
[14/12/2012] News
Deludente. E' il miglior aggettivo che possiamo affibbiare all'intervento dei ministri dell'Industria Ue pubblicato dal Sole24Ore. Deludente perché nell'esortare con ragione affinché sia l'economia reale il motore della crescita europea, evidentemente contro la deriva finanziaria degli ultimi anni, non si intravede alcun segnale di svolta verso una riconversione ecologica del settore.
Sul piano dell'analisi, infatti, dire che «Le economie emergenti, ad esempio, stanno diventando sempre più attori globali determinanti, capaci di modificare la struttura delle catene globali della creazione di valore e di accelerare un processo di ribilanciamento negli equilibri del potere economico. Questo quadro offre sfide, ma anche opportunità» è al giorno d'oggi ormai una banalità. Come lo è dire che «l'Europa ha bisogno ora più che mai che la sua economia reale guidi la ripresa attraverso una base industriale solida, rinnovata e moderna». Non che siano argomenti fuori luogo, tutt'altro, ma c'è bisogno di più e di meglio sul piano operativo per sbloccare la situazione.
Soprattutto se si afferma che «Le sfide attuali trovano un riscontro anche nella comunicazione della Commissione proposta dal vicepresidente Antonio Tajani su Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica. Questo documento orienta in modo chiaro i principali pilastri della politica industriale in senso pro competitivo, attraverso la promozione di condizioni di contesto più adatte agli investimenti in innovazione, migliori condizioni di mercato sia internamente che nella proiezione internazionale, mobilitando risorse finanziarie pubbliche e private, e valorizzando infine il capitale umano e le competenze».
Perché se è questo il punto di vista, che per l'appunto è anche in buona parte anche il nostro, quando si dice che «il Consiglio sulla competitività dovrebbe operare per promuovere una revisione costruttiva delle politiche europee orizzontali che hanno un impatto sulla competitività industriale. Queste includono le regole sul mercato unico, la concorrenza, il commercio, l'ambiente, la coesione, l'innovazione e le politiche di ricerca, così come il quadro che disciplina gli aiuti di Stato e le politiche settoriali», come si vede l'ambiente è solo una delle voci. Per nulla declinata sulle vere sfide che sono l'approvvigionamento di materie prime. Ovvero la scarsità di queste in Europa; il loro costo sempre più volatile per colpa della speculazione finanziaria, e non solo.
Tutti temi che nella comunicazione di Tajani ci sono e che qui invece vengono minimizzati, se non ignorati, come la necessità di rilanciare in tutta l'Ue il riciclo. L'unico solo link con l'ecologia, è al solito, «il settore dell'energia». Per il quale si specifica che «I policy makers possono affrontare questioni molto importanti su questo tema, come i costi energetici, completando il mercato interno dell'energia, assicurando la sicurezza degli approvvigionamenti e promuovendo di nuove fonti energetiche in modo sostenibile, sia da punto di vista finanziario che ambientale. Dobbiamo fare in modo che le nostre imprese manifatturiere non siano in svantaggio competitivo rispetto ai loro concorrenti internazionali».
Ma di fronte al cambiamento climatico può essere solo il problema dei costi della bolletta quello da porre per un rilancio dell'industria Ue? Di fronte alla scarsità di materie prime e al loro depauperamento, sarà o no un problema quello di innovare i processi produttivi sul piano della loro efficienza "ecologica"? Non è poi "industria" anche quella al servizio della manutenzione del territorio? Non è industria anche quella che produce manufatti derivati dalle raccolte differenziate (oltre che la naturale chiusura del cerchio delle stesse), che l'Ue stessa vuole con percentuali sempre più elevate? L'industria vero motore per l'Europa è quella interamente riconvertita all'ecologia, oppure non "muoverà" un bel niente.