[22/03/2013] News

State of the world 2013: la sostenibilità è ancora possibile?

Il nuovo studio del Worldwatch Institute e il caso del movimento Gwwc

I consumatori si trovano sempre di più di fronte a offerte "sostenibili", ad attività "green" e a prodotti low carbon, ma secondo al rapporto State of the World 2013: Is Sustainability Still Possible? del Worldwatch Institute «Con così tante cose etichettate come "sustainable", il termine è diventato essenzialmente "sustainababble": nel migliore dei casi indica una pratica od un prodotto un po' meno dannoso rispetto all'alternativa convenzionale. E' tempo di abbandonare del tutto il concetto, o possiamo trovare un modo preciso per misurare la sostenibilità? Se è così, come lo possiamo ottenere? E se no, come possiamo prepararci al meglio per il declino ecologico che verrà?

Nel nuovo progetto del Worldwatch Institute, scienziati, esperti di politica e maître à penser affrontano queste domande, cercando di ridare un senso alla sostenibilità, per andare oltre al semplice strumento di marketing: State of the World 2013, in più di 30 articoli, analizza questi temi in modo approfondito.

Robert Engelman, presidente del Worldwatch Institute, riprende quanto detto da Gro Bruntland, l'ex premier norvegese e "inventrice" del concetto di sviluppo sostenibile, quando dice che le società non si arrischiano a  mettere in atto «Politiche e programmi che favoriscano il futuro (o la vita non umana) a scapito delle persone che vivono nel presente, e tutti coloro che oggi sono in stato di povertà. Mentre gli ambientalisti in tutto il mondo lottano per dare alle generazioni future e nel contempo proteggono quella attuale, si trovano inoltre ad affrontare le critiche di elitismo. E' problematico sostenere che la prosperità per tutti coloro che sono in stato di povertà dovrebbe avere meno importanza davanti alla necessità di proteggere le prospettive di sviluppo delle generazioni future. A meno che, forse, che non si sia disposti a prendere i voti di povertà».

Ma se i voti di povertà possono essere una soluzione estrema, il voto di parsimonia potrebbe essere necessario: nel novembre del 2009, Toby Ord, un professore dell'università di Oxford, si è impegnato a dare in beneficienza tutto quello guadagnava sopra le 20.000 sterline, poi ha fondato Giving What We Can (Gwwc), un'organizzazione basata sul vivere sostenibile e sul donare il surplus.

Alla base del movimento Gwwc c'è questo generoso ragionamento: «Riconosco che posso usare parte del mio reddito per fare una notevole quantità di bene nel mondo in via di sviluppo. Dal momento che posso  vivere abbastanza bene con un reddito più piccolo, mi impegno, da oggi fino al giorno in cui andrò in pensione, a dare almeno il 10% di quello che guadagno a quelle organizzazioni che possono più efficacemente utilizzarlo per aiutare le persone nei Paesi in via di sviluppo. Prendo questo impegno liberamente, apertamente, e senza rimpianti».

L'esempio di Ord è stato seguito subito da 280 persone ed ha prodotto aiuti per 108 milioni di dollari. Il Gwwc è  diventato particolarmente popolare nei campus universitari, nonostante la maggior parte degli studenti abbia pochi soldi in surplus da dare. Per andare incontro alla grande adesione degli studenti (che rappresentano oltre il 40% dei contributi Gwwc), si chiede loro l'1% del loro reddito fino alla laure: può sembrare poco, ma dimostra il grande interesse delle giovani generazioni dei Paesi ricchi verso la solidarietà e la giustizia ambientale e sociale nel resto del mondo.

Oltre a rappresentare un'iniziativa che ci riconcilia con l'umanità, il Gwwc rafforza le Ong e le obbliga a scegliere meglio metodi ed obiettivi, e a rendere conto dei loro investimenti grazie a metodologie di valutazione. Le Ong infatti forniscono beneficenza in base agli interessi dei donatori, che vanno dalla salute all'educazione, dal cambiamento climatico alla responsabilizzazione economica.

Il movimento Gwwc non dona a seconda del prestigio di questa o quella sigla, ma guarda a come concretamente spende i finanziamenti, e stila una sorta di classifica delle organizzazioni più efficaci ed efficienti.

Ma il Gwwc pare troppo concentrato sulla sanità e trascura così quelle Ong che lavorano ad un vero cambiamento sistemico: «La loro metodologia si concentra sul rapporto costo-efficacia - dice Engelman - e gli studi dimostrano che le iniziative sul cambiamento climatico, per esempio, sono molto meno convenienti  rispetto all'iniziative per la salute. Per fortuna, il Gwwc ha capito che - per raggiungere una reale sostenibilità - deve avvenire un cambiamento sistemico, e continuano ad investire sul cambiamento climatico, sul potere politico, l'educazione e su  altri settori che possono essere non convenienti, ma che sono necessari per garantire uno sviluppo sostenibile futuro».

Engelman fa notare, che concentrarsi sulle nuove generazioni e sul futuro del pianeta - nel quale la nostra  sicurezza attuale non sarà garantita - rappresenta un dilemma etico, ma «Per le generazioni più giovani, però, proteggere il loro futuro non è solo pratico, ma necessario. Se saremo in grado di svilupparci entro limiti sostenibili, gli esseri umani potranno prosperare accanto all'ambiente.  Per sopravvivere, potremmo però anche ritrovarci a relazionarci a calci e urla con gli altri e con il mondo intorno a noi. Tuttavia, l'iniziativa di Ord ci offre una possibile alternativa nella quale non ci trascineremo scalciando e urlando, ma dove sapremo consapevolmente e coscienziosamente prendere le misure necessarie per vivere all'interno delle capacità del nostro unico pianeta in pericolo».

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