
[05/12/2012] News
In Italia in vent’anni -5,6% emissioni, +24% di Pil. Ma Francia, Inghilterra e Germania fanno meglio
Anche questa volta le sensazioni più forti sono l'empasse, l'attesa, la mancanza di una politica capace di protagonismo, il bisogno di trovare una governance mondiale credibile; l'incongruenza tra l'urgenza dovuta a mutamenti climatici sempre più intensi, la drammaticità delle loro conseguenze su comunità e territori, la mancanza di impegni e azioni concrete all'altezza. Perché è difficile ascoltare dalla delegazione filippina affermare che oltre 57mila persone nelle Filippine sono state evacuate in questi giorni per un tifone di dimensioni apocalittiche, con forza 4-5 della Saffir-Simpson (la scala va da 1 a 5) e venti che superano i 200 km/h, e non provare impotenza.
Quello di diverso che ogni tanto accade è l'irrompere dentro questa bolla, nella quale ci sembra di galleggiare, di notizie positive o possibilità di futuro, proprio sui temi che da tanto tempo gli ambientalisti promuovono. Così il Potsdam Institute con uno studio elaborato per conto del governo tedesco ieri ha mostrato che se l'Europa confermasse l'obiettivo del -30% per i gas serra si potrebbero creare 6 milioni di posti di lavoro entro il 2020. L'Unione europea ha infatti già sostanzialmente raggiunto il target di riduzione del 20% al 2020, e nel dover impegnarsi per la fase 2 del protocollo di Kyoto (2013 - 2020) indicando gli obiettivi da raggiungere, al suo interno si rafforza il fronte a favore di un impegno al 30%.
D'altra parte come già ricordavamo ieri il rapporto Germanwatch ha confermato il trend che tra il 1990 e il 2011 nell'Europa dei 27 ha visto salire il Pil del 48% e scendere le emissioni serra del 17,5%. Le incertezze invece del governo italiano nei confronti dell'economia verde hanno rallentato la perfomance italiana, che resta positiva (-5,6% delle emissioni, +24% di Pil), anche se meno netta di quella tedesca (-26,2% di emissioni e +35% di Pil), di quella francese (-10,9% di emissioni e +31% di Pil) e di quella inglese (-27,4% di emissioni e +57% di Pil).
Oltre all'Unione europea, ad ora si sono dichiarati pronti a sottoscrivere la fase 2 del protocollo di Kyoto - anche se con target tutti da individuare - Australia, Norvegia e Svizzera, mentre Canada, Giappone e Russia sembrano invece intenzionati a resistere e non aderire aspettando il 2015, anno entro il quale tutti i paesi dovranno definire l'accordo mondiale che diventerà operativo dal 2020, alla conclusione della seconda fase del protocollo di Kyoto.
L'Italia, che ieri ha parlato per voce del ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, e' impegnata per dare seguito al Protocollo di Kyoto, in scadenza il 31 dicembre prossimo, ma chiede che ai Paesi sottoscrittori della prima fase (Unione Europea, Australia e Svizzera) si affianchino quelli che non vi hanno aderito: gli Usa in primis, ma anche Giappone, Canada e Russia. Il ministro ha anche delineato la politica di sostegno alle rinnovabili attuata dall'Italia, sostenuta da incentivi pari a 6,7 miliardi di euro annui sul solare e 5,8 miliardi annui sulle altre rinnovabili.
Ma la corsa verso l'alto delle emissioni di CO2 non conosce tregua: nel 2012 la loro produzione salirà del 2,6%, secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change del Global Carbon Project, un network di scienziati, secondo cui l'obiettivo di tenere l'aumento della temperatura sotto i 2 gradi con le misure che si stanno discutendo a Doha è sempre meno probabile.