
[03/04/2013] News
Chiuso l'accesso al parco industriale inter-corano di Kaesong
La Repubblica popolare democratica di Corea (Rpdc) ha vietato oggi l'accesso ai lavoratori sudcoreani nella Zona industriale congiunta di Kaesong, una città frontaliera della Corea del nord ed ha "autorizzato" solo i lavoratori del sud presenti a Kaesong a lascare la città per tornare a Seoul.
Kim Hyung-seok, portavoce del ministero dell'unificazione della Corea del sud, ha spiegato in una conferenza stampa che «Questa mattina, la Corea del nord (Rpdc) ci ha informato che vieta l'ingresso nel parco industriale di Kaesong e che autorizza solo la partenza dal sito. Il governo sudcoreano è profondamente dispiaciuto che gli spostamenti transfrontalieri non possano più essere fatti normalmente per entrare ed uscire nella zona industriale inter-coreana. La nostra prima priorità è quella di mettere in sicurezza i lavoratori del sito industriale». Intanto davanti alle sbarre del confine si è creata una colonna di camion sudcoreani che dovrebbero rifornire di materie prime il sito industriale e/o trasportare le merci dal nord al sud.
La dittatura nazional-stalinista nordcoreana ha quindi mantenuto la minaccia fatta 4 giorni fa di chiudere il parco industriale inter-coreano nel quale sono presenti ben 120 imprese sudcoreane che danno lavoro a circa 54.000 nordcoreani. Fonti della Rpdc assicurano che le fabbriche continuano a funzionare normalmente, ma la chiusura della frontiera presto farà mancare gli approvvigionamenti necessari e quindi gli operai nordcoreani andranno ad ingrossare e folte fila degli affamati della Rpdc.
Intanto la dittatura militar-comunista del leader supremo Kim Jong-un conferma la decisione di riavviare la centrale ed il sito nucleare di Nyongbyon. Un portavoce del dipartimento generale dell'energia atomica della Rpdc ha detto all'agenzia ufficiale Knca che il regime «Vuole riaggiustare e riavviare tutte le installazioni nucleari di questo complesso, compresi i suoi impianti di arricchimento dell'uranio ed anche un reattore moderato alla grafite da 5 MW che era stato disattivato nel quadro di un accordo concluso durante i colloqui a 6 nell'ottobre 2007».
La Rpdc sembra quindi fare di tutto per confermare che lo "stato di guerra" dichiarato contro la Corea del sud è una cosa seria e così sembra ritenerla anche il ministro della difesa di Seul, Kim Kwan-jin, che non esclude un'azione militare in risposta alla chiusura della frontiera di Kaesong: «Abbiamo preparato un piano di emergenza, tra cui la possibile azione militare, nel caso della peggiore situazione possibile». Di fronte alle minacce del nord il sud prepara «Tutte le opzioni possibili», compreso un attacco che distruggerebbe in 5 giorni le prime linee dell'esercito della Rpdc.
Dopo giorni di silenzio ufficiale anche la Cina lancia un nuovo monito ai compagni della Rpdc. Il vice-ministro degli esteri, Zhang Yesui, ha avvisato: «Non vogliamo vedere guerra o caos nella penisola. Ci opponiamo ad ogni parte che pronunci delle dichiarazioni provocatorie o che facciano qualcosa che possa nuocere alla pace ed alla stabilità nella penisola e nella regione. La Cina sta molto attenta alla situazione ultimamente tesa nella penisola coreana, perché è strettamente legata alla stabilità dei Paesi vicini della Cina. Ho incontrato gli ambasciatori dei Paesi interessati per esprimere loro la reale inquietudine di fronte alla situazione attuale. La parte cinese è sempre determinata ad ottenere la denuclearizzazione ed a mantenere la pace e la stabilità nella penisola coreana e difende la risoluzione del problema attraverso il dialogo e le consultazioni. La Cina esorta tutte le parti a restare calme ed alla moderazione, ad evitare le provocazioni e a non prendere misure rischiose per il deterioramento della situazione».
Per tutta risposta i nord coreani hanno chiuso Kaesong ed ora l'ipotesi di un colpo di stato militare filocinese a Pyongyang potrebbe essere la soluzione per porre fine alla dinastia dei Kim ed evitare una guerra che avrebbe conseguenze catastrofiche per l'Asia nord-orientale e per la Cina in particolare, costretta a far fronte ad un'ondata di profughi affamati.
Anche l'altro Paese confinanti con la Rpdc, la Russia, è molto preoccupato. L'ambasciatore itinerante russo Grigori Logvinov ha detto a Ria Novosti: «Speriamo che tutto il mondo sia pienamente cosciente dell'inammissibilità categorica di una recidiva della guerra nella penisola coreana». Logvinov confera contatti tra Mosca e Pyongyang e dice di sperare che «Nessuna delle parti oltrepassi il punto di non ritorno. Mosca procede a delle consultazioni regolari con i suoi partner all'interno del gruppo dei 6 (Corea del nord, Corea del Sud, Cina Giappone ed Usa, ndr) al fine di prevenire il precipitare della situazione. Vediamo che le dichiarazioni degli Stati Uniti sono sufficientemente misurate. La posizione della parte americana ci rassicura».
Il segretario di Stato Usa ha confermato il suo appoggio, anche militare, al Giappone ed alla Corea del sud minacciati dalla Rpdc ed ha detto di non riconoscere lo status di "Stato nucleare difensivo" che si è dato la Corea del nord, definendo gli atti di Kim Jong Un «Provocatori, pericolosi ed imprudenti»
Anche il segretario generale dell'Onu, il sudcoreano Ban Ki-moon, è convinto che «La crisi attuale nella penisola coreana è già andata troppo lontano. Sono profondamente preoccupato. Nella n mia qualità di segretario generale, è mio dovere impedire la guerra ed operare per la pace E' anche mia responsabilità dichiarare che l'attuale crisi è già andata troppo oltre. Le minacce nucleari non sono un gioco. Una retorica aggressiva ed una gesticolazione militare sono per natura controproducenti ed alimentano a paura e l'instabilità. Faccio appello al dialogo ed ai negoziati, è il solo modo di risolvere la crisi. Sono disposto ad aiutare tutte le parti interessate a pervenire a questo. Le cose devono subito attenuarsi, dato che questa situazione, che una mancanza di comunicazione non ha fatto altro che peggiorare, potrebbe condurci là dove nessuno vorrebbe andare. Non c'è nessun bisogno per la Repubblica popolare democratica di Corea di andare al conflitto con la comunità internazionale. Sono convinto che nessuno abbia l'intenzione di attaccare la Rpdc a causa dei disaccordi sul suo sistema politico o sulla sua politica estera. Tuttavia, spero che altri non reagiscano fermamente ad ogni provocazione militare diretta».