[06/02/2013] News

L'Italia che frana: un dissesto idrogeologico da 30mila kmq

La "società civile" si mobilita e chiede a gran voce l'intervento della politica

I numeri sul dissesto idrogeologico in Italia che vengono di solito ricordati dopo gli eventi calamitosi, spesso drammatici, sono eloquenti nel definire la dimensione del problema: 6.633 i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l'82% del totale; una fragilità che risulta particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta e nella provincia di Trento, dove il 100% dei comuni è classificato a rischio, subito seguite da Marche e Liguria (col 99% dei comuni a rischio) e da Lazio e Toscana (col 98%); superficie delle aree ad alta criticità geologica che si estende per 29.517 Kmq, il 9,8% del territorio nazionale; in Italia oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni.

A fronte di questi dati la cosiddetta società civile ha deciso di muoversi:  Legambiente, Coldiretti, Anci, i Consigli nazionali dei geologi, architetti, dottori agronomi e forestali, ingegneri, geometri, Inu, Ance, Anbi, Wwf, Touring Club Italiano, Slow Food Italia, Cirf, Aipin, Sigea, Aiab, Tavolo nazionale dei contratti di fiume Ag21 Italy, Federparchi, Gruppo 183. hanno organizzato la "Conferenza nazionale sul rischio idrogeologico".

L'obiettivo è quello di accendere l'attenzione della politica su questo tema, sottoponendo le proposte che usciranno dalla Conferenza ai candidati alle prossime elezioni e al nuovo governo, in modo da poter affermare da subito un'adeguata politica di prevenzione e di governo del territorio.

«E' ora che la campagna elettorale affronti il tema delle grandi emergenze del paese, che non sono purtroppo riducibili solo alla pressione fiscale, al debito e allo spread- ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza- Il 2012 si è concluso con un importante monito per chi governa il nostro Paese: le conseguenze dei cambiamenti climatici costituiscono un fenomeno da cui non si può più prescindere. L'elevata frequenza di questi fenomeni e un territorio sempre più vulnerabile causano ogni anno ingentissimi danni in termini sociali, ambientali e purtroppo anche di vite umane. Solo per far fronte alle spese di somma urgenza e per le emergenze causate dagli eventi avvenuti nel triennio 2009-2012, abbiamo speso oltre 1 milione di euro al giorno, per un totale di circa 1 miliardo (ma i danni contabilizzati sono il triplo delle risorse stanziate)».

Di prevenzione però non si parla e sono pochi gli interventi realizzati. Da  un'analisi degli interventi attuati e finanziati fino ad oggi elaborata da Legambiente, risulta che negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli interventi di prevenzione disposti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino (Pai), per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro. «Nel frattempo sul territorio continuano a scaricarsi scelte irresponsabili e latitano politiche di inversione di tendenza, basta pensare che nel 31% dei comuni a rischio insistono interi quartieri in aree ad alto rischio idrogeologico, e che finora solo il 4% delle abitazioni ed il 2% delle industrie situate in queste aree è stato delocalizzato- ha aggiunto Cogliati- In Italia continua a proliferare una sorta di "industria della riparazione" mentre manca quella della prevenzione. Eppure una buon piano strategico per la mitigazione del rischio idrogeologico rappresenta un grande volano per sviluppare la green economy, l'innovazione tecnologica, nuove politiche di gestione del suolo e delle foreste che darebbero un contributo sostanziale alla riduzione delle emissioni di CO2 e allo sviluppo delle aree interne, a vantaggio del riequilibrio territoriale del paese».

Il messaggio principale che viene dalla conferenza attualmente in corso,  è che le politiche per la mitigazione del rischio idrogeologico non si possono limitare all'attuazione di interventi puntuali. Serve un'azione nazionale di difesa del suolo che rilanci, come peraltro previsto dalle direttive europee, il bacino idrografico come elemento base per un adeguato governo del territorio, per riprogettare un'azione urgente, efficace e concreta per la mitigazione del rischio, la prevenzione e l'avvio di un'efficace azione di rinaturazione diffusa. E' necessario, ribadiscono i promotori, stabilire strumenti e priorità d'intervento e risorse economiche adeguate, senza dimenticare una necessaria attività di informazione e formazione dei cittadini su questi temi. Tra l'altro l'attuazione di questo percorso non solo produrrà un beneficio in termini di sicurezza, ma anche come rilancio occupazionale ed economico dei territori. Infatti, per attivare questi programmi è necessario un supporto tecnico qualificato e diffuso localmente, prevedendo la possibilità di attivare l'intervento anche di addetti del settore agricolo e forestale, piuttosto che dell'edilizia con la possibilità di creare nuova occupazione. «Con la Conferenza nazionale di oggi parte un percorso di lavoro con tante organizzazioni che condividono proposte concrete ed attuabili che porremmo all'attenzione dei candidati premier ed immediatamente dopo al nuovo governo. Oltre ai meccanismi per trovare le risorse necessarie occorre un forte intervento di semplificazione della giungla di piani territoriali, che a diverso titolo, ad oggi dovrebbero sovrintendere alla pianificazione territoriale, ed un altrettanto efficace controllo tecnico-scientifico sulla tipologia di interventi che si propongono, per evitare quelli dannosi e controproducenti che ancora abbiamo visto attuare in questi anni» ha concluso il presidente di Legambiente. L'Istituto nazionale di urbanistica con il presidente Federico Oliva, presidente dell'Inu, ha ribadito «la necessità e l'urgenza della legge nazionale sui principi del governo del territorio, a proposito della quale il Parlamento è inadempiente dal 2001, una legge indispensabile per orientare e coordinare adeguate politiche nazionali, per coordinare e rendere più forte l'attività legislativa delle Regioni, per costruire un modello di piano più efficace, fondato su conoscenze scientifiche e scelte conseguenti, in particolare sui temi della Conferenza, non negoziabili dalla politica e di piena responsabilità dei tecnici».

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