[26/02/2013] News toscana

Urbanistica: giusta una riforma della Legge 1 del 2005, ma in nome di chi e di che cosa?

La Giunta regionale ha avviato un percorso per superare problematicità o difetti della LRT.1/2005. La prima proposta è una vera e propria riscrittura che cambia contenuti, procedure, competenze fissati nella Legge 1 del 2005.

Allo stato dei fatti passare a discutere di aspetti tecnico giuridici, di piano operativo invece che di regolamento urbanistico, di modalità di approvazione (regionale?) di tutti gli strumenti, della riduzione a due fattispecie del territorio (territorio urbanizzato e territorio non urbanizzato), senza passare dalla definizione di un indispensabile presupposto politico, per cosa si fa e per chi si fa la legge, può risolvere la riforma solo in una burocratica riassegnazione, conquista o perdita di poteri e competenze.

Cioè non si può sostituire la vera necessità politica, quella della messa in discussione di un modello di sviluppo in essere e della definizione di un nuovo modello adeguato agli esiti della crisi economica internazionale e locale ove cittadini ed imprese sono sfiancati dal declino di asset tradizionali (il caso più clamoroso è Siena, ma non è l'unico).

Ci domandiamo cioè dove stia la sostanza politica di questa rielaborazione, quali siano gli obiettivi e i referenti sociali. Fino ad oggi sembra emergere che l'obiettivo è limitare in modo rigoroso il consumo di suolo; suolo che, se non urbanizzato, sarà utilizzabile solo se l'obiettivo della trasformazione è la realizzazione di attrezzature o infrastrutture pubbliche, insediamenti produttivi e centri commerciali (sic!?).

I referenti sociali della riforma sembrano invece i comitati, un arcipelago variegato di ceti borghesi e professionali, di vasta e diversa provenienza e connotazione politica, che sembrano voler assumere il ruolo di censori e controllori, autoassegnandosi anche quello di custodi degli interessi generali.
Tutto questo non sembra sufficiente per una prospettiva di governo progressista e riformista e di sinistra. Non dico che bisogna chiarire dove sta in questo contesto la classe operaia, che se esiste sicuramente sta male, purtroppo, ma quel vasto campo di ceti produttivi dipendenti, di imprenditori, professionisti, commercianti, a cui sono state fatte "annusare" le potenzialità e funzionalità per la crescita delle trasformazioni edilizie ed urbanistiche, ma che oggi la crisi rigetta indietro senza soluzioni.

La reazione dei comuni e delle province alle proposte di riforma che sono state sin qui avanzate, appare tiepida, improntata alla difesa di proprie responsabilità ed autonomia che discendono dal titolo quinto della Costituzione, dobbiamo sperare non sia figlia di equilibrismi politici, ma di una riflessione più ampia su ruoli e responsabilità dei comuni, su finalità ed obiettivi della legge, quindi sugli strumenti che va portata in superficie.

Solo per fare due esempi si citano due sensazioni figlie di una prima lettura della proposta di legge: è inconsistente la netta classificazione secondo due categorie il territorio, quello rurale e quello urbanizzato, senza adeguati strumenti e procedimenti, senza impegni finanziari selettivi, cioè se poi si rimane ancorati al vecchio PMAA affidandosi allo spontaneismo; non appare una politica per gli insediamenti esistenti finalizzata, al recupero, alla riqualificazione urbanistica ed edilizia di questi, supportata da incentivi per consentire il passaggio da una edilizia energivora e di scarsa qualità tecnologica ed architettonica, ad una bioedilizia, ad una edilizia non energivora in ossequio alla Direttiva U.E 31/2010 - , "verde" ed architettonicamente rinnovata. Cioè una politica che consenta un vasto campo di investimenti, di utilizzazione di prodotti innovativi, ed alta intensità di mano d'opera.
Ricordare che la legge 457 del 1978 fu l'approdo delle lotte per la casa e per la riqualificazione dei centri storici (che in Toscana culminò con la legge 59 del 1980), determinò la riscoperta dell'identità profonda e diffusa della regione, cioè fu l'approdo di un percorso politico e culturale e non un esercizio romantico di riscoperta delle radici, un scelta di politica economica risultata vincente almeno per un quarto di secolo, in cui la sinistra di governo della Toscana costruì se vogliamo un suo mito e carattere distintivo apprezzato ben oltre i propri confini, appare perciò utile.

Per questo si ritiene di sostenere la necessità di una discussione politica prima che tecnica, per questo si ritiene che si debba andare oltre quello che sembra una rapporto cristallizzato con ceti borghesi (illuminati?) dei comitati che di fatto sembrano animati da spirito conservatore nel momento stesso in cui ci si ferma alla soglia dell'impedire, mentre per il fare si vedrà, riducendo così la conservazione, che potrebbe anche essere una categoria rivoluzionaria, ad una pratica di tutela dell'esistente in termini territoriali ed anche sociali ed economici.

Ma non sembra questo il bene comune e l'obiettivo di un governo riformista.

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