[17/05/2013] News

Il governo canadese, amico delle Big Oil, rischia di distruggere l'Artico?

La presidenza di turno canadese dell’Arctic Council preoccupa popoli autoctoni ed ambientalisti

Il summit ministeriale dell'Arctic Council che si è tenuto a Kiruna, in Svezia, ha dato il via alla presidenza di turno del Canada e la cosa preoccupa molto gli ambientalisti e i popoli etnici del grande nord. Greenpeace ha lanciato una campagna di sensibilizzazione internazionale per invitare il governo conservatore canadese di Stepen Harper  «A mettere gli interessi dell'umanità e dell'ambiente al di sopra di quelli delle compagnie petrolifere» e si è rivolta direttamente ai delegati del summit di Kiruna, ricordando loro che «L'Arctic Council ha per missione quella di assicurare la protezione dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile di questa regione fragile, mentre il governo Harper afferma di voler utilizzare questa organizzazione per promuovere gli interessi dell'industria».

Infatti il meeting ministeriale svedese è stata l'occasione di svelare le tematiche che il Canada intende affrontare durante il suo biennio di presidenza dell'Arctic Council e le premesse non sono buone. Il ministro della salute canadese e della Canadian northern Economic development agency, Leona Aglukkaq (la prima Inuk, eletta nel Nanavut, a far parte di un governo federale canadese), ed altri delegati di Ottawa hanno affermato che «L'industria dovrà occupare un posto importante nel Council», un approccio favorevole alle compagnie petrolifere, gasiere e minerarie che è stato confermato dall'agenda presentata dalla Aglukkaq in Svezia e che non comprende e nessuna iniziativa significativa dei Paesi dell'Artico per combattere i cambiamenti climatici né dei processi che possano condurre ad un'intesa giuridicamente vincolante per prevenire gli sversamenti petroliferi.

Malgrado gli appelli all'azione degli scienziati, delle Ong ambientaliste e dei leader dei popoli autoctoni presenti a Kuiruna,  l'Arctic Council è terminato senza l'approvazione di un piano che permetta di sperare in un'intesa internazionale per regolamentare le emissioni di black carbon o per frenare la corsa alle risorse nascoste sotto  le terre gelate ed i delicati e pericolosi fondali dell'Artico.

Patrick Bonin, responsabile della  campagna Climat-Énergie et Arctique di Greenpeace Canada, annuncia battaglia: «Non lasceremo il governo utilizzare l'Arctic Council a suoi piacimento per due anni e pianificare la distruzione dell'ambiente artico. SE  Stephen Harper fa all'Artico quel c he ha fatto al Canada, tutti quelli che hanno a cuore l'avvenire di questa regione avranno serie ragioni per preoccuparsi. L'assenza di impegni per l'ambiente è allarmante, in particolare quando si sa che il Canada vuole che l'industria abbia molto più da dire quanto al futuro dell'Artico. Determinare che questo costituisca uno sviluppo in sicurezza e sostenibile in questo ecosistema fragile non dovrebbero essere responsabilità di imprese private avide di profitti. L'Arctic Council è un'organizzazione che ha come mandato quello di prevenire gli sversamenti di petrolio ed i cambiamenti climatici, non di facilitarli!».

Parallelamente all'Arctic Council si è tenuta la pan-Arctic Indigenous conference, organizzata da Greenpeace e Russian Save the Pechora Committee, che ha visto la partecipazione di due organizzazioni  partecipanti permanenti all'Arctic Council, l'Arctic Athabaskan Council e la Russian association of indigenous peoples of the North (Raipon), e di influenti popoli indigeni:  Dene Nation, Athabaska Chipewyan First Nation,  Assembly of First Nations in the Northwest Territories e del Youth Council del Parlamento Sami della Svezia. Il summit artico alternativo si è concluso con la firma da parte di 41 rappresentanti di popoli ed organizzazioni tribali canadesi, statunitensi, russe e svedesi del "Joint statement of Indigenous solidarity for Arctic protection", nel quale si legge: «Noi i Popoli del Nord abbiamo per troppo tempo sperimentato l'oppressione dei nostri popoli e la distruzione barbarica della nostra terra. E' tempo che uniamo le forze per chiedere che le compagnie petrolifere e gli Stati artici cambino strada ed inizino ad ascoltare le voci dei popoli indigeni che risiedono in queste terre. I popoli del Nord non saranno più comprati  con spiccioli e centesimi per stare in silenzio mentre le compagnie petrolifere distruggono la nostra terra natale. La nostra cultura e la nostra storia non possono essere comprate e sostituite con tubazioni e trivelle. Il nostro modo di vivere definisce chi siamo e noi ci leviamo a combattere per la nostra natura e l'ambiente. In troppi sono stati ridotti a dipendere dalla generosità delle compagnie petrolifere. I nostri diritti e la capacità di sostenere noi stessi non devono essere calpestati dalla fame infinita per i profitti di  altri. Le nostre terre e la nostra cultura devono essere conservate per le generazioni a venire. Se divisi, non saremo in grado di resistere alla pressione delle compagnie produttrici di petrolio ed apriremo le nostre case alla distruzione. Oggi uniamo le nostre forze e rifiutiamo di continuare a stare in silenzio mentre assistiamo alla distruzione della nostra terra».

Dalla pan-Arctic Indigenous conference sono venute richeste molto chiare all'Arctic Council di cui ora fa parte anche l'Italia come Paese osservatore: «Il divieto assoluto di trivellazione petrolifera offshore nella piattaforma artica. Non possiamo accettare i rischi ecologici e gli impatti distruttivi di uno sversamento sulle nostre terre e nei nostri mari. Le pratiche irresponsabili delle compagnie petrolifere in tutto il mondo ci hanno fornito prove più che sufficienti che le fuoriuscite di petrolio nei mari artici saranno inevitabili. Allo stesso tempo, non ci sono metodi efficaci e collaudati per prevenire o ripulire le fuoriuscite di petrolio nelle gelide acque artiche. Una moratoria sulle trivellazioni petrolifere onshore nella regione artica. Le compagnie petrolifere hanno ripetutamente dimostrato che non hanno alcun rispetto per nient'altro che i loro profitti. Fino a quando le compagnie petrolifere ei governi nazionali dell'Artico non si assumono la responsabilità per gli impatti distruttivi sull'ambiente, le terre indigene devono essere chiuse per loro. Tutte  le estrazioni e l'industrializzazione sulle terre indigene devono essere svolte solo con l'esplicito consenso dei Popoli della terra. Inoltre, le comunità indigene devono beneficiare socialmente ed economicamente da qualsiasi estrazione industriale. Non permetteremo che l'Artico diventi un'altra area, distrutta per produrre profitto per l'industria. Chiediamo a tutti i popoli indigeni dell'Artico ad unirsi a noi e sostenere questa risoluzione».

 

Kiera Kolson, responsabile della campagna Artico di Greenpeace ed esponente della a Nations Déné, ha rimarcato: «Come autoctoni, ci assumiamo la buona gestione delle nostre terre. Questa settimana, dei rappresentanti autoctoni di tutte le regioni circumpolari hanno riaffermato i loro diritti ed hanno fortemente preso posizione  contro le trivellazioni nel Mare Artico. Leona Aglukkaq non parla a nome di tutte le popolazioni del Nord , in particolare quando promuove il devastante sviluppo industriale là dove i cambiamenti climatici sono già disastrosi».

Intanto ad Ottawa gli attivisti di Greenpeace, per dimostrare che una catastrofe ambientale nell'Artico avrebbe lo stesso impatto tossico dello sfruttamento delle sabbie bituminose dell'Alberta, hanno manifestato sulla collina del Parlamento federale canadese in compagnia di un orso polare a grandezza naturale, innalzando striscioni con su scritto: "Harper: forages dans l'Arctique = déversements" e "Canada: Don't destroy the Arctic too too".

Greenpeace chiede al Canada di utilizzare la presidenza di turno dell'Arctic Council per ottenere obiettivi concreti  nel nome dell'ambiente nordico e dei suoi abitanti «Adottare standard esecutivi per lo sfruttamento del petrolio e del gas offshore e vietare le trivellazioni nell'artico, tento conto dell'impossibilità di impedire e  bonificare una marea nera; Prendere delle misure concrete e rapide al fine di ridurre le emissioni di gas serra degli Stati dell'Artico, includendo, tra l'altro, la riduzione delle emissioni di black carbon; Favorire la creazione di riserve marine, così come l'istituzione di un Santuario mondiale nell'Oceano Artico centrale, al fine di proteggere la biodiversità; Minimizzare i rischi associati alla pesca commerciale; Assicurare una maggiore trasparenza e rappresentatività dell'Arctic Council».

Il Santuario che Greenpeace chiede di istituire intorno al Polo Nord  dovrebbe essere una immensa area  legalmente protetta da ogni forma di grande industriale, comprese le trivellazioni e la pesca commerciale, un'iniziativa già sostenuta da oltre 3 milioni di persone che hanno firmato la petizione Save the Arctic. Greenpeace inoltre si è impegnata a far rispettare i diritti di quelle che vengono chiamate le Prime Nazioni, favorendo l'applicazione della United Nations Declaration on the Rights of Indigenous Peoples  in tutte le tappe per sviluppare una società più giusta e sostenibile, che riconosca il diritto dei popoli autoctoni a vivere nei loro territori ancestrali ed a svolgere le loro attività economiche tradizionale, come la pesca, la caccia e l'uso di trappole.

Intanto, Greenpeace Canada sta bombardando di e-mail il premier Harper, con una raccolta di firme on-line che ricorda che «Attualmente nell'Artico è in corso una crisi. Le temperature sono in aumento e lo scioglimento dei ghiacci minaccia il modo di vivere delle popolazioni e l'ambiente dell''Artico. Dal momento che nel 2013 il Canada assume la presidenza dell'Arctic Council, lei si trova davanti ad una scelta: quella di stare con le compagnie petrolifere ed aiutarle a perpetuare un disastro in corso, permettendo loro di trivellare in una delle ultime zone industrialmente vergini del pianeta, o quella di difendere gli interessi delle popolazioni di tutto il mondo. In quanto cittadino del modo, mi appello a lei perché decreti: L'interdizione dell'esplorazione e dell'estrazione del petrolio in mare; una moratoria sulla pesca non sostenibile; un'azione urgente di lotta contro i cambiamenti climatici; la creazione di un Santuario mondiale nella zone inabitata intorno al Polo Nord. Signor Harper, tutti gli sguardi sono rivolti su di lei. Quel che succede nell'Artico ci tocca tutti. Faccia in modo che nei prossimi due anni di presidenza del Canada, il vostro programma favorisca la protezione dell'Artico e non lo sviluppo sconsiderato e pericoloso delle trivellazioni petrolifere, il caos climatico e le maree nere».

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