[09/04/2013] News

Se il colosso dei beni di consumo strizza l’occhio ai rifiuti zero, la contraddizione è dietro l'angolo

Il colosso Procter & Gamble ha annunciato che da questa settimana in 45 dei suoi  stabilimenti in tutto il mondo (circa 1/3 dell'intera capacità di produzione), nessun rifiuto o scarto del ciclo produttivo finisce più in discarica. E detto dalla più grande multinazionale del mondo nel mercato dei beni di consumo (84 miliardi dollari di fatturato l'anno scorso), è una gran bella notizia. Da quando William Procter e James Gamble, produttori, rispettivamente, di candele e di sapone, hanno fondato questa grande azienda nel 1837, ben sette generazioni si sono susseguite alla sua guida per produrre e commercializzare prodotti destinati ad "affiancare e migliorare" la vita quotidiana dei consumatori.

Al marchio P&G sono collegati brand, conosciuti in tutto il mondo, di beni di largo consumo destinati all'igiene (e spesso alla vanità) personale, a quella degli ambienti domestici oltre che ad un'altra miriade di prodotti legati quasi esclusivamente al concetto dell'usa e getta. Volete un banale esempio di merci commercializzati sotto l'ombrello Procter & Gamble? Allora tenetevi forte. Iniziamo dai prodotti di bellezza: AZ, Kukident, Puma, Lacoste, Braun, Gilette, Mach 3, Laura Biagiotti, Max Factor, Olaz, Vicks, Gucci, Oral B, Wella, Panten, Hugo Boss (elenco non esaustivo). Poi passiamo a prodotti per la cura della casa: Ambipur, Lenor, Ace, Mastrolindo, Ariel, Swiffer, Dash, Viakal, Duracell, Fairy (elenco non esaustivo).

Insomma, in ogni casa e in ogni beauty case è presente - giocoforza - un prodotto della multinazionale in questione. Se questa  decide di ridurre il proprio impatto ambientale, anche se solo di alcune fabbriche ci sentiamo tutti più sollevati. Perché parliamo di numeri che possono fare la differenza. Ma sappiamo che l'altra faccia della medaglia riguarda poi la destinazione degli oggetti una volta prodotti e degli imballaggi che li contengono e commercializzano (P&G è il primo investitore in pubblicità al mondo, con 8 miliardi di dollari impegnati nel 2010). 

Pur applaudendo che il ciclo produttivo risulti più sostenibile (secondo il rapporto ambientale 2012 di P&G, il 99,2% di tutti i materiali che entrano in impianti dell'azienda sono stati riutilizzati, riciclati o convertiti in energia) non è detto che anche i prodotti finali automaticamente vadano a sposare la strategia "rifiuti zero". Infatti la prassi e la legislazione impongono al consumatore  l'onere della produzione del rifiuto, attraverso il conferimento al servizio di igiene pubblica del suo territorio. Che sia attraverso raccolta differenziata ai fini del riciclo, che sia destinato al recupero energetico o al mero smaltimento non è più un problema del produttore. E su questo punto c'è ancora tanto da lavorare.

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