[22/03/2011] News

Yemen: la rivoluzione democratica dei giovani e il rischio della somalizzazione tribale

LIVORNO. Le stragi dei giovani che chiedono le dimissioni del presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh stanno chiudendo ogni possibilità di dialogo e la defezione di diversi capi militari potrebbe annunciare una tribalizzazione della crisi e una possibile secessione del sud del Paese, già indipendente come Stato socialista prima di un'unificazione mal digerita.

Dopo il «massacro del  venerdì» e i 52 ragazzi uccisi all'università,  ieri due gruppi dell'opposizione hanno denunciato lo stato di emergenza decretato da Saleh come lo strumento per reprimere nel sangue la rivolta e Al Jazeera ha detto che il responsabile della zona militare nord-occidentale dello Yémen, il generale Ali Mohsen Saleh, fratellastro del presidente, ha dichiarato il suo «Sostegno pacifico» ai manifestanti e starebbe disponendo le sue forze a Sana'a per proteggerli. Anche il comandante della divisione orientale dell'esercito avrebbe abbandonato il regime. Quindi 2 delle 4 zone militari dello Yemen sarebbero in mano all'opposizione, senza contare il sud irredentista.

L'intifada dei giovani yemeniti è sostenuta  da una coalizione di 6 partiti  (Joint Meeting Parties -  Jmp), che chiede a  Saleh di buttar fuori il suo clan familiare dai posti chiave nell'esercito, servizi segreti e polizia e di mettere in votazione una nuova Costituzione entro 40 giorni, con elezioni presidenziali entro il 2011 o l'inizio del 2012. Ma Saleh ha anche ferocissimi sostenitori: il 18 marzo dei cecchini filogovernativi hanno sparato dai tetti di Sana'a sui manifestanti che ora rifiutano qualsiasi trattativa con il regime. Nessuno crede alla commissione d'inchiesta messa in piedi da Saleh dopo la strage e che dovrebbe includere suoi ministri e tre membri designati dal Jmp. «Sfortunatamente gli avvenimenti hanno fatto fallire la mediazione prevista dall'Arabia Saudita e da altri Stati del Golfo.

Dopo l'inchiesta, i colpevoli saranno inviati di fronte alla giustizia per essere giudicati» ha detto Saleh, evocando l'intervento dei sauditi che hanno già partecipato ad attacchi aerei contro le tribù sciite yemenite e che nel sud del Paese sono visti come il fumo negli occhi.

Intanto, il Jmp accusa il governo di utilizzare agenti segreti e poliziotti in abiti civili pagati per uccidere i manifestanti, mentre Saleh accusa il Jmp di armare i giovani e di spingerli ad attaccare le case dei sostenitori del regime. Mohammed al-Sabri, portavoce del Jmp , spiega oggi all'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, Irin, che «Questo fa parte di un piano criminale destinato ad uccidere i manifestanti e il presidente e la sua famiglia sono responsabili del bagno di sangue che ha conosciuto lo Yemen in questi ultimi giorni».Il ministro degli interni Mutahar Rashad al-Masri ribatte che «Le vittime fatte davanti all'università di Sana'a sono il risultato degli scontri sporadici tra i manifestanti e gli abitanti di questo quartiere, che in maggioranza hanno delle armi leggere quali dei fucili AK-47 (kalashnikov) e delle pistole. I manifestanti attaccano le case dei vicini, facendo paura alle donne ed ai bambini e per esempio rubano coperte, tende e materassi». Insomma una banda di fastidiosi teppisti tenuti a bada a colpi di Kalashnikov dai bravi cittadini timorosi per le loro famiglie... una teoria disperata alla quale evidentemente non credono gli stessi esponenti del governo che si sono dimessi per protesta contro le violenze commesse contro i manifestanti. Solo il 20 marzo Saleh ha licenziato il suo governo, ma ha chiesto ai ministri di restare in carica fino a che non ne troverà altri, una tattica per evitare nuove dimissioni e che sempre più uomini del partito di governo appoggino la «Rivoluzione della gioventù» e che ritornino nelle loro zone tribali per convincere i loro sostenitori ad unirsi alla rivolta. Anche Saleh sta incontrando gli sceicchi delle tribù yemenite per assicurarsi la loro fedeltà.

La situazione è instabile e la rivoluzione giovanile democratica delle grandi città  potrebbe trasformarsi nel resto del Paese, arretrato fino a livelli medievali, in una guerra civile tribale in un Paese dove ogni uomo ha un'arma da fuoco e le milizie delle tribù sono armate come eserciti : nello Yemen ci sarebbero 60 milioni di armi da fuoco con una popolazione di 23 milioni di persone, comprese le donne e i moltissimi bambini.

I capi tribali prima si erano proposti come mediatori nella crisi ma, dopo le rivoluzioni dei nordafricane dei gelsomini, hanno mandato i loro figli a raggiungere i manifestanti a Sana'a. Lo sceicco Amin al-Akaimi, capo della federazione tribale dei Bakil ha addirittura parlato davanti ai manifestanti dell'università il 19 marzo : «Andate. Non abbiate paura di quel che è successo ieri ai vostri fratelli. Noi non partiremo da qui fino a che Saleh e il suo regime non saranno davanti ai giudici. Lo  Yemen sarà il terzo Paese a mettere fine all'oppressione ed a gioire della libertà, dopo la Tunisia e l'Egitto».

Una gran parte delle tribù dello Yemen del nord appartengono alla federazioni tribali dei Bakil e degli Hashid. I Bakil sono la federazione numericamente più importante dello Yemen, ma non sono organizzati e politicamente attivi come gli Hashid.

Il presidente Saleh appartiene alla tribù Sanhan, della federazione degli Hashi che è tradizionalmente controllata dall'influentissima famiglia  Al-Ahmar. Ma due dei figli del defunto sceicco Abdullah Bin Hussein, Hamid ed Hussein, sono tra i più fieri avversari del regime di  Saleh ed anche molti importanti sceicchi Bakil li sostengono.

Alla fine gli interessi tribali e quelli della Rivoluzione della gioventù si potrebbero saldare in un programma di lotta alla corruzione, contro la disoccupazione e per una più equa distribuzione della ricchezza in un Paese che ha il peggior indice di sviluppo del Medio Oriente. Ma ci sono due incognite pesantissime: l'indipendentismo dello Yemen del sud e la natura tribale della politica yemenita  che spesso si fa armi alla mano. La lotta per il cambiamento potrebbe trasformarsi in un conflitto tribale endemico e parcellizzato e con un Paese ridiviso in due o tre (ci sono anche gli sciiti del nord). Le speranze dei giovani yemeniti potrebbero trasformarsi in una guerra civile lontanissima dalle loro speranze. Il tutto nel Pese che ha in mano la chiave del Mar Rosso e il passaggio del petrolio verso Suez. Più Saleh rimane al potere con la complicità dei sauditi e il silenzio delle democrazie occidentali, più questo rischio di somalizzazione dello Yemen diventa concreto.

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