[27/06/2012] News
Un altro summit - come sempre "decisivo" - si concentrerà a Bruxelles tra domani e venerdì, riunendo i vertici Ue si riuniranno in un Consiglio europeo quanto mai atteso. Riprendendo il paragone che l'economista greco Varoufakis pone tra la crisi economica in corso con l'ostinata e tragica guerra del Vietnam negli anni '60-'70, Barbara Spinelli su la Repubblica sottolinea che «Chi guida l'Europa oggi è animato dalla stessa non-volontà (l'antico peccato di nolitio): la crisi delle banche e dei debiti non è guerra armata, ma certi riflessi sono identici. Il povero cittadino perde la testa, nono si raccapezza» di fronte all'incredibile mancanza di contenuti che emerge da queste continue riunioni. Che questa sia la volta buona? Quel che è certo è che le premesse, anche stavolta, sono pessime.
Lo stupore davanti a quest'ignavia è ancora maggiore di fronte a posizioni alternative all'immobilismo, come quelle che da tempo afferma il premio Nobel per l'economia Paul Krugman. In una sua recente intervista pubblicata da Panorama, a firma di Decca Aitkenhead, l'economista si sbilancia portando avanti la tesi che «Uscire da questa depressione dovrebbe e potrebbe essere addirittura incredibilmente facile. Quindi perché non lo facciamo?». Da parte nostra, modestamente, non crediamo che individuare una soluzione sia «addirittura incredibilmente facile»: risposte troppo semplici di fronte a problemi complessi sono sempre foriere di grandi grattacapi. Questo non significa che, effettivamente, l'immobilismo politico che ha accompagnato l'evolversi della crisi abbia incredibilmente contribuito ad affondare l'economia mondiale dentro le sabbie mobili all'interno delle quali ora stiamo sprofondando ogni giorno di più.
«Ciò che dobbiamo fare, afferma Krugman, è semplice: dare un taglio all'austerità, rilanciare l'economia con un programma di spesa ambizioso del governo e ridurre il deficit quando saremo ritornati a galla. La cosa più importante è che dobbiamo farlo subito», perché cinque anni di disoccupazione estremamente elevata causano molto più che cinque volte i danni generati da un anno di disoccupazione elevata». La cura dovrebbe essere però somministrata ad una condizione, ossia con dosi da cavallo: «Introducendo uno stimolo inadeguato, si screditerà il concetto di sostegno all'economia senza salvarla».
Una politica di chiaro stampo keynesiano, dunque, ma con la necessità - aggiungiamo noi - di essere altrettanto chiaramente indirizzata. La sfida che abbiamo di fronte non si limita soltanto alla necessità di rimettere in moto la macchina economica, ma di approfittare della crisi per ridefinirne i confini ed indirizzarla a percorrere strade socialmente, economicamente ed ecologicamente sostenibili. Se così non fosse, la nostra sarebbe soltanto una fatica di Sisifo: nonostante tutti gli sforzi possibili, a breve saremmo punto e a capo con una nuova crisi tra le mani, che ancora una volta avrebbe di per sé ben poco a che spartire anche con la distruzione creatrice identificata da Schumpeter nell'animo dell'economia capitalista.
In particolare, per l'Europa questo significa che l'Unione dovrebbe dotarsi di «un bilancio federale degno di questo nome, capace di avviare una crescita diversa, ecologicamente sostenibile», come espresso nelle parole di Monica Frassoni (presidente dei Verdi europei) citate nell'articolo della Spinelli. Come al termine di una guerra vera e propria - stavolta si pensi in particolare al trentennio glorioso post-II Guerra Mondiale - lo spirito di ricostruzione si concretizzerebbe così in nuovi posti di lavoro per dei cittadini ormai esangui, che diverrebbero concretamente attori in primo piano nella riconversione ecologica della nostra economia, attenta ai flussi di materia ed energia che la attraversano e ai delicati equilibri della biodiversità che la circonda: le esigenze del presente e quelle del futuro potrebbero così combaciare, e nel contempo la trasformazione culturale di una società non più votata al consumo avrebbe certamente il tempo di compiersi, se insieme ci dimostreremmo capaci di guidare questo cambiamento. L'assillo del tempo utile che scivola via sarebbe allentato.
Comunque vada il vertice europeo dei prossimi due giorni, il dovere di tutti coloro che sentono il peso della propria responsabilità non può allentarsi: l'obiettivo rimane quello di lavorare perché queste aspirazioni si traducano in un progetto politico concreto. Facile sperarlo, ma difficile crederlo.