[26/03/2013] News
L’Italia figura nel penultimo gruppo, quello degli “innovatori moderati”
L'edizione di quest'anno del quadro di valutazione dell'innovazione ci permette di misurare, per la prima volta, gli effetti della crisi economica sulle realtà della ricerca e dell'innovazione in Europa. I risultati non sono positivi. La crisi economica ha avuto un impatto negativo sulle attività di innovazione in alcune regioni d'Europa, con conseguenze gravi per la crescita. Se vogliamo mantenere la nostra competitività globale - non mi stancherò mai di ripeterlo - dobbiamo puntare soprattutto sulla qualità, non solo sulla quantità.
Abbiamo bisogno, quindi, di prodotti e servizi innovativi, di imprenditori creativi e di un'industria altamente concorrenziale. Se andiamo a vedere nel dettaglio i dati di quest'anno possiamo concludere che: 1) Tra i paesi leader dell'innovazione: la Svezia si conferma al primo posto, seguono Germania, Danimarca e Finlandia. Sono questi i quattro paesi più innovativi dell'Ue. 2) Segue un secondo gruppo, quello dei paesi che tengono il passo dell'innovazione, con risultati superiori o vicini alla media UE. Tra cui: Paesi Bassi, Lussemburgo, Belgio, Regno Unito, Austria, Irlanda, Francia, Slovenia, Cipro ed Estonia. 3) Il terzo gruppo comprende i cosiddetti innovatori moderati, con risultati inferiori alla media dell'UE. Sono Italia, Spagna, Portogallo, Repubblica ceca, Grecia, Slovacchia, Ungheria, Malta e Lituania. 4) Nel quarto gruppo troviamo paesi con prestazioni nettamente inferiori alla media dell'UE a 27, che denominiamo innovatori modesti: Polonia, Lettonia, Romania e Bulgaria.
Rispetto all'anno scorso, la classifica generale è rimasta sostanzialmente immutata. Salvo rimescolamenti all'interno dello stesso gruppo, non si registrano variazioni sostanziali rispetto all'anno precedente. In parte anche perché la capacità di innovazione non si crea da un giorno all'altro. Per coltivare i talenti, sviluppare le competenze fare in modo che gli investimenti maturino, c'è bisogno di tempo. Tuttavia, da una lettura attenta dei dati, emergono due importanti considerazioni.
In primo luogo, i risultati di questo esercizio non possono ridursi unicamente a stilare una classifica volta a misurare, in termini assoluti, la capacità di innovazione. Quello che conta è anche l'impegno a recuperare il terreno perduto, cioè la capacità di migliorarsi e di crescere. Per questo, in termini relativi, è senz'altro l'Estonia il leader europeo della crescita dell'innovazione, seguita dalla Lituania e dalla Lettonia. Perché questi paesi, seppure lontani dalle prime posizioni della classifica, sono quelli con un tasso di miglioramento più elevato.
In secondo luogo, nonostante quasi tutti gli Stati membri abbiano migliorato, in diversa misura, le loro prestazioni in termini di innovazione, la capacità di crescere non è omogenea in tutta l'Unione europea. Il divario, invece di colmarsi, si sta allargando, e questo, a mio avviso, è il risultato più preoccupante. I risultati di quest'anno, infatti, mostrano che l'innovazione nell'UE ha smesso di convergere. Il gruppo dei paesi meno innovativi non si sta più avvicinando a quello dei paesi più innovativi.
I paesi meno innovativi sembrano essere quelli che presentano i problemi strutturali più acuti. La crisi economica ha accentuato questi problemi, in particolare in Portogallo, Grecia e Ungheria. Anche in Bulgaria, Malta, e Polonia le attività di innovazione hanno subito una brusca frenata.
Tra gli indicatori positivi, spicca, primo fra tutti, il dato relativo all'aumento dell'innovazione tra le PMI che collaborano tra di loro (+7.9%). Il che significa che in periodi di crisi le PMI tendono a mettersi insieme per cercare sinergie e realizzare economie di scale negli investimenti. Questo a conferma della nostra azione a favore dei clusters e dell'internazionalizzazione delle PMI.
Secondo indicatore positivo rilevante: oltre che dalle PMI, oggi, l'innovazione è spinta soprattutto dalla commercializzazione all'estero dei risultati della ricerca mediante licenze, brevetti e registrazioni di marchi comunitari (+6%). Questo vuol dire che il sistema europeo della ricerca è forte e continua a produrre ottimi risultati che sono essere sfruttati al di fuori della Unione Europea. Dobbiamo lavorare a che questo fattore positivo non si trasformi in un fattore di rischio, se accompagnato da una perdita di know how e da uno sviluppo/produzione fuori dall'UE.
Tra gli indicatori negativi, invece, è interessante notare un forte calo delle spese delle imprese per l'innovazione non tecnologica (-5.2%) e una disponibilità molto minore di fondi di capitale di rischio (-3.1%). In generale, si osserva una battuta d'arresto nei settori governati da decisioni a breve termine, mentre i risultati continuano a migliorare nei settori guidati da decisioni prese in passato, prima dell'acuirsi della crisi economica.
In conclusione, gli investimenti nell'innovazione sono indispensabili per mantenere la nostra competitività globale e rilanciare la crescita in Europa. Senza innovazione, non raggiungeremo l'obiettivo di riportare l'industria al 20% del PIL che ci siamo prefissati con la nuova strategia sulla politica industriale.
Per questo diventa sempre più importante e urgente il coordinamento di queste politiche a livello europeo. Le conclusioni dello scorso Consiglio Europeo vanno in questa direzione. E' mia intenzione lavorare in questo senso in occasione del prossimo Consiglio Europeo di giugno, che sarà dedicato proprio alla politica industriale.
*Vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l'Industria e l'Imprenditoria