[25/01/2013] News

L'ultima follia del fracking, l'estrazione di uranio nelle falde acquifere del Texas

Dopo gas e petrolio, la nuova frontiera della "fratturazione idraulica" alza l’asticella del rischio

L'Uranium Energy Corp (Uec) sta estraendo ossido di uranio, U3O8 (più noto come yellowcake): roba costosa, che serve per fare le bombe atomiche e il combustibile dei reattori nucleari. Per farsi un'idea, un barile da 55 galloni (e un peso di circa 1.000 libbre) sul mercato vale circa 50.000 dollari. Ma, mentre l'amministratore delegato di origine iraniana dell'Uec, Amir Adnani, spiega a Christopher Helman di Forbes cosa sta combinando in Texas con l'applicazione della tecnologia In Situ Recovery (Isr), al contempo confida di non vedere i dollari che fa uscire a palate dal terreno, ma il futuro dell'America: «Gli Stati Uniti fanno più affidamento su fonti estere di uranio che su fonti estere di petrolio».

In realtà la South Texas Regional Strategy dell'Uec punta a sfruttare fino all'ultimo grammo le risorse della South Texas Uranium Belt. L'Uec controlla un portafoglio di progetti uraniferi lungo la cintura dell'uranio texana, tra i quali il Palangana in-situ recovery project, dove a dicembre è stata avviata l'estrazione, e il progetto Isr Goliad che è in fase autorizzativa per la produzione. La compagnia ha anche una concessione con licenza per l'impianto di trasformazione Isr di Hobson, fondamentale per tutti i suoi progetti in South Texas perché con un unico impianto di trasformazione elimina la necessità di costruire impianti in loco per ogni progetto.

La Texas Uranium Belt si estende per circa 300 miglia tra il Texas meridionale e centrale e nasconde significative risorse di ossido di uranio che l'Uec vuole estrarre utilizzando la tecnica a basso costo in-situ recovery.  Ma di cosa si tratta? Attualmente l'Isr rappresenta circa il 30% delle produzione mondiale di uranio nei distretti in cui sono presenti giacimenti di uranio che soddisfano requisiti geologici molto specifici, tra i quali  la presenza di arenaria permeabile. L'Uec sottolinea che per la compagnia «Lo sviluppo di progetti uraniferi Isr percorribili è strategico poiché questo metodo di estrazione dell'uranio richiede generalmente minori capitali e costi operativi tempi di realizzazione e per ottenere i permessi più brevi rispetto ai metodi convenzionali di estrazione di uranio».

L'Uec propaganda addirittura il procedimento Isr come «Il metodo più ecologico per estrarre uranio perché  sostanzialmente inverte gli avvenimenti naturali che hanno depositato l'uranio nella roccia di arenaria». In realtà si tratta di fratturazione idraulica, il contestatissimo fracking, che invece che estrarre gas o petrolio dagli scisti, estrae uranio dalla sabbia. Infatti per portare in superficie lo yellowcake viene iniettata a pressione nel sottosuolo una miscela di acqua  "fortificata" con ossigeno gassoso che raggiunge il giacimento di uranio attraverso una rete di pozzi di iniezione. La soluzione dissolve l'uranio contenuto nell'arenaria. La "uranium-bearing solution" così prodotta viene recuperata dai pozzi di produzione e quindi pompata fino alle colonne di recupero di scambio ionico. L'insieme si chiama "Wellfield". Il successivo processo di scambio ionico rimuovere l'uranio dalla soluzione Wellfield e lo "carica" su milioni di perle di resina sintetica. Il tutto viene trasportato ad un impianto di trattamento per la decolorazione, filtrazione, essiccazione e confezionamento in yellowcake commerciabile.

Sembrerebbe una manna per le 104 centrali nucleari Usa (che producono meno del 20% dell'elettricità del Paese). Intorno ai primi anni ‘80 gli Usa erano il più grande produttore di uranio del mondo: circa 43 milioni libbre all'anno sufficiente a produrre tutto il carburante nucleare necessario al suo nucleare civile e militare. Ma attualmente la produzione di uranio Usa è calata a 4 milioni di libbre all'anno ed il suo più grande fornitore, la Russia sta tagliando le esportazioni. Negli ultimi 20 anni Washington ha comprato da Mosca 20 milioni di libbre all'anno di uranio derivante dallo smantellamento dell'obsoleto arsenale nucleare sovietico. Ma nel 2013 terminerà il programma Megatons to Megawatts da 8 miliardi di dollari e gli Usa pensano di colmare il vuoto dei rifornimenti con la crescente produzione del Kazakhstan (39 milioni di libbre all'anno), del Canada (18 milioni) e dell'Australia (12 milioni). Ma queste risorse sono sempre più richieste dalla Cina che ha 15 reattori nucleari operativi, 26 in costruzione e ne prevede(va) altri 100. E' per questo che la lobby nucleare preme per dare il via al fracking Isr dell'uranio per farsi lo yellowcake autarchico.

Ma anche in uno Stato come il Texas, molto favorevole al fracking per lo shale gas e il petrolio e dove le preoccupazioni per l'ambiente e la salute non sono certo all'ordine del giorno, i dubbi e le paure aumentano. Il fracking dell'uranio avviene meno in profondità di quello dello shale gas: tra i 400 e gli 800 piedi, mentre il fracking degli idrocarburi raggiunge le due miglia. «Come progetto è molto peggio del fracking - ha detto a Forbes  Jim Blackburn, un avvocato di Huston che ha citato in giudizio l'Uec a nome delle famiglie residenti vicino all'Isr di Goliad - Questa è la contaminazione intenzionale di una falda acquifera che libera non solo uranio ma altri elementi che sono legati alla sabbia. Sappiamo che questo processo contamina le acque sotterranee, è proprio questo il punto».

La risposta di Adnani per l'Uec ha dell'incredibile: «Stiamo facendo un favore all'ambiente. Stiamo togliendo una sorgente radioattiva dalla falda acquifera che non ci sarà più per le generazioni future. L'acqua è già inquinata. L'uranio è così vicino alla falda che i sottoprodotti come il radio e il radon sono già nell' acqua. Stiamo pompando acqua dalle falde acquifere inquinate e reimmettiamo acqua meno radioattiva». Da non crederci, visto che lo stesso Adnani dice a Forbes che nell'intero processo Isr non sono coinvolti materiali radioattivi... Ma l'imprenditore minerario di origine iraniana è un tipo da prendere con le molle. Fino ad ora sua carriera più che nell'industria estrattiva è stata nel marketing e nelle speculazioni in borsa, ed è disseminata di aziende di grandi speranze che hanno chiuso i battenti ed hanno lasciato gli investitori con le tasche vuote.

Ai texani piacerà anche il fracking di gas e petrolio, ma sanno bene che dagli anni '50 fino ai primi anni '80 grandi multinazionali come Union Carbide, Exxon, Chevron, Conoco e US Steel hanno estratto l'uranio nel sud del Texas per vendere l'uranio del quale l'apparato militare Usa aveva tanto bisogno durante la guerra fredda e che hanno fatto un disastro: miniere a cielo aperto, scorie, bacini artificiali pieni di fanghi tossici ed acidi. La miniera di uranio di Karnes County è stata classificata come "Superfund site" perché troppo contaminata. Il Department of Energy ammette che un impianto di lavorazione dell'uranio dismesso vicino a Falls City è pericolosissimo  perché pieno di «Contaminanti potenzialmente preoccupanti come cadmio, cobalto, fluoro, ferro, nichel, solfato e uranio». Anche l'impianto di processamento di Panna Maria (vicino all'impianto di Hobson dell'Uec), che era gestito dalla Chevron che poi lo ha alla General Atomics, un contractor del ministero della difesa Usa, che avrebbe dovuto bonificarlo, secondo la Nuclear regulatory commission reports «Resta una questione in sospeso» per quanto riguarda la contaminazione delle acque sotterranee.

Anche il sito principale dell'Uec, Palangana, ha avuto i suoi guai. Le riserve di uranio di Palangana sono state scoperte negli anni '50. Nel 1958 la Union Carbide ha tentato di aprire la prima miniera sotterranea, ma ha dovuto abbandonare tutto per gli alti livelli di idrogeno solforato. La Union Carbide ci ha riprovato nel 1967, con le allora modernissime  tecniche di in situ recovery, trivellando migliaia di pozzi. Ma invece di usare acqua ossigenata per sciogliere l'uranio, la multinazionale iniettò ammoniaca che reagì male con l'argilla. I ricavi erano deludenti e nel 1980 la Union Carbide ha venduto Palangana alla Chevron - che pensava di farci una miniera a cielo aperto - ma negli anni '80 i prezzi dell'uranio calarono e nel 1991 la Chevron ha venduto Palangana alla solita General Atomics che ci ha messo anni per cercare di bonificare le falde sotterranee, fino a che la Texas commission on environmental quality non gli ha dato l'autorizzazione a chiudere la vicenda anche se i livelli di radioattività e di inquinamento erano ancora superiori rispetto a prima dell'inizio delle fallimentari attività estrattive.

Nel 2009 l'Uec ha acquisito Palangana e l'impianto di Hobson dall'Everest Exploration e da Uranium One  per 1 milione di dollari e 2,7 milioni di azioni, quindi un valore di 10 milioni. Da allora ha investito più di 10 milioni di dollari per bonificare un altro sito dell'Everest  nelle vicinanze e per costruire a Palangana una nuova pericolosissima generazione di fracking dell'uranio per rifornire un ipotetico rinascimento nucleare statunitense.

Gli allevatori dell'area sono molto preoccupati e fanno bene a esserlo: a Goliad l'uranio si trova a soli 400 metri di profondità, proprio all'altezza della falda che rifornisce l'acqua potabile per uomini e bestiame e l'acqua è sempre più scarsa. Ma c'è anche un'altra cosa che preoccupa: uno studio del 2009 dell'U.S. Geological Survey sulle  Texas in situ mines ha stabilito che le falde acquifere vicine ai giacimenti di uranio hanno un alto contenuto di cadmio, piombo, selenio, radio ed uranio. Il fracking potrebbe spingere questi pericolosi inquinanti nel cuore delle falde e rendere inutile ogni bonifica fatta.

La posta in gioco è alta: l'impianto di Hobson potrebbe produrre un milione di libbre di minerale all'anno, cinque volte di più di ora. Con il progetto Goliad e una manciata di altre iniziative, l'Uec punta ottenere a 3 milioni di libbre all'anno prima della fine del decennio. Adnan è convinto che «Anche dopo Fukushima c'è un boom edilizio nucleare in tutto il mondo. E anche se non andranno in linea nuovi reattori, la domanda supererà l'offerta». Negli Usa infatti la lobby nucleare è di nuovo al lavoro nonostante Fukushima. La Tennessee Valley Authority sta costruendo un nuovo reattore a  Bar Watts; Scana ne sta costruendo in South Carolina, mentre la Georgia Power, sta realizzando altri 2 reattori a Vogtle.

Ma la retorica nazional-nuclearista dell'Uec non convince nemmeno analisti come Jonathan Hinze di Ux Consultants, che spiega: «I reattori vengono riforniti solo una volta all'anno, perciò le forniture non hanno bisogno di venire da luoghi vicini. Inoltre, compratori e venditori di uranio hanno programmato da lungo tempo la fine del programma Megatons to Megawatts. Anche se i prezzi triplicassero rispetto a quelli odierni, questo non avrebbe un impatto sulla bottom line delle utilities perché il carburante è solo una piccola parte del loro costo di esercizio. E a questi prezzi più elevati Canada, Kazakistan ed Australia potrebbero fornire molto più uranio. Gli Stati Uniti non sono benedetti alle stesse risorse».

Per l'avvocato Blackburn ed i suoi assistiti,  l'idea che una piccola impresa corsara giochi d'azzardo con le falde  sotterranee che riforniscono l'acqua ad un'intera regione sembra a dir poco folle: «Non c'è altra fonte di acqua qui a parte delle acque sotterranee. Come si può fare una miniera all'interno di una falda di acqua potabile?» Eppure sta succedendo. Nel dicembre 2012 l'Uec ha ottenuto l'ultimo permesso di cui aveva bisogno: una deroga per l'acquifero dalla Environmental protection agency. Il fracking a Goliad è iniziato, l'Uec ha affittato più di 20.000 acri nella zona e prevede di produrre uranio entro la fine di quest'anno.

Torna all'archivio