
[18/03/2011] News
Il rinascimento nucleare ormai impraticabile
LIVORNO. Dietro l'atteggiamento nuclearista della maggioranza di governo italiana sul nucleare c'era un furore ideologico alimentato dalle rassicurazioni di personaggi prestigiosi come Umberto Veronesi, Marherita Hack e dalle sempre più imbarazzate e imbarazzanti performance televisive di Chicco testa. Una sicumera che è durata, come sempre accade alla nostra politica marketing, il tempo di leggere i disastrosi sondaggi e capire che il costosissimo trucco elettorale per evitare che il referendum ottenga il quorum probabilmente non sarebbe riuscito.
La repentina ritirata strategica era già stata annunciata dal sottosegretario Stefano Saglia e poi dal ministro Paolo Romani, che senza imbarazzo alcuno ieri ha annunciato una pausa di ripensamento che dichiarava impossibile e vergognosa solo fino a poche ore prima. Sembra la ripetizione della sindrome libica, con il nostro governo che si trova isolato tra i Paesi europei e nell'opinione pubblica e torna precipitosamente indietro, abbandonando la trincea nuclearista che aveva scavato nei Tg e nei giornali più fedeli, lasciando impietosamente indietro feriti ed orfani e profeti del nucleare in mutande. Il probabile ammutinamento del battaglione leghista è stato annunciato dal viceministro alle Infrastrutture, Roberto Castelli, che ha parlato di discussione «Puramente accademica. In Italia non riusciamo a fare neanche un innocuo foro nella montagna del Freijus, figuriamoci se riusciamo a fare centrali nucleari. L'effetto nimby (not in my backyard) nel Paese è fortissimo».
Il clima da Caporetto lo spiega bene il fuorionda registrato in una chiacchierata tra il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo (che nei giorni e nelle ore precedenti aveva fatto da grazioso kamikaze governativo dell'atomo), Bonaiuti, il giulivo ed apodittico portavoce di un sempre più preoccupato Berlusconi, e Tremonti: «E' finita - ha detto la Prestigiacomo - non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate. Bisogna uscirne ma in maniera soft. Ora non dobbiamo fare nulla, si decide tra un mese». Sperando che gli italiani "boccaloni" siano distratti da qualche scaldaletto oppure che le radiazioni in Giappone non siano così devastanti. Insomma chi fino ad ora aveva chiesto di mantenere il sangue freddo e di non essere emotivi, di non pensare con la pancia (la stessa esaltata dal populismo governativo come punto di riferimento politico per tutte le altre questioni), davanti ad un disastro naturale-nucleare di proporzioni bibliche, ora trema e cambia opinione davanti ad un possibile sisma elettorale annunciato da un sondaggio. La "pausa di riflessione" invocata anche da Veronesi e addirittura da Testa sembra più il tentativo di anestetizzare non l'emozione ma l'informazione, proprio mentre in tutto il mondo il referendum italiano post-Chernobyl, che chiuse quelle nostre centrali nucleari che oggi sarebbero pericolosi e ingestibili ferrivecchi, viene indicato come segno di coraggiosa lungimiranza, proprio mentre praticamente tutti rimettono in discussione un "rinascimento" nucleare che si sta rivelando un medioevo energetico.
Il governo del fare, quello delle decisioni irrevocabili, sembra attestarsi sulla linea del Piave tracciata ieri dal ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, che aveva già mandato in esplorazione sul fronte regionale Saglia: «Non obbligheremo nessun territorio ad ospitare una centrale nucleare, anche se la legge lo consentirebbe. Il tema della riflessione sul nucleare deve contemplare anche la condivisione delle scelte. Maggioranza, opposizione e comunità locali devono condividere il processo e devono essere informate sui processi di sicurezza. Nessuno, quindi sarà obbligato ospitare eventuali centrali. C'è ovviamente una grande preoccupazione, ma mi pare prematuro parlare di uno stop definitivo».
Una dichiarazione contraddittoria con una doppia furbizia all'italiana: il governo ha fatto una legge che gli dà poteri ed impone obblighi ai territori che ora non intende più far rispettare e chiede quel coinvolgimento di opposizione, regioni e comunità che ha rifiutato sdegnosamente fino a Fukushima e che gli è stato imposto (senza obbligatorietà di tenerne alla fine conto) dalla Corte Costituzionale. Al tentativo dilatorio di Saglia («Le centrali nucleari non verranno costruite nelle Regioni che negheranno l'assenso alla localizzazione degli impianti nel loro territorio»), di Romani e del governo ha già risposto seccamente il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani: «Ne prendo atto. Ribadisco la posizione della Regione Emilia Romagna e sottolineo che non mi risulta ci sia alcuna Regione italiana disposta a ospitare una centrale nucleare sul proprio territorio».
Il bluff è scoperto, la partita così è ingiocabile e la sindrome Nimby colpisce soprattutto le regioni dove amministrano i partiti che sono antinucleari a Roma e in Padania e nimbysti in Veneto, in Lombardia, nel Lazio, in Sicilia o in Sardegna...
Forse l'unica cosa che resta al governo per evitare un referendum che a questo punto sarebbe comunque ingestibile non è la pausa di riflessione, ma ritornare umilmente sui propri passi, seguendo l'esempio del governo di centro-destra tedesco, e rispettare il voto che gli italiani hanno già espresso a grande maggioranza contro il nucleare, stracciando una legge sul rinascimento nucleare italiano che lo tsunami di Fukushima ha reso impraticabile per la coscienza e la ragione degli italiani... e per i sondaggi.