
[11/04/2011] News
LIVORNO. Il Tremonti più fresco è quello che si traveste da volpe che non riesce ad arrivare al grappolo d'uva: dopo la catastrofe di Fukushima che ha decretato l'impossibilità di raggiungere la sicurezza, dopo le agenzie di rating che hanno promesso di punire tutte le società legate ad imprese nucleari per l'impossibilità di garantire sicurezza, dopo la fuga dei privati di fronte ai costi sempre più alti e sempre più scaricati sul pubblico, dopo i passi indietro di tutti quasi tutti i Paesi, e dopo la tragicomica fuga tricolore a gambe levate e in ordine sparso di ministri e teste d'ariete atomiche ingaggiate dalle multinazionali dell'atomo, spunta l'ennesimo calembour del mago della finanza creativa. «L'immigrazione e il nucleare producono un debito ''geopolitico'' e un debito ''atomico'' che si devono tener presenti nella contabilità e dei quali va valutato ''l'impatto economico e sociale'', ha detto a Budapest Tremonti, ufficializzando quanto aveva accennato un paio di settimane fa, cercando di cogliere una "paccata" di piccioni con un'unica fava: ovvero ridimensionare l'imbarazzante mole del debito pubblico italiano allargando quello degli altri Paesi, che dovrebbero inserire nella loro contabilità i costi occulti del nucleare.
«Si sta avvicinando la cambiale atomica. il costo in bolletta è basso, ma il costo generale complessivo è molto alto. Dobbiamo fare i conti del negativo e del positivo, chi ci guadagna, chi ci perde, chi ci ha guadagnato e chi dovrà pagare dopo. Come calcoliamo e proiettiamo il debito pensionistico, così va fatto per il debito atomico, e il nostro è zero. In Europa ci sono centrali molto vecchie e vanno calcolati i rischi, così come il decommissioning». Esattamente quello che tutte le associazioni ambientaliste e il buon senso invocano da anni: includere nell'esosa follia nucleare i costi della sicurezza (irraggiungibile) e quelli del decommissioning e dello smaltimento delle scorie. Anche perché come ricorda il premio Nobel Joseph Stiglitz oggi su Repubblica, «l'esistenza stessa del settore nucleare dipende da sussidi pubblici occulti, mentre in caso di disastro nucleare è la società intera a doversene accollare palesemente le terribili conseguenze, come pure i costi dello smaltimento delle scorie nucleari, ancora non gestito e regolamentato».
Basterebbero queste due riflessioni, insicurezza e scorie, per sconfiggere l'illogica follia atomica, eppure i fatti, salvo sporadiche illuminazione come questa - peraltro dettata unicamente dall'impossibilità governativa di vincere il referendum del 12/13 giugno - dicono tutt'altro. E non è solo un problema di inesistente strategia energetica, come peraltro ben evidenzia Marco Magrini sul Sole 24 ore di oggi. Il problema è più vasto ed è anche culturale. Perché se per esempio Magrini è preciso e puntuale nel fare il resoconto delle possibili fonti energetiche e spiega esattamente a che punto stiamo col carbone cosiddetto pulito («Il Ccs, che sta per "Carbon capture and storage", è la complicata tecnologia da applicare agli impianti di generazione elettrica per "catturare" l'anidride carbonica e poi immagazzinarla sottoterra. Nel mondo ci sono già numerosi impianti-pilota come quello dell'Enel a Brindisi, ma poco o nulla su grande scala. Il primo problema è che è costosissima. Il secondo è che un conto è iniettare la CO2 dentro ai bacini petroliferi esausti per recuperare l'ultimo greggio rimasto come fanno in Texas, un conto è seppellirla in giacimenti geologici poco adatti a sigillarla per sempre), dall'altra parte c'è il suo collega Federico Rendina, che sullo stesso giornale appena due giorni prima presenta una sfilza di errori macroscopici tra cui appunto il "carbone pulito" come una tecnologia già consolidata e un'occasione che l'Italia non sa cogliere (quando invece uno degli impianti sperimentali è proprio a Brindisi, di Enel).
Che poi petrolio e carbone crescano più velocemente di sole e vento non deve far troppa meraviglia: Magrini ricorda a titolo di esempio che fra il 2002 e il 2008 gli Stati Uniti hanno assicurato 72 miliardi di sussidi alle energie fossili e 29 alle rinnovabili. Una sproporzione simile a quella Italiana, dove però la campagna governativa e mediatica punta a ribaltare la questione con le rinnovabili che diventano colpevoli della bolletta energetica troppo alta (ancora Rendina sul Sole 24 ore di sabato). Così il decreto sulle rinnovabili e il quarto conto energia danzano su anticipazioni che vanno dallo sposare il modello tedesco, al taglio drastico e miope degli incentivi, che spezza le gambe alla piccola e media industria del fotovoltaico.
Aspettiamo con speranza (e sfiducia) il quarto conto energia, che in contro tendenza rispetto a gran parte degli altri settori economici aveva fatto registrare una crescita del pil del 5% pesando assai di più del differenziale nucleare. E Tremonti dovrebbe saperlo.