[04/12/2012] News
Il decreto sull'Ilva era indispensabile, introduce per la prima volta nella storia repubblicana la possibilità di arrivare all'esproprio, ma contiene almeno un paio di elementi che suscitano perplessità.
Questo il giudizio sintetico sullo strumento adoperato dal Governo. Prima però di entrare nel dettaglio, credo non si possa e non si debba tacere il fatto che per la prima volta ci troviamo in presenza di una crisi industriale in cui una fabbrica (importante per il territorio e per l'intero sistema economico del Paese) è a rischio a causa dei problemi ambientali e sanitari di cui è responsabile, e non perché la sua attività produttiva è diventata anti-economica.
Grazie all'iniziativa dei magistrati è finalmente scoppiato il bubbone che gli ambientalisti denunciavano, solitari, da anni: prima la proprietà pubblica e poi da vent'anni la famiglia Riva hanno fatto scempio di territorio, ambiente, salute, in spregio a leggi e controlli anche usando l'arma della corruzione e comunque esercitando un potere arrogante e godendo di vaste complicità.
Il bubbone è esploso, e unanime è stata la consapevolezza che non era più possibile continuare su quella strada. Una consapevolezza che è arrivata senz'altro tardi e con troppe vittime alle spalle, ma una consapevolezza di cui il movimento ambientalista, seppur con l'ovvia amarezza del "ve lo avevamo detto noi", non può non essere soddisfatto.
D'altra parte - come d'altronde ha scritto con estrema chiarezza anche greenreport - sarebbe da irresponsabili e non è il futuro che auspichiamo pensare un'Italia senza industria, senza manifattura. Produrre, anche acciaio, senza impatti ambientali e sanitari insostenibili si può. E il mondo è pieno (dalla Germania alla Corea) di best practices da copiare. Ed era quindi questa la stretta strada da imboccare: trovare il modo di continuare a produrre smettendo di inquinare e senza intralciare il lavoro della Magistratura.
Giusto quindi, come prevede il cuore del decreto, vincolare la produzione al rispetto delle prescrizioni contenute nell'Autorizzazione Integrata Ambientale e al relativo cronoprogramma. Giustissimo mettere in capo all'azienda la responsabilità e soprattutto i costi del risanamento e della modifica degli impianti e dei processi produttivi. Ma vista l'inaffidabilità dimostrata e conclamata della proprietà era indispensabile trovare un "tutore pubblico", il Garante, e dare a questo soggetto tutti i poteri necessari. E qui sta la parte più positiva del decreto del Governo: avere scelto di richiamarsi agli articoli 41 e 43 della Costituzione, quelli più "progressisti", che limitano l'azione, e persino alla proprietà, dell'impresa privata vincolandola al perseguimento del bene comune. Mai successo prima nella storia della Repubblica e ricordo che solo pochissimo tempo fa erano Tremonti e Berlusconi, non a caso, a proporre la modifica dell'articolo 41 della Costituzione.
Certo resta controverso il comma del decreto che di fatto supera il sequestro disposto dalla magistratura. Ma credo che i magistrati possano con ancora più forza continuare le indagini, colpire finalmente i responsabili e magari pensare a come controllare i beni della famiglia Riva in modo da assicurarsi che ci siano le risorse necessarie per bonifiche e risanamento.
Infine c'è una novità nell'ultima versione del decreto, quella poi firmata dal Presidente, che a nostro avviso lo peggiora. Quella per cui si prevede che sia un semplice decreto del Presidente del Consiglio a dichiarare un impianto di "strategico interesse nazionale" (deve avere almeno duecento lavoratori, ma quindi si tratta di impianti anche non grandi). Per dare al provvedimento un carattere generale si è introdotta una norma che se mal impiegata può portare ad abusi e distorsioni. Forse in questo caso era meglio prendere atto della eccezionalità della vicenda e procedere con una norma esplicitamente "ad aziendam".