[08/04/2013] News

In memoria di Margaret Thatcher e della rivoluzione liberista

E' morta a 87 anni Margaret Thatcher, a lungo prima premier donna della Gran Bretagna, ma ormai era rimasto ben poco della Lady di ferro che sedò con spietatezza la rivolta dei minatori inglesi e gallesi e cacciò con ferocia gli argentini dalle isole Malvinas facendole ridiventare Falkland.

E' rimasto invece molto del suo turboliberismo, della politica neoconservatrice che insieme al suo amico Ronald Reagan impose al mondo approfittando del crollo agonico di un socialismo reale ossificato nella liturgia sovietica.

Della Signora Thatcher si può dire che è una di quelle persone senza troppe virtù e senza grande genio che, improvvisamente, incarnano lo spirito del tempo: in questo caso, che lo spirito feroce del capitalismo predatorio internazionale che ci ha portato all'attuale triplice crisi economica, sociale ed ambientale si sia incarnata in una ricchissima signora dall'aspetto banale e con un rozzo bagaglio teorico (meno Stato e più mercato), è già un segno preoccupante.  

Ma ancora più preoccupante è stato il cedimento ideale e politico di una sinistra occidentale (non tutta per la verità) che è arretrata di fronte alla globalizzazione delle merci e che ha fatto propri gli assunti della mercificazione della vita e del vivente, non sfidando il neocapitalismo a abbandonando non dico il comunismo ma anche e soprattutto la stessa socialdemocrazia.

Una sconfitta culturale e sociale  che si è fatta evidentissima proprio con la vittoria del New Labour di Tony Blair, che ha cercato una "terza via" che in realtà si è rivelata come la coniugazione diversa del thatcherismo,  uno snaturamento delle ragioni della sinistra (anche di quelle ottime) e del suo insediamento sociale e una resa senza condizioni a un nuovo ordine mondiale che si è rivelato un informe ed ingordo disordine, che ha tentato, senza riuscirci, di imporre una democrazia identificata con il liberissimo mercato in tutto il mondo, spacciando il dominio neocolonialista per liberazione e teorizzando la libera circolazione delle merci e dei capitali e la divisione dei popoli e delle genti, trasformando gli uomini in consumatori o clandestini, carne da lavoro sottocosto.

Una politica ed una terza via che hanno fatto breccia anche in Italia, tra gli orfani del Partito comunista che sembrava meglio attrezzato ideologicamente a reggere il crollo dell'Urss, che più che abiurare si sono convertiti così rapidamente dal saltare l'approdo socialdemocratico e creare la confusione identitaria e di prospettiva che ancora stiamo vivendo in questi caotici giorni post-elettorali.

La rivoluzione liberale di Margaret Thatcher resta ormai nelle parole di circostanza dei leader conservatori e negli ultimi epigoni della scuola di Chicago, arroccati nei loro paranoici recinti ideologici; perfino un ammiratore sfrenato come Silvio Berlusconi ha declinato il suo entusiasmo in un populismo da piazzista che è pura sopravvivenza politica e che non solo non ha mai avuto niente di liberale, ma ormai è un liberismo spurio che nasconde la ferocia della macelleria sociale, attuata mettendo in atto le ricette tatcheriano/reaganiane insieme alla restituzione dell'Imu.

Del fulgore della Lady di ferro resta ormai la ruggine di un liberismo che si è liberato dello Stato per renderlo servo di una minoranza, di una ricchezza che è diventata esclusione, di una crescita che ha aumentato il baratro tra ricchi e poveri, creando un fossato incolmabile anche nei Paesi ricchi, precipitandoci in una crisi che è frutto della mancanza di limite, del saccheggio delle risorse e dell'ingiustizia sociale elevata a diritto - se non a dovere - della ferocia predatoria mercatista diventata virtù.  Il problema semmai è che sembra che alla ruggine tossica del monumento equestre della Lady di ferro che perde i pezzi non ci sia ancora un'alternativa reale.

Quindi, pietà e rispetto per la  signora Margaret Thatcher che nella sua vita tanto ha avuto e moltissimo ha tolto, ma anche riflessione per quel che l'accettazione delle sue rozze politiche semplificatorie, e del suo feroce classismo, è costato e ancora costa al mondo. 

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