[08/04/2011] News

I climate change talks Unfccc di Bangkok e Fukushima

LIVORNO. I climate change talks dell'United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) in corso nella capitale thailandese Bangkok si sono trovati ad affrontare la questione nucleare, fino ad ora molto marginale o addirittura portata ad esempio come tecnologia energetica che non emette gas serra.

A Copenhagen e a Cancun gli ambientalisti erano riusciti a non far inserire il nucleare tra le energie anti-riscaldamento globale, ma in molti Paesi che volevano cominciare la corsa atomica, o volevano utilizzare il nucleare per vantare riduzioni delle emissioni, li accusavano di costringerli così a restare schiavi dei combustibili fossili che sono la causa principale dei cambiamenti climatici.

Ora le Ong ambientaliste vedono in Fukushima la nemesi di questo falso assunto e a Bangkok stanno sferrando colpi durissimi contro il nucleare e i combustibili fossili che preparano la strada per chiudere i conti con il nucleare al summit dell'Unfccc di Durban a fine anno. La segretaria dell'Unfccc Christiana ha detto che «Tutti i paesi stanno rivedendo le politiche nucleari a seguito della crisi del Giappone. Resta da vedere cosa decidono». L'International panel on climate change (Ipcc) dell'Onu nei suoi documenti sottolinea che una graduale fuoriuscita dal nucleare «E' realizzabile a costi contenuti», e senza venir meno e tagliare gli sforzi per combattere cambiamento climatico.

Quella tra nucleare e rinnovabili secondo Tove Maria Ryding di Greenpeace «E' a falsa scelta di dare all'opinione pubblica un'alternativa tra la catastrofe dei cambiamenti climatici o la  catastrofe nucleare. Abbiamo bisogno di energia rinnovabile - Ora possiamo subire una spinta indietro o fare un salto in avanti». A Bangkok la delegazione giapponese ha detto di attendersi che a breve termine aumenti l'utilizzo di combustibili fossili per colmare il divario dell'energia nucleare che verrà a mancare e che il Giappone  potrebbe ridurre il suo impegno di ridurre le emissioni tra il 20 e il 25% entro  il 2020. Anche se il premier Naoto Kan qualche giorno fa ha detto che le energie alternative sarebbero diventate «Un pilastro importante» dopo l'incidente di Fukushima, «Prendere questo come una lezione, ci porterà ad un mondo di energia pulita, come la biomassa e solare, mentre facciamo un passo verso la resurrezione».

Prima del terremoto/tsunami che ha sconvolto il Giappone e l'industria nucleare del mondo, l'International energy agency (Iea) prevedeva che le centrali nucleari entro il 2035 avrebbero raggiunto i 360 ​​gigawatt di produzione di energia. Dopo l'incidente la proiezione è stata  tagliata a metà, e l'economista capo dell'Iae, Fatih Birol, ha detto che questo è dovuto alle pressioni per fermare le nuove centrali nucleari ed eliminare gradualmente prima del previsto quelle più vecchie.

I delegati e gli esperti riuniti a Bangkok si domandano se i Paesi ridurranno davvero l'energia nucleare, come suggerirebbero le prime reazioni politiche alla tragedia Fukushima, se così fosse le prospettive sono due: bruciare più carbone o aumentare la velocità di realizzazione di impianti ad energie.

Ryding è preoccupato perché «Diversi governi, che già hanno fatto passi indietro rispetto ai precedenti impegni di riduzione delle emissioni, possono utilizzare Fukushima come argomento per fare ancora meno».

A Bangkok lo tsunami giapponese ha fatto venire alla luce una situazione complessa: attualmente nel mondo ci sono 507 centrali nucleari in esercizio o in costruzione e petrolio, carbone e gas forniscono ancora la maggior parte dell'energia in molti Paesi.

La Cina, che pure è il Paese che costruisce più centrali nucleari, si dice pronta a produrre circa il 70% della sua energia da fonti pulite e il potente 'inviato cinese sul clima, Xie Zhenhua, ha detto ai giornalisti che la Cina «Potrebbe anche ridimensionare il suo programma nucleare alla luce dell' emergenza in Giappone».

Il presidente Usa Barack Obama ha difeso l'energia nucleare, ma sostiene anche con forza, ostacolato dai repubblicani, lo sviluppo del fotovoltaico, dell'eolico, del cosiddetto "carbone pulito" e dei biocarburanti.

L'anello davvero debole del nucleare è l'Europa occidentale, con le moratorie e la pesantissima e repentina marcia indietro dell'economia leader: la Germania che pure produce il 23% della sua energia con il nucleare (più o meno quanto gli Usa) e che ora entro 10 anni punta al 40% di energie rinnovabili.

Nonostante le proteste, la Francia di Sarkozy resta ferma nella scelta nucleare, che le fornisce il 70% dell'elettricità, ma nel Partito socialista che probabilmente vincerà le elezioni presidenziali, cominciano a crescere i favorevoli all'uscita dal nucleare, per non parlare dei suoi alleati verdi e di sinistra che sono tutti antinucleari.

Sven Teske, responsabile energie rinnovabili di Greenpeace, ha spiegato a Bangkok che «La Germania è stata in grado di colmare il gap di energia che lasceranno le centrali nucleari con l'energia eolica e solare, anche se ha dovuto importare energia da alcuni vicini di casa nucleari non autosufficienti. Il passaggio alle  fonti rinnovabili è una questione di anni, non di decenni».

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