[12/07/2012] News

La Cina รจ lontana: la spesa del governo aumenta del 16,8%

In salita anche tasse, debito pubblico ed economia interna

La Cina dirigista e turbo-capitalista ci viene sempre più spesso indicata dai nostri governanti ed imprenditori come modello di quel che si potrebbe fare in economia e come spauracchio "competitivo" per giustificare i nostri sacrifici. Una specie di riedizione delle fiabe dei bambini: se non fai il bravo viene l'uomo nero (in questo caso rosso).  

Ma le politiche cinesi per non precipitare nella crisi mondiale sono molto diverse dalla macelleria sociale attuata in Grecia, che insanguina le piazze della Spagna e che ribolle di malcontento e "anti-politica" in Italia. Come scrive lo stesso Sole 24 Ore: «Non va poi dimenticato il lento riequilibrio cinese. L'aumento della domanda domestica potrebbe non essere sufficiente a risollevare le sorti del mondo, ma c'è: negli ultimi anni i salari reali sono aumentati piuttosto rapidamente, e così le importazioni mentre quest'anno solo le spese per il welfare state  - senza contare altri interventi pubblici - dovrebbero aumentare, ricordano Ward e Jha, del 16% cento. Questa volta, allora, la Cina potrà dare una mano».

In realtà la Cina sta andando  da tutt'altra parte rispetto all'Europa, dopo l'arricchitevi senza freni sembra venuta l'ora di una (timida) redistribuzione dei redditi, dell'aumento dei consumi interni, di un maggior intervento pubblico nella sanità e in campo abitativo. Quello che il Sole 24 Ore da per possibile in realtà è già avvenuto: un rapporto del  ministero delle finanze di Pechino ha reso noto che «Le spese del governo centrale cinese hanno totalizzato 5.640 miliardi di  yuan (892,28 miliardi di dollari), rappresentando il 103,8% del budget annuale. Questa somma è del 16,8% superiore alle spese del 2010».

Insomma, i "virtuosi" capitalisti-comunisti  cinesi non solo intervengono pesantemente per non far rallentare l'economia, ma, se questo serve, sforano tranquillamente il bilancio dello Stato per sostenere quella conversione economica e tecnica della quale il Paese più popoloso del mondo e la seconda potenza economica planetaria ha bisogno se non vuole che le già alte tensioni sociali ed ambientali locali si trasformino in crisi del sistema.  

Certo, la realtà è molto diversa: la Cina è una dittatura e l'Europa un'unione di democrazie (anche se di diverso livello e qualità), ma scelte come quelle cinesi mettono ancora una volta in evidenza come la democrazia occidentale (e la politica che dovrebbe esserne l'ossatura "ragionante") sia ormai sempre più svuotata dalla dittatura dei mercati, in  grado di spaventarla con un calo in borsa o un aumento dello spread.

Se i minatori cinesi lottano per migliori condizioni di vita, i minatori spagnoli lottano per mantenere un lavoro durissimo e malpagato o addirittura un misero sussidio. Sta probabilmente qui - nella "speranza" o nella sua mancanza - la differenza tra la Cina e l'Europa, e che le classi dirigenti di una democrazia matura debbano guardare con invidia ad una dittatura che aveva promesso di ridurre le disuguaglianze e invece le ha acuite, è un'altra contraddizione politicamente inesplicabile.

Intanto il  regime di Pechino fornisce le gigantesche cifre della crescita cinese e si scopre che anche per quanto riguarda le tasse la ricotta è un'altra:  «Le entrate totali del governo centrale hanno raggiunto 5.130 miliardi di yuan (814,7 miliardi di dollari) cioè il 111,9% del  budget ed un aumento del 20,8% su base annuale. Inoltre, l'anno scorso il governo centrale ha speso 5640 miliardi di yuan, cioè il 3,8% in più del budget previsto, producendo un deficit fiscale di 650 miliardi di yuan, di 50 miliardi di yuan inferiore a quel che era stato  messo in bilancio».

Il ministro delle finanze  Xie Xuren, presentando il rapporto all'Assemblea popolare nazionale (Apn, il Parlamento cinese)  ha sottolineato che «Il governo centrale della Cina ha incassato maggiori entrate fiscali e speso più di quel che era stato previsto nel bilancio del 2011. Il governo ha condotto con serietà una politica fiscale proattiva e messo in opera in maniera stringente il budget annuale. A fine 2011, il debito nazionale è salito a 7.200 miliardi di yuan».

Tutti sanno che il debito cinese è  molto più alto, se si include quello insondabile di province, regioni autonome e metropoli, tutti sanno che questo è un rischio per la Cina se non raddrizzerà la sua crescita. Ma Pechino, dopo aver evitato brutalmente, con la mattanza dei ragazzi di Piazza Tienanmen, la deriva che ha portato alla frantumazione dell'Urss, dopo aver salvato il Partito comunista trasformandolo da avanguardia del proletariato in premuroso protettore del turbo-capitalismo, sembra in grado di far tesoro, alla cinese, anche dalla lezione che viene dalla vecchia Europa, dissanguata dalla finanziarizzazione dell'economia.

Forse i cinesi hanno presente quello che spiega il premio Nobel per l'economia Amartya Sen: «La crisi non è il sintomo di un fallimento degli Stati ma l'effetto di un fallimento del mercato che a sua volta è stato salvato dagli Stati», quindi nell'ennesimo cambio di passo dalla lunga marcia maoista hanno ritirato fuori lo Stato/Partito paterno che distribuisce al popolo, ma per salvare il capitalismo di stato che governa la Cina, sempre più legato mani e piedi al capitalismo mondiale in crisi. Grande è la confusione sotto il cielo... come avrebbe detto qualcuno.

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