo modello di sviluppo che non ci precipiti a breve negli errori della crescita che ci hanno portato dove siamo oggi.
L'Europa, per bocca del commissario Ue all'Industria, Antonio Tajani (Nella foto), ribadisce una volta di più come «il raggiungimento degli obiettivi ecologici ed economici può essere reciprocamente vantaggioso. In altre parole, la sostenibilità ambientale e la gestione delle risorse naturali è in grado di promuovere lo sviluppo economico». Nello specifico, partecipando alla conferenza londinese "Soluzioni spaziali europee", Tajani ha presentato uno studio della commissione Ue per il quale il progetto Gmes - Global monitoring for environment and security (monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza) potrà creare 83.000 nuovi posti di lavoro altamente qualificati, in Europa, entro il 2030. La soluzione alla disoccupazione non potrà certo provenire dallo spazio, ma neanche piovere dal cielo: la strada della programmazione verso un'industria più sostenibile è segnata, dobbiamo scegliere se imboccarla.