[01/03/2013] News

La biosfera non è al punto di non ritorno. Il catastrofismo non serve a salvare l'ambiente

Gli ecosistemi dei continenti non sono sufficientemente interconnessi perché possa avvenire un’improvvisa catastrofe globale

Un team di internazionale di scienziati (provenienti da Usa, Australia e Gran Bretagna) ha respinto l'idea che il nostro pianeta possa dover affrontare un cambiamento improvviso ed ecologicamente irreversibile a causa di  pressioni prodotte in gran parte dalle attività antropiche. Lo studio Does the terrestrial biosphere have planetary tipping points? pubblicato oggi da Trends in Ecology & Evolution suggerisce che  «Queste trasformazioni globali è più probabile che si verifichino nel corso di un lungo periodo di tempo». I risultati sono in gran parte diversi da quelli di studi precedenti, che mettevano in guardia sul fatto che le pressioni ecologiche - compresi i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e l'eccessivo sfruttamento delle risorse - potrebbero portare il pianeta verso un pericoloso "punto di non ritorno". Secondo il nuovo rapporto, invece, gli ecosistemi di diversi continenti non sono sufficientemente interconnessi perché possa un tale un passaggio globale. 

Secondo uno degli autori dello studio, Erle Ellis del Geography and environmental systems dell'università del Maryland di Baltimora, anche se ben l'80% della biosfera comprende ecosistemi che sono stati danneggiati dalle attività umane, i grandi cambiamenti ecologici innescati da queste pressioni antropiche «Dipendono da circostanze locali e quindi differiscono tra località.  Questa realtà dovrebbe incoraggiare le comunità a perseguire soluzioni di salvaguardia appropriate a livello locale e regionale, piuttosto che essere distratte da proiezioni di "morte e distruzione" su scala globale».

Quindi, per il team di scienziati guidati da Barry W. Brook dell'Environment institute and school of Earth and environmental sciences dell'università di  Adelaide non esiste uno scenario simile al giorno del giudizio, improvviso e irreversibile, per l'ecologia della Terra. Punti di non ritorno ecologici su scala globale «Sono improbabili», e «il cambiamento ambientale su grandi aree sembra seguire un più graduale andamento costante». Cosa molto diversa dalla teoria dei "planetary tipping points": livelli critici di perdita di biodiversità e di cambiamento d'uso dei suoli, il cui superamento avrebbe un effetto globale, con importanti implicazioni per la scienza ed i policy-makers. Gli scienziati hanno esaminato quattro driver principali del cambiamento dell'ecosistema terrestre - i cambiamenti climatici, l'uso del suolo, i cambiamenti e la frammentazione degli habitat e la perdita di biodiversità  - ed hanno trovato che probabilmente non possono indurre punti di non ritorno globali.

Secondo Brook, «Questa è una buona notizia, perché ci dice che potremmo evitare lo scenario doom-and-gloom  di un brusco e irreversibile cambiamento. Focalizzarsi sui punti critici planetari può distoglierci sia dalle vaste trasformazioni ecologiche che si sono già verificate che portare ad un fatalismo ingiustificato sugli effetti catastrofici di punti di non ritorno. Mettere l'accento sul punto di non ritorno non è particolarmente utile per realizzare le azioni di conservazione delle quali abbiamo bisogno. Dobbiamo continuare a cercare di ridurre il nostro impatto sull'ecologia globale, senza dare un'eccessiva attenzione al tentativo di evitare soglie arbitrarie».

Un punto di non ritorno si verifica quando un attributo dell'ecosistema, come l'abbondanza di specie o lo stoccaggio  del carbonio, rispondono rapidamente e forse irreversibilmente ad una pressione umana, come il cambiamento di utilizzo del territorio e il cambiamento climatico. Molti ecosistemi locali e a livello regionale, come laghi e praterie, hanno reagito in questo modo, con collassi ambientali rapidissimi. Gli stessi autori ammettono che un punto di non ritorno planetario potrebbe teoricamente verificarsi se gli ecosistemi di tutta la Terra rispondessero in modo simile alle stesse pressioni umane, o se ci fossero forti legami tra i continenti che consentissero una rapida diffusione degli impatti in tutto il pianeta. «Questi criteri, tuttavia, è molto improbabile che possano essere soddisfatti nel mondo reale. In primo luogo, gli ecosistemi dei diversi continenti non sono strettamente connessi. In secondo luogo, le risposte degli ecosistemi alle pressioni umane, quali il cambiamento climatico o il cambiamento d'uso dei terreni, dipendono dalle circostanze locali e quindi differiscono tra località».

Ellis conclude: «Dato che fino a quattro quinti della biosfera sono oggi caratterizzati da ecosistemi a livello locale, che nel corso dei secoli e dei millenni hanno subito cambiamenti di sistema di uno o più tipo indotti dall'uomo, riconoscere questa realtà e ricercare azioni di conservazione appropriate a livello locale e regionale potrebbe essere un modo più fruttuoso di far progredire l'ecologia e la scienza del cambiamento globale». 

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