[10/12/2012] News

Ilva, la formulazione dell'art. 1 del decreto compie il tradizionale esercizio di ipocrisia giuridica

Tra le conseguenze non inattese della drammatica vicenda dell'Ilva di Taranto vi è anche la ripresa dell'ipotesi di una nazionalizzazione di imprese in crisi che rivestano un ruolo strategico per l'economia nazionale. Avviene così che al dramma dei lavoratori pugliesi si aggiunga un pericoloso elemento di confusione sul modo con cui la crisi dev'essere affrontata, con tutta la goffaggine inevitabile per un governo ideologicamente neo-liberista costretto a re-inventarsi dirigista.

Il primo elemento di grave confusione sta nella formula con cui è riapparso all'orizzonte della politica economica italiana il concetto di "interesse strategico nazionale". La formulazione dell'art. 1 del decreto sull'Ilva compie il tradizionale esercizio di ipocrisia giuridica, che vuole dare purezza di fattispecie astratta ad un intervento che più puntuale e individuale di così non poteva essere. Così facendo apre tuttavia le porte ad una varietà di situazioni che rientrano e rientreranno nei fumosi criteri del decreto: l'avere oltre 200 occupati e l'esservi una "assoluta necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione". Un criterio doppiamente sbagliato: perché identifica la strategicità con la dimensione occupazionale (nell'Italia delle piccole imprese e delle multinazionali tascabili...) e perché suggerisce che esistano necessità "assolute", mentre la strategicità è sempre e solo relativa a (e definita da) una strategia. Ovviamente una strategia di politica industriale non esiste e quindi ecco che spuntano fuori le "necessità assolute".

Non stupiamoci della velocità con cui l'attento presidente della Provincia di Livorno, Giorgio Kutufà, vi ha colto una "opportunità", dichiarando testualmente: "Nessuno può negare che la Lucchini abbia questa caratteristica e che lo stabilimento di Piombino sia un asset indispensabile non solo per la Val di Cornia, la provincia di Livorno e la Regione, ma per l'intera nazione". Benvenuti nel mondo dell'assoluto. E avanti il prossimo. A quale necessità di salvaguardia dell'occupazione e della produzione si negherà ora di essere "assoluta"?

Il secondo elemento di confusione sta nel riproporre l'idea di nazionalizzazione. A parte la scarsa credibilità di vederla realizzata dal ministro-banchiere dello "sviluppo economico" (denominazione, a dire il vero, che oggi suona bizzarra ...), vi è il fatto che la minaccia di nazionalizzazione è un'arma spuntata in un'economia globalizzata, come ha dimostrato lo stesso caso francese così spesso evocato (ci riferiamo alla vicenda della contesa con Arcelor- Mittal in relazione al sito produttivo di Florange in Lorena). Ed è un'arma a doppio taglio perché rischia di allontanare o di non far avvicinare quei capitali internazionali che anche a Taranto oggi potrebbero offrire soluzioni. Saggiamente lo stesso segretario della Fiom, Landini, non è andato oltre la raccomandazione di  interventi, che pure consistano in assunzioni di partecipazione, ma che siano temporanei e "di accompagnamento".

Ammesso che una qualche forma di esproprio venga realizzata, poi, restano i problemi del costo di una gestione pubblica, che significa deviare sul mantenimento della presenza nazionale nella siderurgia risorse che potrebbero essere utilizzate altrove. E' questa la strategia industriale del governo attuale? E di quelli futuri? Lasciamo aperta la questione che sia o non sia una scelta saggia. Sarebbe utile che qualcuno però lo dicesse e se ne assumesse la responsabilità. Altrimenti quello che avremo (ed a cui stiamo assistendo) è l'affermarsi di una strategia de facto, di cui nessuno è politicamente responsabile.

Non ultimi vengono poi gli interrogativi che Guido Viale ha espresso su "Il Manifesto" del 4 dicembre scorso. Perché una nazionalizzazione dell'Ilva, nel senso di un esproprio della priorità, è solo un'azione punitiva (per quanto legittima) verso imprenditori inadempienti, ma non muta automaticamente il corso delle politiche aziendali, non garantisce la modernizzazione tecnologica, non realizza risultati di mercato. Dove sono le competenze imprenditoriali, manageriali e tecniche per realizzare ciò che si auspica? Siamo sicuri che alla fine non rispunti fuori da qualche angolo del capitalismo nazionale un altro salvatore - liquidatore - privatizzatore, generosamente sussidiato dalla mano pubblica?

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