[28/05/2013] News

Sempre lì, lì nel mezzo, tra crescita verde e decrescita

Crescita verde da una parte e decrescita felice dall'altra. Dopo anni di dibattiti siamo ancora qui. Lo possiamo testimoniare bene, noi che su questo tema ci interroghiamo dalla nostra fondazione e sul quale ci spendiamo ancora oggi. Non ci sarebbe peraltro nulla di nuovo, non fosse piombata su questa discussione la peggiore crisi economica-finanziaria-sociale che si ricordi dal dopoguerra. Evento che, sempre dal nostro punto di vista, avrebbe potuto ridisegnare almeno in parte le idee (e persino le ferree convinzioni) dell'ambientalismo moderno.

Nei fatti, come ben si evidenzia oggi sul nostro giornale con l'intervento del commissario Potocnik e l'ultima uscita pubblica di Maurizio Pallante, non si registrano grandi cambiamenti. O meglio, a noi pare sempre una notizia che l'Ue abbia come base culturale quella che si potrebbe dire del Club di Roma, visto che inquadra le problematiche dentro una logica di aumento della popolazione e riduzione di risorse; tuttavia, sempre di crescita verde si discute, prima considerata da molti solo una versione pitturata di verde della old economy.

Posizione che infatti si è mutata solo nelle parole, in quanto negli ultimi tempi più che di crescita verde si è parlato di green economy, che è subito diventata "il nuovo nemico" da abbattere. Come? Lo spiega Pallante nel video: autoconsumo, economia del dono, ecc. Questo per il saggista deve crescere, il resto decrescere in nome della qualità piuttosto che della quantità. Se questo fosse vero, la decrescita del Pil degli ultimi dieci anni in Italia avrebbe dovuto far felici milioni di persone. E a seconda di che piega prenderà, l'Ilva potrebbe pure essere un case history della decrescita.  

Forse è una riflessione troppo semplicistica, lo ammettiamo. Allora si potrebbe aggiungere che nella migliore delle ipotesi se la decrescita non è governata, almeno in Italia non siamo pronti a una nuova realtà dove al posto del lavoro salariato perso ovviamo con il dono del nostro tempo o di qualche altra nostra dote, che ci permetta comunque di andare avanti e far crescere (se si può dire) i figli. Non tutti, inoltre, possono avere capacità di autoproduzione.

Dunque, pur concordando sul fatto che il Pil misura sia il buono che il cattivo e spesso quest'ultimo fa aumentarlo più del primo, la ricetta della decrescita sic et simpliciter, anche aggiornata, convince solo se applicata ai singoli individui e ai loro stili di vita. Ovvero: è certo che ognuno di noi possa fare qualcosa per l'ambiente. Anche molto, persino moltissimo. Ma di certo poi servono i governi - illuminati, se così possiamo dire - per costruire un nuovo modello di sviluppo. Perché è di questo che c'è bisogno, altrimenti anche le migliori scelte individuali resteranno tali.

Quanto dice Potocnik quindi, a parere nostro, non va bocciato semplicemente perché parla di crescita sostenibile, perché è nel merito delle cose che conta confrontarsi. Anche per chi immagina di poter vivere nel suo orticello (letteralmente), armato solo di qualche pannello fotovoltaico, un impianto di fitodepurazione e tanta buona volontà, si può dire che pure lui senza materie prime e senza industria avrebbe ben poche chance di aiutare il pianeta? La stessa giusta e condivisibile idea di ridurre i consumi di energia - tenendo conto che parliamo sempre dell'Italia e al limite dell'Occidente, perché nel reso del mondo non siamo certo nelle condizioni di chiedere risparmi laddove ancora nemmeno ci arriva l'energia - come li misuri se non c'è un'industria manifatturiera in grado di produrre questi strumenti? Non solo, se riduci è perché puoi produrre in grande quantità. Come ha detto "qualcuno" quasi un secolo e mezzo fa, la "qualità" dipende dalla "quantità". L'autoproduzione energetica è un'altra roba possibile, ma per un'elite. Che dire poi riguardo all'affermazione della contrarietà all'incenerimento dei rifiuti. La posizione è netta e comprensibile, tuttavia se giustamente si punta alla riduzione dei rifiuti e al riciclo di tutto quanto possibile proprio per non bruciare o non gettare in discarica, servono prodotti più duraturi (quindi industria); serve comunque più riciclo (quindi industria manifatturiera); e quindi magari questi due settori dovranno poter crescere? I soldi non sono tutto, siamo d'accordo, e la logica del profitto e della crescita come unico metro di giudizio è solo follia che ci porterà all'autodistruzione. Ma è uno strumento che l'uomo si è dato per misurare il valore delle cose. E' sbagliato? Può darsi, ma anche con il dono c'è spesso uno scambio di "merce" (vedi i beni alimentari). E poi chi quantifica il dono? Il mio dono potrei sempre ritenerlo più grande del tuo.

Forse in piccole comunità può anche funzionare, e chi scrive non ha alcuna intenzione di demolire questa idea a chi ci crede - oltre al fatto che è un tema certamente non esauribile con un articolo su un giornale -, tuttavia anche per ridurre l'impatto dell'uomo sulla terra serve un po' di industria e di consumi, persino se diventassimo tutti contadini e chiudessero tutte le multinazionali. Quindi, invece di cercare di smarcarsi dalle definizioni e dunque gettare discredito su tutto quanto è green economy o crescita verde, sarebbe meglio farle nostre queste parole e dire che cosa vogliamo che indichino, con argomenti che contribuiscano a cambiare il modello di sviluppo non del singolo ma della società.

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