[08/02/2013] News toscana

Ancora sul Paer, giuste le critiche di Legambiente Toscana

Le osservazioni di Legambiente alla proposta di Paer colpiscono nel segno. Il Piano appare infatti figlio di una logica che potremmo definire quantomeno timida, se non rinunciataria. Anzi, anche contraddittoria, perché da una parte ha finalità ambientali, dall'altra limita fortemente uno sviluppo ambientale.

E' evidente infatti che in tema di energie rinnovabili, nel Paer dominano i divieti in funzione di una valenza paesaggistica che viene assunta aprioristicamente. Stabilire che impianti fotovoltaici a terra e impianti eolici non sono ammessi in tutte le zone sottoposte a vincolo paesaggistico per decreto (e  ciò vale anche per le aree tutelate ai sensi della legge 431) significa infatti un secco divieto che non tiene conto, il più delle volte, delle reali caratteristiche di queste aree tutelate. Cioè, si ritiene, in modo del tutto erroneo (per semplice sottovalutazione dei fenomeni o per autoincensamento quali rigorosi custodi della tutela), che quei territori dal momento dell'emanazione del decreto di tutela siano rimasti identici: è questa una assurdità per definizione, e ciò basterebbe. Ma non è così, basta fare un giro sul territorio, confrontare l'oggi con le foto di 20, 30, 50 anni fa, per capire che non è così,quindi  insistere appare una rinuncia, anche al riordino del territorio. 

Analogamente, leggere che gli stoccaggi per gli impianti a biomassa devono essere realizzati prevalentemente in legno, con edifici con tetto a due falde per "assimilarsi" agli edifici tradizionali, significa guardare al passato, rinunciare alla modernità, dichiarare che sussiste l'impossibilità attuale di produrre architettura.

Questi sono piccoli esempi, ma forse non tanto, che sembrano però denunciare una condizione culturale, un difficoltà propria del soggetto proponente, da cui può uscire solo un arretramento della Toscana.

Non si vuole difendere aprioristicamente l'architettura moderna o l'innovazione, anche se spesso ne ricorrerebbero fondati motivi, ma si vuole invitare il legislatore ed il pianificatore regionale ad una attenta valutazione, sia delle condizioni di fatto del territorio che delle motivazioni e ragioni che quelle condizioni hanno prodotto, per una attenuazione della forma assertiva dei propri atti, che ormai appaiono sempre meno piani partecipati e concertati e sempre più disposizioni - diciamo così - "luogotenenziali".

Si è ben consci della pressione mediatica esercitata da comitati ed altri soggetti in materia di paesaggio, ma non si può avvallare che qualsiasi cosa venga realizzata sia uno scempio, che bisogna ricondurre il controllo delle trasformazioni a forme centralistiche perché queste sono aliene, per definizione (?) da condizionamenti locali e per loro natura di garanzia. 

Anche perché è sempre bene ricordare sia che, da una parte, i piani urbanistici sono stati approvati dal ministero dei Lavori pubblici e quindi dalla Regione fino alla legge 1 del 2005, e quindi che se tutto il disastro toscano fosse avvenuto da quel fatidico gennaio 2005 sarebbe veramente una tragedia, sia che, dall'altra parte, i progetti di quanto ritroviamo sul territorio sono stati regolarmente approvati dalle soprintendenze. Ci sarebbe poi da discutere della permanenza di reali competenze in materia in capo ad organismi centrali regionali e del Mibac, ma qui ci inoltreremmo in ben altra discussione.

Quindi  dice bene Legambiente sul Paer, ma quelle critiche hanno senso compiuto se si spalmano su metodi e contenuti di un po' tutta la pianificazione regionale, e non si sfugge alla sensazione che sia ormai invalsa una sorta di tendenza all'autolimitazione. 

Può essere una scelta saggia, ma può essere anche e soprattutto una palese dimostrazione di mancanza di coraggio, di paura dell'innovazione: paura che, in una fase di crisi e di incerte prospettive, appare però poco giustificata.

Insomma, talvolta si ha la sensazione che qualcuno abbia interesse ad un ritorno alla "Toscana felix" dei bei casali recuperati per il "buen ritiro", un modello che si è dimostrato solo in parte sufficiente per "tenere insieme" territorio, ambiente, paesaggio, e un modello che ha incentivato una Regione di osti, ristoratori e magari di gestori di una sorta di residenza assistita diffusa, con conseguente trasando di tradizioni industriali e artigianali anche prestigiose, come ci racconta bene la vicenda della Ginori.

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